Candidati al Premio Oscar per la Miglior Regia
Vincitore:Ang Lee, Vita di Pi
Vita di Pi - di Ang Lee con Gérard Depardieu, Irrfan Khan, Tabu, Suraj Sharma ***
Il poliedrico Ang Lee, capace di passare con elegante disinvoltura dai romanzi di Jane Austen ai romantici omosessuali di Brokeback Mountain al fumettistico Hulk, ci regala per questo Natale l'epica pura, infiocchettata di sentimenti, legata stretta con la magia del 3D e della computer graphic e scintillante di riflessioni filosofiche e religiose. La storia di Pi - Piscine Molitor in origine, ma abbreviato per evitare le prese in giro dei compagni di scuola - parte da lontano, da un'India quasi fiabesca, colorata e magica, in cui si cresce nel mito di uno zio campione di nuoto e la realtà dello zoo gestito dal padre. Pi è un'anima che sboccia, studia, impara, è curioso di tutto ciò che non conosce e la sua mente aperta gli permette di essere affascinato da ogni religione, da ogni scienza, da ogni filosofia. Ma anche dagli animali dello zoo, in particolare da una tigre, Richard Parker, nome astruso quanto il suo, frutto di uno scambio di documenti con chi l'ha venduta allo zoo, che Pi tenta di avvicinare scatenando l'ira del padre che gli ricorda con una scena brutale quale sia la reale natura degli animali. Ma la vera svolta nella vita di Pi, che nel frattempo si è innamorato, è il trasferimento in Canada, voluto dal padre per assicurare un futuro migliore alla famiglia. Malinconico per aver dovuto abbandonare la ragazza che ama e la sua terra Pi affronta la traversata in mare con il suo spirito indomito che lo porta ad entusiasmarsi per una tempesta e a volerla vedere dalla plancia della nave. Sarà la sua salvezza perchè di lì a poco tutti gli altri passeggeri saranno sommersi dalle acque, mentre lui riuscirà a salvarsi su una delle barche di salvataggio. Ma con lui riescono a scendere sulla barca anche alcuni degli animali dello zoo, una zebra, il suo amico orango, una iena e la feroce tigre Richard Parker. Di lì a poco Pi e la tigre resteranno gli unici vivi e da quel momento inizia un viaggio fisico nell'Oceano, un viaggio iniziatico dentro sè stessi per trovare la forza di sopravvivere e un viaggio di confronto con l'altro, in questo caso misterioso ed ostile, ma anche ricco di fascino per un ragazzo come Pi. La lunga avventura che i due condividono è naturalmente intessuta di qualche luogo comune e molta spettacolarità, di scene davvero degne del 3D e di riflessioni intimistiche d'autore, ma ciò che resta dopo che i due avranno finalmente raggiunto la terraferma è la scelta coraggiosa ed adulta di Lee di non antropomorfizzare l'animale selvaggio facendogli compiere quell'unico gesto che Pi si aspetta, un cenno, uno sguardo, qualcosa che li leghi per sempre. E' tutta in questa scelta la grandezza di "Vita di Pi", affresco sontuoso e monumentale, compendio di tutte le grandi storie d'avventura da Moby Dick a Titanic a Robinson Crusoe, divertimento spettacolare ed emozionante, con un protagonista che ricorda il Jamal Malik del Milionaire, mai domo, mai prono, mai appagato, e una meravigliosa tigre che ci si dimentica sia stata creata al computer per quanto è bella e palpitante. "Nel grande oceano ho trovato Gesù" racconta Pi al giornalista che lo intervista, e noi nel grande oceano, con Pi e Richard Parker abbiamo trovato lo spettacolo puro, che si permette svariati piani di lettura, metaforici e non, e che appaga la voglia di avventura di chiunque sappia ancora guardare al cinema come ad una scatola magica che ci trasporta, occhialini 3D inclusi, nell'altrove materico e metafisico.
Il Lato Positivo - Silver Linings Playbook - di David O. Russell con Bradley Cooper, Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Jackie Weaver - Sentimentale - Usa - 2012 (Uscita in Italia 7 Marzo 2013) ***
Due cuori - folli - e il bisogno di vivere nonostante il disagio psicologico, l'amore quasi come una sfida e una minaccia, il dramma che come un cielo in primavera si apre improvvisamente e fa intravedere il sereno, l'equilibrio magico di alcune pellicole americane che non hanno paura di sterzare dagli ospedali psichiatrici alle sale da ballo, riuscendo a commuovere senza spingere sul pedale del sentimentalismo bieco, ma regalando emozioni sincere. "Il lato positivo" è un concentrato di stili e di generi, con partenza cupa e dolente perchè il protagonista Pat ha passato gli ultimi otto mesi in un istituto psichiatrico per aver massacrato di botte l'amante della moglie. Ha problemi a controllare la rabbia, è affetto da disturbo bipolare e ha un'ossessione per l'ex moglie Nikki che vuole a tutti i costi riconquistare. In queste condizioni torna a casa dai genitori che assistono alle sue scenate maniacali notturne con dolore e disagio, cercando di aiutarlo ma trovandosi impreparati ad arginare un fiume di dolore così tangibile e incrollabile. Corre Pat, corre per dimenticare la scena che ha mandato in frantumi la sua vita corre per riconquistare la forma fisica e tornare a corteggiare Nikki, corre per scappare dalla paura di tornare a vivere, paura che si concretizza nella conoscenza con Tiffany, sorella di un'amica, rimasta vedova da poco, arrabbiata con il mondo e con se stessa, reduce anche lei da un percorso psichiatrico dopo che aveva tentato di superare la morte del marito con ripetute avventure sessuali. Si incontrano e si scontrano Pat e Tiffany, lui trincerato dietro il suo mantra "Io sono sposato", lei nascosta dietro la rabbia che riserva a tutto e tutti. Fanno un patto però: lei consegnerà a Nikki una lettera di Pat se lui la aiuterà a partecipare ad una gara di ballo. E così inizia una fase di conoscenza più sincera, in cui interagiscono fratelli, padri, amici dell'ospedale psichiatrico e psichiatri tifosi di football, in una sarabanda divertente e romantica che si conclude con una girandola di passi di danza, lettere false e lettere vere e una vita che torna a vivere, con i dolori e le gioie di ogni vita, finalmente libera dal passato. Lieve in alcuni passaggi familiari, dolente e sincero nel maneggiare la tematica del disagio psichico senza retorica, romantico venato di brillante nei duetti Pat-Tiffany (nella sala da ballo si accorgono di essersi presi per mano e uno "accusa" l'altra di averlo fatto per primo, incapaci di manifestare i propri sentimenti anche a se stessi tanto l'amore è stato devastante per loro fino a quel momento) il film di Russell ha i tempi giusti, gli interpreti perfetti, - candidati all'Oscar sia Brdley Cooper che la bellissima Jennifer Lawrence - gioca a carte scoperte con i sentimenti e non ha paura di iniziare con un pugno nello stomaco per poi finire con una carezza mostrando un equilibrio di emozioni e timbri recitativi che solo pochi film hanno. Due parole a parte merita Robert De Niro - candidato agli Oscar dopo miriade di film inutili - che ha per gran parte del film un ruolo caricaturale ma che in due tre scene tira fuori sguardi e gesti che ci ricordano il grande attore che è.
Lincoln - di Steven Spielberg con Daniel Day-Lewis, Tommy Lee Jones, Sally Field, Lee Pace, Joseph Gordon-Levitt ***
Stilisticamente impeccabile, tecnicamente magistrale - luci, scene, costumi e fotografia da Oscar - politicamente corretto e misurato, se fosse un documentario della History Channel il "Linclon" di Spielberg sarebbe un capolavoro, ma la magia del cinema dov'è? Nell'epopea che racconta la ratifica del XIII Emendamento che nel 1865 abolirà la schiavitù dei neri manca la scintilla pulsante che accende il cuore dei grandi capolavori nonostante la recitazione impeccabile di Day Lewis, della Field e di Tommy Lee Jones e nonostante la regia attenta e meticolosa di Spielberg. La scelta di concentrare l'azione in un pugno di mesi sulla carta si prospetta interessante (la sceneggiatura è tratta da "Team of Rivals" di Kushner) per non appesantire la biografia di Lincoln con anni ed anni di avvenimenti, ma nonostante questo le dispute parlamentari e gli interminabili approfondimenti sui dettagli del trattato appesantiscono la prima parte del film oltre misura, la guerra resta sullo sfondo e tristemente apprendiamo che la firma della pace fu solo una pedina di scambio sul tavolo delle trattative per arrivare ad avere la maggioranza il giorno della votazione, maggioranza ottenuta con i peggiori voti di scambio, con corruzione, con minacce e con sotterfugi, ma si sa, la Storia non si fa con le mani pulite. Lincoln è carismatico sì, ma fin troppo ieratico, perso dietro i suoi pensieri e intento a raccontare le sue astruse storie (che fosse un fan di Tarantino e dei suoi dialoghi strampalati ma ben più divertenti?) il Thaddeus Stevens di Tommy Lee Jones è paradossale e sopra le righe - fortuna per noi perchè ci regala qualche sorriso - ma tende al macchiettistico, Sally Field regala l'unica scena di cinema vero, quando si inginocchia davanti al marito confessando tutto il suo dolore e strappando al presidente l'unico guizzo di umanità che Spilberg gli concede (troppo poco noi italiani conosciamo della storia americana per sapere se davvero il carattere dell'uomo che "ha fatto l'America" fosse così controllato) e tutto il cast fa il suo lavoro con precisione e mestiere, ma nulla più, non si sussulta, non si palpita, non ci si emoziona e non ci si commuove, nè quando l'emendamento viene approvato, nè quando Lincoln viene ucciso, e neanche quando i generali degli eserciti del Nord e del Sud si incontrano alla fine della guerra. E invece sono scene che dovrebbero far venire i brividi in un film di Spielberg, perchè di brividi emozioni e lacrime ce ne ha regalate tante nei suoi precedenti capolavori, ma è come se nelle due ore e mezzo che dura il film (e si sentono tutte alla fine, mentre per esempio le due ore e tre quarti di "Django" scappano via fin troppo veloci) il regista di "E.T." e di "Shindler's List" volesse metterci di fronte ad un minuzioso trattato di storia, dove diligentemente apprendiamo che anche i grandi uomini devono scendere a compromessi per ottenere grandi vittorie che cambieranno il futuro di una nazione, dove scopriamo che i deputati sono disposti a vendere il proprio voto in cambio di un qualche favore, che la politica è sporca e che la guerra fa soffrire milioni di famiglie - cose talmente lapalissiane da essere trascurabili in una ricostruzione filmica - mentre noi avremmo voluto assistere ad un grande capolavoro cinematografico, epico, retorico forse, ma che ci facesse provare quel brivido che invece rimane frustrato nell'occhio dello spettatore, appagato da tanta perfezione tecnica ma deluso dall'impostazione documentaristica di un film candidato a ben 12 Oscar.
Re della Terra Selvaggia (Beasts of the Southern Wild) - di Benh Zeitlin con Quvenzhané Wallis, Dwight Henry, Levy Easterly ****
Esordio alla regia premiatissimo - tra cui Camera d'Oro a Cannes 2012 e Premio per il Miglior Film drammatico al Sundance - la pellicola sceneggiata dallo stesso regista insieme a Lucy Alibar, autrice dell'opera teatrale da cui è tratta, è un'originalissimo misto fra cinema magico, realtà più cruda e poesia infantile. L'azione si svolge in Lousiana, in un bayou - un misto di foresta e palude tipico di quella zona - dove in casupole degradate vive un gruppo eterogeneo di sbandati, fra cui la piccola Hushpuppy e suo padre Wink. I due hanno un legame conflittuale eppure di profondo affetto, vivono in due casupole affiancate per mantenere la propria indipendenza ma si dedicano l'uno all'altra con una tenerezza infinita. Hushpuppy è anche la voce narrante del film e ci racconta delle sue fantasie sull'universo di cui sente il cuore pulsante nelle creature viventi, e della sua ferma convinzione di essere la rappresentante di una specie che gli studiosi futuri studieranno come "una hushpuppy". La realtà però è profondamente diversa, gli uragani minacciano l'ecosistema, Wink si ammala e Hushpuppy resta da sola nella casupola e si prepara il pranzo da sola accendendo il gas con un lanciafiamme, naturalmente dopo aver indossato un casco protettivo. La sensazione di sperdimento della bambina però dura poco, perchè il padre le ha insegnato come sopravvivere acchiappando i pesci a mani nude e rompendo il guscio dei granchi, e lei si sente forte, quasi invincibile, tanto che quando la polizia forzatamente sgombera la zona organizza la fuga di tutti gli abitanti di Buthtub (vasca da bagno) il quartiere dove vivono. Man mano che la malattia di Wink avanza la realtà si fa più cupa però e il viaggio scaramantico, quasi magico, che la bambina compie per salvarlo tornando con una porzione di pesce gatto fritto ha un abisso di tenerezza, poesia e disperazione. E le creature mitologiche che accompagnano le fantasie di Hushpuppy e che si inchinano a lei alla fine del film sono il chiaro bisogno di oltrepassare il tangibile, il terreno, il fisico, per elevarsi in quell'universo corale in cui "una hushpuppy" lascerà il segno. Misterioso, criptico eppure lineare, ipnotico nel suo girare intorno ad un universo atemporale in cui non c'è quotidianità fatta di lavoro, telefonini o strade affollate, il film di Zeitlin è esemplare nel concentrare sguardo emotivo e macchina da presa su una interprete straordinaria che dà voce, corpo e sguardo ad una specie davvero rara, quella dei bambini cresciuti troppo in fretta, adulti nonostante, eppure capaci di conservare quel cuore magico che solo la fantasia dei più piccoli sa inventare. Un film che spiazza quanto incanta, e che ha il coraggio di fare cinema con una materia talmente ruvida che solo la voce vellutata e incantata di Hushpuppy poteva addolcire. Strameritata nomination come migliore attrice per la piccola interprete di Hushpuppy, intensa come un'attrice consumata e spontanea come una vera bambina.
Amour - di Michael Haneke con Emmanuelle Riva, Jean-Louis Trintignant, Isabelle Huppert, William Shimell ****
A pochi minuti dall'inizio del film Georges, il personaggio interpretato da Jean-Louis Trintignant racconta che quando era un ragazzino andò al cinema e vide un film che lo emozionò a tal punto da farlo piangere. Tanti decenni dopo confessa di non ricordare più la trama del film, ma di risentire ancora le stesse emozioni di allora. Ecco, a distanza di tempo si potrà anche dimenticare qualche dettaglio del nuovo film di Michael Haneke, Palma d'oro al Festival di Cannes - ma di sicuro rimarranno le emozioni forti, crudeli, viscerali che colpiscono durante la proiezione. Georges e Anne sono invecchiati insieme e conducono una vita tranquilla e borghese, fra un concerto e un libro da condividere. Quando Anne ha una prima ischemia transitoria il futuro dei due anziani coniugi si fa più incerto e la successiva paresi che la costringe sulla sedia a rotelle è un passaggio che i due cercano di affrontare con coraggio e forza, aiutandosi a superare i momenti di ovvio imbarazzo e dolore. Le prospettive si annullano, il corpo e le sue esigenze prendono il sopravvento e il peggiorare della malattia, unitamente alla volontà di Anne di non sopravvivere a se stessa, costringono Georges ad un atto d'amore estremo e totalizzante. La messa in scena è talmente aderente alla realtà da sembrare quasi documentaristica, ma ciò che interessa maggiormente ad Haneke è raccontare il pudore dei sentimenti, l'inadeguatezza di fronte all'orrore della malattia, il bisogno di dare un senso all'abisso che si avvicina. La figlia di Georges ed Anne, una sempre intensa Isabelle Huppert, un giorno va a visitare la madre e trova la porta della camera da letto chiusa a chiave. Ne chiede ovviamente ragione al padre e la risposata di lui è raggelante e tenerissima allo stesso tempo, perchè dopo aver raccontato alla figlia le miserie e le sofferenze fisiche e mentali che Anne subisce ogni giorno conclude con la frase "Non c'è niente da vedere in tutto questo", quasi volesse proteggere quella donna, tanto bella e tanto amata, dalla pietà e dalla compassione, sia pure della sua stessa figlia, perchè laddove non c'è più dignità non c'è più vita, e solo un grande amore può avere un'evoluzione tanto coraggiosa. Gli sguardi che i due protagonisti - magnifici per sobrietà, fragilità e potenza espressiva Trintingnant ed Emmanuelle Riva - si scambiano sono sguardi stanchi, vecchi, pieni di paura e di angoscia, ma anche di dignità e di forza, pronti a resistere, ma anche a lasciar andare. Perchè, sembra insegnarci Haneke, la vita è fatta proprio di questo, di resistere e lasciar andare, di amare e agire, di incontrarsi, amarsi e andare via insieme. Prima che sia la vita a toglierci anche l'ultimo brandello di libertà e di dignità.