Candidati all'Oscar per il Miglior Film Straniero
Vincitore: Amour, Michael Haneke, Austria
Amour - di Michael Haneke con Emmanuelle Riva, Jean-Louis Trintignant, Isabelle Huppert, William Shimell ****
A pochi minuti dall'inizio del film Georges, il personaggio interpretato da Jean-Louis Trintignant racconta che quando era un ragazzino andò al cinema e vide un film che lo emozionò a tal punto da farlo piangere. Tanti decenni dopo confessa di non ricordare più la trama del film, ma di risentire ancora le stesse emozioni di allora. Ecco, a distanza di tempo si potrà anche dimenticare qualche dettaglio del nuovo film di Michael Haneke, Palma d'oro al Festival di Cannes - ma di sicuro rimarranno le emozioni forti, crudeli, viscerali che colpiscono durante la proiezione. Georges e Anne sono invecchiati insieme e conducono una vita tranquilla e borghese, fra un concerto e un libro da condividere. Quando Anne ha una prima ischemia transitoria il futuro dei due anziani coniugi si fa più incerto e la successiva paresi che la costringe sulla sedia a rotelle è un passaggio che i due cercano di affrontare con coraggio e forza, aiutandosi a superare i momenti di ovvio imbarazzo e dolore. Le prospettive si annullano, il corpo e le sue esigenze prendono il sopravvento e il peggiorare della malattia, unitamente alla volontà di Anne di non sopravvivere a se stessa, costringono Georges ad un atto d'amore estremo e totalizzante. La messa in scena è talmente aderente alla realtà da sembrare quasi documentaristica, ma ciò che interessa maggiormente ad Haneke è raccontare il pudore dei sentimenti, l'inadeguatezza di fronte all'orrore della malattia, il bisogno di dare un senso all'abisso che si avvicina. La figlia di Georges ed Anne, una sempre intensa Isabelle Huppert, un giorno va a visitare la madre e trova la porta della camera da letto chiusa a chiave. Ne chiede ovviamente ragione al padre e la risposata di lui è raggelante e tenerissima allo stesso tempo, perchè dopo aver raccontato alla figlia le miserie e le sofferenze fisiche e mentali che Anne subisce ogni giorno conclude con la frase "Non c'è niente da vedere in tutto questo", quasi volesse proteggere quella donna, tanto bella e tanto amata, dalla pietà e dalla compassione, sia pure della sua stessa figlia, perchè laddove non c'è più dignità non c'è più vita, e solo un grande amore può avere un'evoluzione tanto coraggiosa. Gli sguardi che i due protagonisti - magnifici per sobrietà, fragilità e potenza espressiva Trintingnant ed Emmanuelle Riva - si scambiano sono sguardi stanchi, vecchi, pieni di paura e di angoscia, ma anche di dignità e di forza, pronti a resistere, ma anche a lasciar andare. Perchè, sembra insegnarci Haneke, la vita è fatta proprio di questo, di resistere e lasciar andare, di amare e agire, di incontrarsi, amarsi e andare via insieme. Prima che sia la vita a toglierci anche l'ultimo brandello di libertà e di dignità.
A Royal Affair - di Nikolaj Arcel con Mads Mikkelsen, Alicia Mikander, Mikkel Folsgaard, David Dencik, Trine Dyrholm, Soren Malling, William Johnk Nielsen - Drammatico - Danimarca, Svezia, Repubblica Ceca, Germania - 2012 ***
Premio alla Miglior Sceneggiatura e alla Miglior Interpretazione Maschile al Festival di Berlino, nomination ai Golden Globes fra i Miglior Film Stranieri e probabile candidatura agli Oscar nella stessa categoria "A royal affair" si presenta con ottime credenziali ed in effetti la coproduzione danese svedese cecoslovacca e tedesca è un sontuoso affresco d'epoca che gioca le carte dell'amore, della follia, dell'ideologia e degli intrighi di corte con grande sapienza, trascinando in un vortice di passioni e pulsioni, di tradimenti e di riscatti, di torture e di confessioni. L'ambientazione è la corte danese, nel 1700, quando il re Christian VII sposa la giovanissima cugina Caroline Mathilda. La vicenda viene narrata dalla stessa Caroline, anni dopo, in una lettera ai figli che non ha potuto crescere e a cui vuole raccontare la vera storia della sua vita. Giunta a corte Caroline si rende conto che Christian è mentalmente disturbato, viziato, infantile e incapace di sentimento o rispetto per lei. Dopo la nascita del primo figlio il re parte per un giro in Europa ed incontra un medico tedesco, Johann Friedrich Struensee, appassionato alle idee di Voltaire e lui stesso autore di opere ispirate all'Illuminismo. Lo porta con sè in Danimarca e si lascia convincere dal dottor Struensee a promulgare una serie di nuove leggi che faranno della Danimarca un paese all'avanguardia in Europa. Ma naturalmente le trame dei ministri e dei nobili che sentono venir meno il loro potere darà il via ad una vendetta crudele e spietata, coinvolgendo anche Caroline che nel frattempo è divenuta l'amante di Struensee e ha avuto da lui una figlia. Saranno i figli di Caroline, divenuti adulti, a compiere un colpo di stato e a riportare in auge i principi illuministici che invano il folle padre aveva tentato di mettere in atto su suggerimento di Struensee. Capace di coniugare storia e sentimenti, di tratteggiare figure ambigue senza mai scadere neil giudizio e di raccontare con pari empatia la passione d'amore come la passione per le nuove idee politiche il film di Arcel ha il grande merito di saper coinvolgere, interessare, appassionare e incuriosire, ricreando perfettamente un'ambiente ed un'epoca, grazie anche ad una perfetta messa in scena fatta di costumi, luci, scenografie e musiche. Il re folle interpretato da Mikkel Fosgard per cui ha vinto l'Orso d'oro a Berlino, il medico idealista e romantico, la regina innamorata e combattiva sono naturalmente i perni intorno a cui si svolge la storia, ma i comprimari sono altrettanto bravi, e altrettanto importanti nel millimetrico schema di tradimenti ed imbrogli di cui è intessuta la corte. Del resto, come già diceva Shakespeare, "C'è del marcio in Danimarca". Ma il film di Arcel lo rende di grande pregio ed elegante fascino.
War Witch - Rebelle - di Kim Nguyen con Rachel Mwanza, Alain Lino Mic Eli Bastien, Serge Kanyinda, Mizinga Mwinga - Drammatico - Canada - 2012 ****
Presentato al Festival di Berlino dove la giovane interprete ha vinto il premio come migliore attrice, vincitore anche al Tribeca Film Festival ed appena entrato nella preselezione degli Oscar per il Miglior Film Straniero la pellicola di Nguyen ha la forza e la potenza di un documentario e la poesia del grande cinema. Impresa titanica quella del regista, raccontare la storia di Komona, una bimba sudafricana strappata al suo villaggio da guerriglieri violenti e crudeli che dopo averla costretta a mitragliare i propri genitori per non vederli uccidere con lente torture, le consegnano un'arma e la fanno diventare, al pari di tanti altri bambini dagli occhi pieni di orrore, una bambina soldato. Diventerà la strega di guerra (war witch appunto) perchè sarà l'unica a salvarsi durante una sparatoria con i governativi e crescerà fra attentati e torture, fra fughe e violenze. L'unico contatto umano lo stabilirà con Waiissiè, un ragazzo nero albino considerato lo stregone, che si innamorerà di lei e con cui fuggirà, nel tentativo, fallito, di vivere una vita normale, lontano dagli orrori di una guerra combattuta per il possesso delle miniere di coltan, un materiale usato nei moderni chip, prezioso in Africa oggi più dei diamanti che pure hanno insanguinato un continente. La storia di Komona è lei stessa a raccontarla, in un dialogo immaginario con il figlio che porta in grembo, frutto di violenza da parte di uno dei comandanti dell'esercito rivoluzionario. Come si capisce la materia è talmente cruda che difficilmente si poteva tacere sugli orrori di un'infanzia violata, sul potere economico che governa un mondo ormai allo sbando, sugli eccidi e sulle torture, ma "War witch" è molto di più, perchè immerge una trama cruda e asciutta in un racconto magico, fatto di superstizioni, riti antichi, incantesimi e visioni. C'è l' Africa più ancestrale, quella legata ai riti e agli spiriti negli incubi di Komona, c'è una speranza che viene da lontano nel desiderio della bambina di far tacere i fantasmi dei genitori tornando al villaggio per seppellire ciò che di loro resta, c'è amore puro e sincero negli sguardi ancora bambini eppure fin troppo adulti che Komona e Waiissiè si scambiano lungo dei binari abbandonati, c'è quella poesia, e quella magia, che solo il grande cinema sa trarre dagli orrori della realtà. Magnifici gli interpreti ovviamente non professionisti, che come dice il regista hanno spesso improvvisato sul set, rendendo la tragica favola di Komona commovente, inquietante, terribile e straziante. Ma con un esile, stentato, impolverato lieto fine, un germoglio piantato nella terra arida che forse, ostinatamente riuscirà a sbocciare, perchè nascosto nel cuore di una bambina coraggiosa.
No - di Pablo Larrain con Gael García Bernal, Alfredo Castro, Antonia Zegres - Cile - 2012 Drammatico Storico (uscita in Italia 18 Aprile 2013) ****
Accolto calorosamente all'ultimo Festival di Cannes e candidato agli Oscar come Miglior Film Straniero il film di Larrain è una ricostruzione storica accurata, una pagina di ottimo cinema e una analisi antropologica sottile. L'azione si svolge in Cile, 1988, nazione schiacciata e ferita da quando nel 1973 il generale Pinochet, con un colpo di stato, prese il potere spodestando il presidente Allende. Gli anni di repressione, torture, con migliaia di uomini e donne scomparsi hanno alzato il livello della tensione e le critiche internazionali costringono Pinochet ad indire un referendum che legittimi la sua posizione. Il fronte del no è consapevole del rischio brogli e intimidazioni ma decide di mettere in campo ogni forza ed ogni idea possibile per convincere i cileni a vincere la paura e ad andare a votare. La televisione di stato concederà ogni giorno quindici minuti alle ragioni del sì e quindici minuti a quelle del no, e saranno minuti fondamentali per far conoscere a chi guarda la verità, e ad offrire un'alternativa alla paura paralizzante ch fa prevedere un fortissimo astensionismo. Gli spot preparati dagli esponenti politici del "no , fatti di immagini cruente della repressione militare vengono sottoposti al giudizio di René Saavedra, pubblicitario di successo che passa con disinvoltura dai forni a microonde alle telenovelas. Il giudizio lapidario di Renè è che uno spot del genere "non vende" e all'osservazione inorridita dei vertici del comitato che immagini di torture e sequestri non devono vendere ma emozionare lui replica che "non sarà con immagini così tristi che convincerete i cileni a vincere la paura, dobbiamo parlare di felicità". Ed è così che vengono girati una serie di spot che parlano di futuro, di felicità, di speranza e libertà, in stile pubblicitario con musiche accattivanti e tormentoni musicali legati ad immagini solari che inizialmente sconcertano gli esponenti più radicali ma che poi hanno un tale successo televisivo da costringere gli avversari ad ingaggiare a loro volta un pubblicitario - il capo di Renè tra l'altro - per girare spot nello stesso stile non paludato. L'esito del referendum cambierà le sorti del Cile e la lenta passeggiata che Renè compie fra la folla esultante, concedendosi un timido sorriso prima di tornare a girare patinati spot per programmi televisivi, ci ricorda come un'idea vincente possa essere contagiosa. Due scelte raffinate e originalissime contraddistinguono "No", la prima è quella di affidarsi ad una fotografia e ad una regia perfettamente calate negli anni in cui il referendum si svolse, l'altra quella di sovrapporre in numerose scene i volti invecchiati di chi all'epoca partecipò agli spot - attori, cantanti, politici e presentatori tv - a quelli dei veri spot in cui appaiono giovani, in un gioco di rimandi raffinato ed emozionante. Lo scetticismo dei politici di fronte allo stile di chi vende prodotti commerciali ci dimostra quanta strada da allora abbia fatto la politica, perchè oggi nessuna campagna elettorale può rescindere dal potere dei consulenti di immagine e dai strateghi della comunicazione. La figura di René - un Gael Garcia Bernal trattenuto ma incisivo nel suo procedere - padre premuroso e attivista frenato all'inizio del film, è una figura autentica e sincera, che rende la pellicola ancora più intensa, lontana dagli estremismi e dai fanatismi, fedele alla storia ma ancora di più al pathos cinematografico. Toccante la visione degli appelli televisivi di Christopher Reeve, che insieme a Jane Fonda e Richard Dreyfuss appoggiò la campagna del no e inquietante la domanda di fondo che pone il film: la televisione ha davvero il potere di influenzare un voto, e se - come in questo caso - riesce a squarciare un velo d'indifferenza e a coinvolgere chi non aveva il coraggio di partecipare - è sempre un male o un male necessario?
Kon-Tiki - di Joachim Roenning, Espen Sandberg con Pål Sverre Valheim Hagen, Anders Baasmo Christiansen, Gustaf Skarsgård, Odd Magnus Williamson - Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca - Avventura - 2012 ***
Dove finisce il confine fra l'inseguire un sogno e farlo diventare un'ossessione folle, dove la linea che separa la vigliacca ritirata dalla resa ragionevole di fronte agli ostacoli? E' tutta in queste domande la vera storia di Thor Heyerdahl, esploratore norvegese che dopo un soggiorno in Polinesia, a Fatu Hiva, nel 1937 si convinse che la scoperta dell'isola non avvenne da parte di navigatori asiatici come si era creduto fino ad allora ma che fossero stati degli esploratori partiti dal Sudamerica a giungere fin lì, fondare una colonia e adorare il Dio del sole, Tiki. Da questa idea nasce il progetto ardito e coraggioso di dimostrarlo, ripetendo l'impresa su una zattera, partendo dal Perù e navigando per 8000 chilometri fino ad approdare in Polinesia appunto. Trovare finanziamenti è impresa quasi impossibile, e Thor nel 1947 si appresta a partire con un manipolo di amici e amanti dell'avventura, sei uomini soli di fronte al mistero, al dubbio, al desiderio di credere in un idea. L'attrezzatura ridotta al minimo - Thor non consente nessuna concessione alle moderne scoperte, solo materiali che gli esploratori di millenni prima avrebbero potuto usare - l'esperienza di mare affidata ad uno solo del gruppo - gli altri sono ex soldati esperti in radiocomunicazioni, un ingegnere e un etnografo - l'equipaggio del Kon-Tiki parte e ben presto si troverà ad affrontare non solo il mare, le tempeste, gli squali e le balene, ma la paura dell'ignoto, la responsabilità di andare avanti a tutti i costi o rinunciare, il rischio di morire e il desiderio di vincere. Non sempre le scelte fra i sei amici saranno prese all'unanimità (Thor getta in mare le funi d'acciaio che potrebbero evitare alla zattera di rompersi per non compromettere l'integrità dell'impresa, Herman arpiona una balena per paura che li ribalti contro il parere degli altri) non sempre l'umore della truppa sarà positivo - nonostante i messaggi rassicuranti che Thor manda via radio ai media di tutto il mondo, accolti dal resto dell'equipaggio con sguardi a dir poco perplessi - e la fine sembra incombere sui giovani vikinghi - biondi, arsi dal sole, smagriti dal poco cibo e spaventati dalle loro stesse paure, ma alla fine, dopo più di tre mesi di navigazione fuori rotta, di incidenti e cadute in mare a pochi passi dagli squali, un uccello arriva a segnalare la terra, e di lì a poco ecco la terra promessa, il sogno che si realizza, lo scetticismo degli scienziati di tutto il mondo che diventa encomio e riconoscimento. Thor Heyerdahl girò un documentario con la sua telecamera durante la traversata e quel documentario vinse l'Oscar, episodio da ricordare perchè anche la ricostruzione filmica di Roenning è candidata agli Oscar 2013 come Miglior Film Straniero. E lo merita, perchè l'epopea fisica e mentale che affrontano i sei giovani è ben girata, ben interpretata e ben sceneggiata, lasciando che sia la natura e la fisicità degli uomini a dettare la rotta, ma facendo intravedere che dietro a tutto ciò c'è la spinta emotiva, la sfida con se stessi, il bisogno di andare oltre i propri limiti conosciuti, anche oltre il dovere familiare - Thor non trova la moglie Viv ed i figli ad aspettarlo in Polinesia, perchè talvolta per inseguire i propri sogni si perde tutto il resto - pur di sentirsi vivi. "Forse la natura ci ha accettato" dice Erik, l'amico di infanzia di Thor, quando le tempeste si placano e gli squali si allontanano, e forse lo spirito di avventura dell'uomo tutto lì, nel diventare tutt'uno con la natura e con l'esserne accettato, e la magnifica distesa d'acqua su cui navigano quei folli, idealisti, istintivi e primitivi norvegesi sembra aver dato loro ragione. Sui titoli di coda apprendiamo che le memorie di Thor Heyerdahl, raccolte in un libro, sono state tradotte in più di 70 lingue e lette da 50 milioni di persone, a testimonianza che il bisogno di inseguire un sogno è e resterà sempre, la spinta vitale degli esseri umani, come ben rappresenta lo sguardo incredulo e felice di Thor al suo arrivo in Polinesia, eterno bambino ed eterno viaggiatore, fuori e dentro di sè.