Quanto Manca?
Capitolo 1
“Quanto manca?” bisbigliò un piccolo fiammifero da un angolo del pavimento. “Ancora un po’ ” rispose sempre a voce bassa una lampadina rotonda, appesa ad un filo che pendeva dal soffitto. “Ma è già buio!” replicò il fiammifero. In effetti il cielo stava rapidamente scurendo fuori dalla finestra in quella fredda e ventosa serata di autunno inoltrato. “Ma non siamo ancora soli…” si intromise con voce stizzosa una vecchia medaglia, interessata solo a se stessa e ai propri ricordi, ma in quell’occasione nessuno poté replicare, perché aveva ragione. Il retrobottega del negozio di un vecchio rigattiere, dove vivevano il fiammifero, la lampadina, la vecchia medaglia e tanti altri oggetti, durante il giorno era semplicemente un retrobottega, silenzioso e buio, ma non appena il proprietario del negozio se ne andava a casa, le cose cambiavano. Ogni notte il retrobottega si animava di voci, di luci, di ricordi. E di storie. Già, perché questa era la regola nel retrobottega del negozio del vecchio rigattiere. Ogni oggetto che arrivava lì dai posti più diversi e più lontani doveva raccontare la propria storia. O anche una storia di fantasia se non si aveva nessuna storia propria. E’ vero che quasi tutti avevano qualche episodio del loro passato da raccontare, tanto più che quasi tutti gli oggetti che arrivavano lì dentro erano piuttosto vecchi, ma ogni tanto capitava qualcuno che non aveva nessuna storia, come il piccolo fiammifero per esempio. Era capitato lì per caso, qualche mese prima. Caduto dal cassetto di una scrivania di legno chiaro e rimasto in un angolo, dimenticato da tutti per parecchi giorni. D’altra parte era così piccolo che risultava impossibile scorgerlo sul pavimento. Poi una sera, dopo che la radio dalla voce melodiosa aveva appena finito di raccontare una sua avventura, nel silenzio si era sentita una vocina flebile flebile che diceva: “ Io non ce l’ho una storia da raccontare…”. |
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Tutti si erano voltati verso l’angolo della stanza da cui avevano sentito provenire la voce. La lampadina da lassù aveva alzato un po’ la luce per vedere meglio e alla fine un paio di occhiali con le lenti rotte aveva esclamato: “ Eccolo lì, è un piccolo fiammifero!”.
"Certo che sono un fiammifero!" aveva replicato lui tutto orgoglioso.
"E perché non hai una storia da raccontare?” aveva chiesto una statuina di bronzo, una ballerina magra ed elegante, con le mani intrecciate sopra la testa, curiosa come sempre.
“Perché non ho mai fatto niente" aveva spiegato mogio il fiammifero “e i miei compagni, quelli che erano con me nella scatola di cartone, dopo essere usciti non sono più tornati per raccontare cosa c'era fuori… io un giorno sono caduto nel cassetto della scrivania e sono rimasto lì fino a pochi giorni fa, quando sono arrivato qui…”.
"Oh che vita. inutile! " aveva commentato con voce acida un ombrello nero, sempre triste, cupo, insoddisfatto. Nei giorni in cui aveva voglia di parlare raccontava di aver attraversato il deserto del Sahara, ma nessuno era disposto a credergli. Era antipatico quasi come la medaglia d'argento, ma solo quasi, perché essere più antipatici della medaglia era impossibile.
“Nessuna vita è inutile!”lo aveva rimproverato un bellissimo carillon con il coperchio d'oro inciso, che stava lì da tantissimi anni perché il vecchio rigattiere lo amava così tanto che non si decideva mai a metterlo in vetrina per venderlo.
"E poi c' è la fantasia, puoi inventare quante storie vuoi. .." aveva suggerito una rosa di seta, scurita dal tempo e un po' impolverata, ma sempre elegante.
"Che cosa è la fantasia?" aveva chiesto il fiammifero stupito.
"Come che cosa è?" avevano riso in coro un po' tutti gli oggetti del retrobottega.
"Ve l’ho detto che non conosco niente io... le uniche storie che conosco sono quelle che ho ascoltato da voi in questi giorni... e non sempre le ho capite... però mi sono piaciute molto..." aveva aggiunto per non sembrare scortese, era un fiammifero molto educato lui.
"Ma qui tutti devono raccontare una storia" era sbottata la medaglia, polemica come sempre.
"E' vero" aveva dovuto ammettere il carillon" ma..."aveva aggiunto vedendo il musetto triste del fiammifero "forse potremmo fare un' eccezione"
"Un’ eccezione… e che cosa è un' eccezione?" aveva voluto sapere il fiammifero.
"Un regalo per te! " aveva replicato la medaglia stizzita.
"Un permesso speciale. .." l' aveva corretta il carillon. "Potrai ascoltare le nostre storie fin quando non avrai imparato ad usare la fantasia per poter inventare una tua storia... che ne dite amici?".
Per un po' c'era stato silenzio, poi i "Va bene","Si può fare", e "D’accordo" avevano cominciato a risuonare nella stanza. E così da quel giorno il fiammifero era stato ammesso alle loro riunioni. E in pochi mesi si era così appassionato che ogni giorno, verso sera, chiedeva impaziente "Quanto manca?". Per questo, quando anche quella sera di autunno, fredda e ventosa, aveva fatto la sua domanda, la lampadina aveva risposto benevola, tanto più che tutti gli oggetti del retrobottega avevano imparato a voler bene
a quel piccolo fiammifero senza storia e senza fantasia. Tutti tranne la medaglia che continuava a prenderlo in giro e a ferirlo con battute cattive. E tranne l'ombrello, che però non amava nessuno.
Fu proprio lui all’ ennesimo "Quanto manca?" del fiammifero a rispondergli "Quanto manca, quanto manca, sempre quanto manca!
Perché invece di chiedere quanto manca non impari a raccontare tu una
storia?". Una provocazione bella e buona. Già, perché il piccolo fiammifero non aveva ancora inventato nessuna storia e ogni volta che qualcuno lo invitava a provarci diceva che era troppo presto, che non era pronto.
"'E' troppo presto, non sono pronto" disse infatti timidamente.
"La mia fantasia non é ancora… come dire, non é ancora abbastanza grande da contenere una storia tutta intera..." cercò di spiegare.
"Un pezzetto solo allora…” propose una scarpetta da ballo di strass luccicanti, con il tacco altissimo.
"Sì, un racconto a puntate! “ lo incoraggiò la ballerina di bronzo. Ma il fiammifero scosse la testa rossa. Non era pronto, non aveva ancora abbastanza fantasia.
“E va bene, racconterà qualcun altro allora. .." disse con tono
autoritario la lampadina. Era lei che dava inizio alle serate accendendosi non appena il rigattiere usciva ed era sempre lei che dava la parola ora all'uno ora all' altro. "Chi vuol raccontare stasera?" chiese dirigendo il fascio di luce" sulla parete di fronte dove stavano un gruppetto di oggetti particolarmente timidi. Per un po' se ne stettero in silenzio poi una bella bambola si fece coraggio e disse "Potrei raccontare io qualcosa... ".
"Sì sì, racconta!“ la incoraggiò il fiammifero.
"E va bene, vi racconterò una Storia capitata ad una mia amica, una storia strana, ma vera… era una bambola viziatissima…
Tanti vestiti,i capelli spazzolati due tre volte al giorno, un posto d'onore a tavola, sotto le coperte calde tutte le sere, il diritto di scegliere le sue compagne di scaffale, le pile cambiate almeno una volta a settimana. Per poter sbattere con grazia le ciglia sugli occhioni blu, per poter camminare con passi incerti verso la sua bambina. Così da anni ormai, tanto che non ricordava neanche più la sua vita precedente, quando in fila con altre bambole aspettava paziente in un negozio di giocattoli che qualcuno si accorgesse di lei. Adesso era il capo indiscusso dei giocattoli, e ogni nuova arrivata
doveva attenersi alle sue regole. Ogni tanto era prepotente e arrogante, a volte teneva il muso senza ragione, certi giorni si rifiutava perfino di giocare con la bambina, ma lei era ormai abituata ai capricci della sua bambola e invece di sgridarla come si sarebbe meritata le regalava un vestito nuovo o le faceva una bella treccia bionda per convincerla a giocare. Le voleva bene, e così la viziava. La accontentava in tutto e per tutto e per niente al mondo la avrebbe lasciata. Se la portava anche all'asilo, dove, la bambola andava di malumore, perché là c'erano altre bambole a cui non sempre riusciva ad imporre il suo volere come invece faceva con quelle di casa. Un paio di volte lei e una brunetta tutta sorrisi avevano litigato e la sua bambina aveva dovuto faticare non poco per farle lasciare i capelli dell'altra. Fosse stato per lei glieli avrebbe strappati tutti, così avrebbe imparato a proporre ogni giorno il gioco della corsa dove lei, un modello più vecchio della brunetta, perdeva regolarmente. I pomeriggi erano più sopportabili, quelli di primavera specialmente. Si andava a giocare al parco e a lei piaceva indossare i vestiti più colorati, lucidarsi i capelli e sedere trionfante nel carrozzino rosso per sfilare nei viali dove i suoi occhi blu facevano ancora voltare parecchie bambine anche se ormai lo smalto si era un po' consumato. Una volta raggiunta la panchina al sole poteva scendere dalla carrozzina e muovere alcuni passi.
Certo la ghiaia rendeva la sua andatura incerta, ma lei ostentava ugualmente un sorriso fiero e si pavoneggiava di fronte alle colleghe incapaci di muoversi. Tutto fino a quel pomeriggio, quando la sua bambina, correndo verso di lei, inciampò in una radice e battè la testa. Lei tentò di avvicinarsi ma la mamma della bambina, con le sue gambe lunghe e senza pile, fu più veloce, la prese in braccio e corse via, dimenticandosi di lei. Cercò di raggiungerle, ma le sue batterie erano programmate per brevi passeggiate, non per corse sfrenate e così in pochi secondi le perse di vista. E adesso che poteva fare? Non era mai stata sola prima di allora. Si guardò intorno. Era così piccola, così lontana da tutti. Passo dopo passo cercò di avvicinarsi ad una bambina che aveva visto poco prima e mentre camminava cercava di rassicurarsi dicendo "non c'è niente di cui spaventarsi, torneranno subito a prendermi". Ma non tornavano. Quando fu vicina alla bambina le sorrise, tanto per farsi prendere in braccio e coccolare un po', ne aveva così bisogno, e la bambina stava per prenderla, quando la sua mamma le disse "No, ferma, non toccarla, chissà di chi è, può essere sporca, vieni via". E così la bambina si allontanò da lei. La bambola era furiosa: se la sua plastica rosa fosse stata pelle sarebbe arrossita di rabbia, come si permetteva quella signora di dire che era sporca, lei che faceva il bagno due volte al giorno, lei, con i capelli profumati e i vestiti sempre nuovi! Sporca! Dio come era offesa, "ma perché non sono un modello con le lacrime?" si chiese stizzita, avrei proprio voglia di piangere adesso! Intanto i minuti passavano, le ore passavano e il cielo si faceva del colore che si fa all'ora di andare a dormire. Non c'erano più bambini intorno, tirava un gran vento e restare in piedi era un problema non da poco. Ma perché non erano tornate a prenderla, perché l'avevano abbandonata lì sola e con le pile che si stavano scaricando? Cominciò ad avere paura sul serio quando alle sue spalle sentì dei passi sulla ghiaia. Due mani la afferrarono e una risata squillò nel silenzio. Chi poteva mai essere? Quando le mani la voltarono vide una ragazza e un ragazzo, divertiti dal ritrovamento.
Le spensero il bottone per camminare e si sedettero su una panchina. La ragazza la mise seduta sulle sue ginocchia. Senza neanche sistemarle la gonna, senza neanche riordinarle i capelli. Pensava a baciare il suo amore, a parlare con lui di un bambino vero, a ridere, a scherzare a passare le mani fra i capelli del suo amore .
Ma di aggiustare i suoi neanche a parlarne, possibile che non si accorgesse che il fermaglio si era aperto e che la frangia era in disordine? Ah no, gli innamorati non erano la compagnia ideale! Ma almeno erano una compagnia… Quando la lasciarono lì seduta sulla panchina e se ne andarono abbracciati, fu presa dal panico "Tante grazie!" pensò stizzita, non potevate almeno riaccendermi le gambe prima di andarvene? Tentò di addormentarsi, ma aveva freddo, fame, e paura, tanta paura, inutile fingere di no come aveva fatto fino ad allora. Tremava addirittura dalla paura, o forse era il vento a scuotere il suo corpo vuoto. All'improvviso un fruscio e una palla di pelo le franò addosso. "Oddio, e adesso che succede?" pensò lei disperata. Un gatto. Ecco quello che succedeva. Un grosso gatto grigio che cominciò a giocare con i suoi capelli."Questo è troppo! " pensò rimpiangendo di non avere uno di quei congegni che facevano urlare certe bambole a scuola. Fino ad allora l'aveva considerato un marchingegno volgare e chiassoso, ma adesso l'avrebbe usato ben volentieri. E quel gatto,che stava mai combinando ai suoi capelli? E ai vestiti! D'improvviso si ritrovò in movimento Il gatto doveva averle acceso le gambe con una zampa. Ah che soddisfazione vederlo scappare spaventato dalle sue gambe agitate in aria!
Certo non era una posizione comoda quella in cui si ritrovava, ma almeno il gatto se ne era andato. "Che fai, ginnastica?" gridò ad un tratto una voce. "Non ci mancava che uno spiritoso!" si disse lei continuando a muovere le gambe nell'aria. Una mano fredda e ruvida la prese su e la portò vicino al viso. Come era brutto, e come era sporco, e che vestiti orribili, e come puzzava! E adesso che poteva fare, quella mano orribile la teneva stretta e con l'altra? ecco, le aveva spento le gambe. In trappola! L'uomo parlava e parlava, e ogni tanto beveva da una bottiglia, però le aveva tirato giù la gonna e tolto i capelli dagli occhi. Meglio che niente. Seduta accanto a lui lo guardò bere poi bere ancora, lo ascoltò parlottare di cose che non capiva, poi l'uomo tirò fuori dei giornali.
"Che vorrà farci"'si chiese la bambola spaventata ma l'uomo li usò per coprirsi e la prese in braccio per non farle avere freddo. In effetti lì sotto si stava proprio bene. Poi l'uomo prese a canticchiarle una ninna nanna simile a quella che le cantava la sua bambina e a cullarla proprio come faceva lei. La bambola aveva tanta nostalgia di casa, però tra le braccia di quell'uomo non si stava male, era buono e generoso anche se sporco e puzzolente, e lei si vergognò di averlo giudicato tanto male e di averne avuto così paura. I minuti passavano, e così, cullata e calda sotto i giornali, si addormentò e forse sognò. Un tonfò la svegliò. Che era successo? Perchè si trovava per terra, in piedi, le gambe in azione? Ah ecco, l'uomo si era girato sulla panchina e urtandola con una mano l' aveva fatta cadere a terra e le aveva acceso le gambe. Non sapeva decidere se quella era una fortuna o meno. Il cielo era chiaro ora, ma dove poteva andare, non ricordava la strada di casa, anche se l'aveva fatta tante volte. Se la prese con se stessa per aver sempre badato solo a farsi ammirare nella carrozzina rossa invece di imparare la strada."Ben mi sta!" si disse "così imparo a preoccuparmi solo di essere bella e ammirata, devo essere così brutta adesso, sporca, spettinata, i vestiti strappati! Che nottata terribile, e le pile stanno finendo! constatò amaramente. Lo sentiva nelle gambe sempre più lente. Dove era la sua bambina, e chissà come stava? Anche il suo amico era ormai lontano, perchè le sue gambe la portavano via mentre lui dormiva ancora sulla panchina. sentì qualcosa di tiepido dietro di sè e sperò che fosse un vento caldo, ma no, era un cane che la annusava curioso. Oh no, era pure grosso! Cercò di allontanarsi, ma le gambe si muovevano a fatica, le pile sempre più scariche. Il cane abbaiò, poi le azzannò un braccio. Che orrore, dove poteva nascondersi? Raccolse tutte le forze, fece un passo, poi un altro, cercando di ignorare la bocca spalancata del cane sul suo corpo, decisa a finire la sua esistenza con dignità. Ancora un passo e sarebbe crollata, ma un fischio arrivò da lontano e il cane la lasciò. Lei tremante cadde a terra. Immobile. Le gambe ferme, doloranti. Aveva la faccia nella polvere, sicura che stesse per arrivare di nuovo il cane. E non le sembrava giusto. Aveva lottato tanto per restare intera, aveva conosciuto tante persone e imparato tante cose, perchè ora doveva finire così? Ma quella che sentiva sulla sua testa non era la bocca del cane, quella era una mano calda, e la stava tirando su! Ed era una mano calda conosciuta! Era la mano calda della sua bambina! Ed era il suo viso quello che sorrideva felice pulendole il viso con un fazzoletto e gridando "L’ho trovata, mamma l'ho trovata!". Ah sì, era proprio il viso della sua bambina, con un bel cerotto in fronte; Era così felice, ma così felice! Le veniva voglia di piangere, piangere lacrime di gioia, se solo fosse stata un modello più nuovo…
"Mamma guarda, sta piangendo!" disse in quel momento la bambina guardando sbalordita il viso della bambola.
"Ma dai, non è possibile, sai che non ha questo meccanismo..." le rispose la mamma. La bambina guardò meglio , ma due belle lacrime stavano là, negli occhi di plastica blu, due vere lacrime di gioia, vere come la paura e la felicità, come il freddo e la fame, vere come tutte le emozioni che quella notte piena di avventure aveva regalato alla sua bambola.
"Ma dai, non ci credo..." commentò la medaglia, acida come sempre.
"Ioinvece sì!" la zittì il fiammifero commosso. Quella storia gli era proprio piaciuta.
"Erano lacrime vere?" volle sapere la ballerina di bronzo.
Sì, vere, salate come tutte le lacrime..." confessò Ia bambola arrossendo.
"Ma allora eri tu! " urlò il fiammifero .
"No no. .." provò a smentire la bambola "io non ho mai. .." .
"E invece sì. .." la interruppe il carillon, saggio e affettuoso come sempre. "Perché non volevi che lo sapessimo? non c'è niente di cui vergognarsi se qualche volta si piange...".
"Lo so, ma non tutti capirebbero le lacrime di una bambola...".
"Noi sì..."la rassicurò la lampadina. "E adesso fate silenzio, il sole è già alto nel cielo e io devo spegnermi prima che arrivi il padrone…”.
"Ma io voglio un’altra storia!" protestò il fiammifero mai sazio.
"Non è possibile, conosci le regole...ma se saprai aspettare con pazienza durante il giorno vedrai che belle storie ascolterai stasera... e adesso silenzio, eccolo che arriva..."
"Certo che sono un fiammifero!" aveva replicato lui tutto orgoglioso.
"E perché non hai una storia da raccontare?” aveva chiesto una statuina di bronzo, una ballerina magra ed elegante, con le mani intrecciate sopra la testa, curiosa come sempre.
“Perché non ho mai fatto niente" aveva spiegato mogio il fiammifero “e i miei compagni, quelli che erano con me nella scatola di cartone, dopo essere usciti non sono più tornati per raccontare cosa c'era fuori… io un giorno sono caduto nel cassetto della scrivania e sono rimasto lì fino a pochi giorni fa, quando sono arrivato qui…”.
"Oh che vita. inutile! " aveva commentato con voce acida un ombrello nero, sempre triste, cupo, insoddisfatto. Nei giorni in cui aveva voglia di parlare raccontava di aver attraversato il deserto del Sahara, ma nessuno era disposto a credergli. Era antipatico quasi come la medaglia d'argento, ma solo quasi, perché essere più antipatici della medaglia era impossibile.
“Nessuna vita è inutile!”lo aveva rimproverato un bellissimo carillon con il coperchio d'oro inciso, che stava lì da tantissimi anni perché il vecchio rigattiere lo amava così tanto che non si decideva mai a metterlo in vetrina per venderlo.
"E poi c' è la fantasia, puoi inventare quante storie vuoi. .." aveva suggerito una rosa di seta, scurita dal tempo e un po' impolverata, ma sempre elegante.
"Che cosa è la fantasia?" aveva chiesto il fiammifero stupito.
"Come che cosa è?" avevano riso in coro un po' tutti gli oggetti del retrobottega.
"Ve l’ho detto che non conosco niente io... le uniche storie che conosco sono quelle che ho ascoltato da voi in questi giorni... e non sempre le ho capite... però mi sono piaciute molto..." aveva aggiunto per non sembrare scortese, era un fiammifero molto educato lui.
"Ma qui tutti devono raccontare una storia" era sbottata la medaglia, polemica come sempre.
"E' vero" aveva dovuto ammettere il carillon" ma..."aveva aggiunto vedendo il musetto triste del fiammifero "forse potremmo fare un' eccezione"
"Un’ eccezione… e che cosa è un' eccezione?" aveva voluto sapere il fiammifero.
"Un regalo per te! " aveva replicato la medaglia stizzita.
"Un permesso speciale. .." l' aveva corretta il carillon. "Potrai ascoltare le nostre storie fin quando non avrai imparato ad usare la fantasia per poter inventare una tua storia... che ne dite amici?".
Per un po' c'era stato silenzio, poi i "Va bene","Si può fare", e "D’accordo" avevano cominciato a risuonare nella stanza. E così da quel giorno il fiammifero era stato ammesso alle loro riunioni. E in pochi mesi si era così appassionato che ogni giorno, verso sera, chiedeva impaziente "Quanto manca?". Per questo, quando anche quella sera di autunno, fredda e ventosa, aveva fatto la sua domanda, la lampadina aveva risposto benevola, tanto più che tutti gli oggetti del retrobottega avevano imparato a voler bene
a quel piccolo fiammifero senza storia e senza fantasia. Tutti tranne la medaglia che continuava a prenderlo in giro e a ferirlo con battute cattive. E tranne l'ombrello, che però non amava nessuno.
Fu proprio lui all’ ennesimo "Quanto manca?" del fiammifero a rispondergli "Quanto manca, quanto manca, sempre quanto manca!
Perché invece di chiedere quanto manca non impari a raccontare tu una
storia?". Una provocazione bella e buona. Già, perché il piccolo fiammifero non aveva ancora inventato nessuna storia e ogni volta che qualcuno lo invitava a provarci diceva che era troppo presto, che non era pronto.
"'E' troppo presto, non sono pronto" disse infatti timidamente.
"La mia fantasia non é ancora… come dire, non é ancora abbastanza grande da contenere una storia tutta intera..." cercò di spiegare.
"Un pezzetto solo allora…” propose una scarpetta da ballo di strass luccicanti, con il tacco altissimo.
"Sì, un racconto a puntate! “ lo incoraggiò la ballerina di bronzo. Ma il fiammifero scosse la testa rossa. Non era pronto, non aveva ancora abbastanza fantasia.
“E va bene, racconterà qualcun altro allora. .." disse con tono
autoritario la lampadina. Era lei che dava inizio alle serate accendendosi non appena il rigattiere usciva ed era sempre lei che dava la parola ora all'uno ora all' altro. "Chi vuol raccontare stasera?" chiese dirigendo il fascio di luce" sulla parete di fronte dove stavano un gruppetto di oggetti particolarmente timidi. Per un po' se ne stettero in silenzio poi una bella bambola si fece coraggio e disse "Potrei raccontare io qualcosa... ".
"Sì sì, racconta!“ la incoraggiò il fiammifero.
"E va bene, vi racconterò una Storia capitata ad una mia amica, una storia strana, ma vera… era una bambola viziatissima…
Tanti vestiti,i capelli spazzolati due tre volte al giorno, un posto d'onore a tavola, sotto le coperte calde tutte le sere, il diritto di scegliere le sue compagne di scaffale, le pile cambiate almeno una volta a settimana. Per poter sbattere con grazia le ciglia sugli occhioni blu, per poter camminare con passi incerti verso la sua bambina. Così da anni ormai, tanto che non ricordava neanche più la sua vita precedente, quando in fila con altre bambole aspettava paziente in un negozio di giocattoli che qualcuno si accorgesse di lei. Adesso era il capo indiscusso dei giocattoli, e ogni nuova arrivata
doveva attenersi alle sue regole. Ogni tanto era prepotente e arrogante, a volte teneva il muso senza ragione, certi giorni si rifiutava perfino di giocare con la bambina, ma lei era ormai abituata ai capricci della sua bambola e invece di sgridarla come si sarebbe meritata le regalava un vestito nuovo o le faceva una bella treccia bionda per convincerla a giocare. Le voleva bene, e così la viziava. La accontentava in tutto e per tutto e per niente al mondo la avrebbe lasciata. Se la portava anche all'asilo, dove, la bambola andava di malumore, perché là c'erano altre bambole a cui non sempre riusciva ad imporre il suo volere come invece faceva con quelle di casa. Un paio di volte lei e una brunetta tutta sorrisi avevano litigato e la sua bambina aveva dovuto faticare non poco per farle lasciare i capelli dell'altra. Fosse stato per lei glieli avrebbe strappati tutti, così avrebbe imparato a proporre ogni giorno il gioco della corsa dove lei, un modello più vecchio della brunetta, perdeva regolarmente. I pomeriggi erano più sopportabili, quelli di primavera specialmente. Si andava a giocare al parco e a lei piaceva indossare i vestiti più colorati, lucidarsi i capelli e sedere trionfante nel carrozzino rosso per sfilare nei viali dove i suoi occhi blu facevano ancora voltare parecchie bambine anche se ormai lo smalto si era un po' consumato. Una volta raggiunta la panchina al sole poteva scendere dalla carrozzina e muovere alcuni passi.
Certo la ghiaia rendeva la sua andatura incerta, ma lei ostentava ugualmente un sorriso fiero e si pavoneggiava di fronte alle colleghe incapaci di muoversi. Tutto fino a quel pomeriggio, quando la sua bambina, correndo verso di lei, inciampò in una radice e battè la testa. Lei tentò di avvicinarsi ma la mamma della bambina, con le sue gambe lunghe e senza pile, fu più veloce, la prese in braccio e corse via, dimenticandosi di lei. Cercò di raggiungerle, ma le sue batterie erano programmate per brevi passeggiate, non per corse sfrenate e così in pochi secondi le perse di vista. E adesso che poteva fare? Non era mai stata sola prima di allora. Si guardò intorno. Era così piccola, così lontana da tutti. Passo dopo passo cercò di avvicinarsi ad una bambina che aveva visto poco prima e mentre camminava cercava di rassicurarsi dicendo "non c'è niente di cui spaventarsi, torneranno subito a prendermi". Ma non tornavano. Quando fu vicina alla bambina le sorrise, tanto per farsi prendere in braccio e coccolare un po', ne aveva così bisogno, e la bambina stava per prenderla, quando la sua mamma le disse "No, ferma, non toccarla, chissà di chi è, può essere sporca, vieni via". E così la bambina si allontanò da lei. La bambola era furiosa: se la sua plastica rosa fosse stata pelle sarebbe arrossita di rabbia, come si permetteva quella signora di dire che era sporca, lei che faceva il bagno due volte al giorno, lei, con i capelli profumati e i vestiti sempre nuovi! Sporca! Dio come era offesa, "ma perché non sono un modello con le lacrime?" si chiese stizzita, avrei proprio voglia di piangere adesso! Intanto i minuti passavano, le ore passavano e il cielo si faceva del colore che si fa all'ora di andare a dormire. Non c'erano più bambini intorno, tirava un gran vento e restare in piedi era un problema non da poco. Ma perché non erano tornate a prenderla, perché l'avevano abbandonata lì sola e con le pile che si stavano scaricando? Cominciò ad avere paura sul serio quando alle sue spalle sentì dei passi sulla ghiaia. Due mani la afferrarono e una risata squillò nel silenzio. Chi poteva mai essere? Quando le mani la voltarono vide una ragazza e un ragazzo, divertiti dal ritrovamento.
Le spensero il bottone per camminare e si sedettero su una panchina. La ragazza la mise seduta sulle sue ginocchia. Senza neanche sistemarle la gonna, senza neanche riordinarle i capelli. Pensava a baciare il suo amore, a parlare con lui di un bambino vero, a ridere, a scherzare a passare le mani fra i capelli del suo amore .
Ma di aggiustare i suoi neanche a parlarne, possibile che non si accorgesse che il fermaglio si era aperto e che la frangia era in disordine? Ah no, gli innamorati non erano la compagnia ideale! Ma almeno erano una compagnia… Quando la lasciarono lì seduta sulla panchina e se ne andarono abbracciati, fu presa dal panico "Tante grazie!" pensò stizzita, non potevate almeno riaccendermi le gambe prima di andarvene? Tentò di addormentarsi, ma aveva freddo, fame, e paura, tanta paura, inutile fingere di no come aveva fatto fino ad allora. Tremava addirittura dalla paura, o forse era il vento a scuotere il suo corpo vuoto. All'improvviso un fruscio e una palla di pelo le franò addosso. "Oddio, e adesso che succede?" pensò lei disperata. Un gatto. Ecco quello che succedeva. Un grosso gatto grigio che cominciò a giocare con i suoi capelli."Questo è troppo! " pensò rimpiangendo di non avere uno di quei congegni che facevano urlare certe bambole a scuola. Fino ad allora l'aveva considerato un marchingegno volgare e chiassoso, ma adesso l'avrebbe usato ben volentieri. E quel gatto,che stava mai combinando ai suoi capelli? E ai vestiti! D'improvviso si ritrovò in movimento Il gatto doveva averle acceso le gambe con una zampa. Ah che soddisfazione vederlo scappare spaventato dalle sue gambe agitate in aria!
Certo non era una posizione comoda quella in cui si ritrovava, ma almeno il gatto se ne era andato. "Che fai, ginnastica?" gridò ad un tratto una voce. "Non ci mancava che uno spiritoso!" si disse lei continuando a muovere le gambe nell'aria. Una mano fredda e ruvida la prese su e la portò vicino al viso. Come era brutto, e come era sporco, e che vestiti orribili, e come puzzava! E adesso che poteva fare, quella mano orribile la teneva stretta e con l'altra? ecco, le aveva spento le gambe. In trappola! L'uomo parlava e parlava, e ogni tanto beveva da una bottiglia, però le aveva tirato giù la gonna e tolto i capelli dagli occhi. Meglio che niente. Seduta accanto a lui lo guardò bere poi bere ancora, lo ascoltò parlottare di cose che non capiva, poi l'uomo tirò fuori dei giornali.
"Che vorrà farci"'si chiese la bambola spaventata ma l'uomo li usò per coprirsi e la prese in braccio per non farle avere freddo. In effetti lì sotto si stava proprio bene. Poi l'uomo prese a canticchiarle una ninna nanna simile a quella che le cantava la sua bambina e a cullarla proprio come faceva lei. La bambola aveva tanta nostalgia di casa, però tra le braccia di quell'uomo non si stava male, era buono e generoso anche se sporco e puzzolente, e lei si vergognò di averlo giudicato tanto male e di averne avuto così paura. I minuti passavano, e così, cullata e calda sotto i giornali, si addormentò e forse sognò. Un tonfò la svegliò. Che era successo? Perchè si trovava per terra, in piedi, le gambe in azione? Ah ecco, l'uomo si era girato sulla panchina e urtandola con una mano l' aveva fatta cadere a terra e le aveva acceso le gambe. Non sapeva decidere se quella era una fortuna o meno. Il cielo era chiaro ora, ma dove poteva andare, non ricordava la strada di casa, anche se l'aveva fatta tante volte. Se la prese con se stessa per aver sempre badato solo a farsi ammirare nella carrozzina rossa invece di imparare la strada."Ben mi sta!" si disse "così imparo a preoccuparmi solo di essere bella e ammirata, devo essere così brutta adesso, sporca, spettinata, i vestiti strappati! Che nottata terribile, e le pile stanno finendo! constatò amaramente. Lo sentiva nelle gambe sempre più lente. Dove era la sua bambina, e chissà come stava? Anche il suo amico era ormai lontano, perchè le sue gambe la portavano via mentre lui dormiva ancora sulla panchina. sentì qualcosa di tiepido dietro di sè e sperò che fosse un vento caldo, ma no, era un cane che la annusava curioso. Oh no, era pure grosso! Cercò di allontanarsi, ma le gambe si muovevano a fatica, le pile sempre più scariche. Il cane abbaiò, poi le azzannò un braccio. Che orrore, dove poteva nascondersi? Raccolse tutte le forze, fece un passo, poi un altro, cercando di ignorare la bocca spalancata del cane sul suo corpo, decisa a finire la sua esistenza con dignità. Ancora un passo e sarebbe crollata, ma un fischio arrivò da lontano e il cane la lasciò. Lei tremante cadde a terra. Immobile. Le gambe ferme, doloranti. Aveva la faccia nella polvere, sicura che stesse per arrivare di nuovo il cane. E non le sembrava giusto. Aveva lottato tanto per restare intera, aveva conosciuto tante persone e imparato tante cose, perchè ora doveva finire così? Ma quella che sentiva sulla sua testa non era la bocca del cane, quella era una mano calda, e la stava tirando su! Ed era una mano calda conosciuta! Era la mano calda della sua bambina! Ed era il suo viso quello che sorrideva felice pulendole il viso con un fazzoletto e gridando "L’ho trovata, mamma l'ho trovata!". Ah sì, era proprio il viso della sua bambina, con un bel cerotto in fronte; Era così felice, ma così felice! Le veniva voglia di piangere, piangere lacrime di gioia, se solo fosse stata un modello più nuovo…
"Mamma guarda, sta piangendo!" disse in quel momento la bambina guardando sbalordita il viso della bambola.
"Ma dai, non è possibile, sai che non ha questo meccanismo..." le rispose la mamma. La bambina guardò meglio , ma due belle lacrime stavano là, negli occhi di plastica blu, due vere lacrime di gioia, vere come la paura e la felicità, come il freddo e la fame, vere come tutte le emozioni che quella notte piena di avventure aveva regalato alla sua bambola.
"Ma dai, non ci credo..." commentò la medaglia, acida come sempre.
"Ioinvece sì!" la zittì il fiammifero commosso. Quella storia gli era proprio piaciuta.
"Erano lacrime vere?" volle sapere la ballerina di bronzo.
Sì, vere, salate come tutte le lacrime..." confessò Ia bambola arrossendo.
"Ma allora eri tu! " urlò il fiammifero .
"No no. .." provò a smentire la bambola "io non ho mai. .." .
"E invece sì. .." la interruppe il carillon, saggio e affettuoso come sempre. "Perché non volevi che lo sapessimo? non c'è niente di cui vergognarsi se qualche volta si piange...".
"Lo so, ma non tutti capirebbero le lacrime di una bambola...".
"Noi sì..."la rassicurò la lampadina. "E adesso fate silenzio, il sole è già alto nel cielo e io devo spegnermi prima che arrivi il padrone…”.
"Ma io voglio un’altra storia!" protestò il fiammifero mai sazio.
"Non è possibile, conosci le regole...ma se saprai aspettare con pazienza durante il giorno vedrai che belle storie ascolterai stasera... e adesso silenzio, eccolo che arriva..."