Agosto 2012
Womb - di Benedek Fliegauf con Eva Green, Matt Smith, Lesley Manville, Peter Wight ***
Il titolo del film, Womb - grembo - ha già in sè tutti gli elementi che compongono la trama, perchè la maternità e tutte le sue complesse implicazioni psicologiche sono al centro di un racconto che si svolge nel futuro, ma un futuro davvero molto vicino a noi, che il regista Fliegauf non enfatizza con gadget tecnologici o altre amenità tipiche delle pellicole che vogliono farci capire che cosa ci aspetta, ma svela con timidi accenni a poche essenziali variazioni, come ad esempio la ormai accertata, ma non ancora del tutto accettata, pratica della clonazione umana. Due bambini, Rebecca e Tommy, alle soglie dell'adolescenza si conoscono sulle spiagge spazzate dal vento del Mare del Nord, diventano complici e compagni di giochi e pochi mesi dopo si scambiano un imbarazzato bacio prima della partenza di lei per il Giappone dove si trasferirà con la madre. Anni dopo Rebecca torna su quelle stesse spiagge, con una laurea in matematica e si stabilisce a vivere nella casa del nonno ormai morto, e naturalmente la prima cosa che fa è andare a cercare Tommy, che fa il biologo e alleva scarafaggi da liberare durante una manifestazione del gruppo di ambientalisti cui appartiene contro la costruzione di un immenso centro benessere là dove c'erano meravigliose spiagge incontaminate. L'amore tra i due nasce, o meglio rinasce, come se fosse la cosa più naturale, come se quello fosse il loro destino, quasi che non ci fosse spazio per niente e nessuno - e infatti la ragazza che si trova a casa di Tommy quando Rebecca arriva toglie il disturbo dopo pochi minuti, consapevole di essere di troppo in mezzo a quegli sguardi ritrovati. La felicità dura poco però, pochissimo, perchè un incidente stradale spezza la vita di Tommy, e di conseguenza anche quella di Rebecca. Che però non si rassegna a perdere l'uomo che ha amato e decide di farsi impiantare in utero un clone di Tommy. La scelta successiva è isolarsi dal mondo, crescere quel bambino in una casa sulla spiaggia, parlando con pochissime persone e creando un rapporto viscerale, intimo e pericoloso con quel figlio che crescendo assomiglia sempre più al ragazzo di cui si è innamorata tanti anni prima. Inevitabilmente ci sarà una rivelazione dolorosa e i rapporti non potranno più essere gli stessi, e altrettanto inevitabilmente quel figlio-marito non darà a Rebecca la gioia che credeva di poter ritrovare, ma resta di fondo un legame unico e inscindibile fra due esseri umani che hanno attraversato il confine emotivo conosciuto e che ne saranno per sempre segnati. Intensi gli interpreti, con visi espressivi e anticonvenzionali, lontanissimi dalle perfette e vuote bellezze hollywoodiane, su tutti la giovane Eva Green, già piccola musa di Bertolucci e Matt Smith, visto in "Christopher and his kind", superbe le locations che con il vento, le onde, gli acquazzoni e il freddo accentuano il senso di ruvido, di faticoso, di incombente che accompagna l'intera esistenza di Rebecca, una donna che non si rassegna, e che paga il prezzo delle proprie scelte in silenzio, senza cercare comprensione, perchè la solitudine che ha scelto è la stessa solitudine di tutti coloro che non hanno paura di sfidare il mondo per amore, e di perdere tutto, anche se stessi.
Eva - di Kike Maillo con Daniel Brühl, Lluís Homar, Alberto Ammann, Marta Etura ***
Fantascienza, sentimenti, una venatura di thriller e interrogativi etici a volontà nella pellicola di Maillo, un sorprendente film spagnolo curato nei dettagli e negli effetti speciali come un blockbuster americano ma con un'anima profonda e toccante decisamente mediterranea. Il protagonista è Alex Garel, giovane progettista di robot che dopo dieci anni di esilio volontario torna al laboratorio della sua città natale, dove aveva abbandonato, prima di partire, il progetto di un robot in tutto e per tutto umano, emozioni e sentimenti compresi. Tra irrisolti conflitti familiari e sentimentali e ardite sperimentazioni la vita di Alex si arricchisce in breve di un laboratorio super attrezzato in quella che era stata la casa dei suoi genitori, con mappe genetiche che prendono vita nello spazio con immagini fluide estremamente eleganti e suggestive, di un gatto robot libero, perciò pasticcione e dispettoso come un gatto vero, di un maggiordomo robot, efficiente e simpaticissimo, di una ex fidanzata Lana che adesso è la moglie di suo fratello David e di una bambina, Eva, dalla lingua tagliente e dai comportamenti sbarazzini. E' simpatia a prima vista e quando scopre che la bambina è figlia del fratello e della sua ex fidanzata decide di farla diventare il modello per il suo "robot simpatico". Le cose non andranno a finire bene, perchè Eva non è semplicemente una bambina bella, indipendente ed intelligente, è il prodotto di quell'esperimento che Alex aveva lasciato interrotto anni prima e su cui ha appena ripreso a lavorare, Eva è quel robot simpatico che Lana ha terminato al posto suo. Ma la bambina ignora la sua natura, e quando lo scoprirà il destino di tutti loro sarà segnato per sempre. Perchè la scienza può spingere i propri confini sempre un po' oltre, ma non sempre gli esseri umani e le loro repliche computerizzate sono in grado di gestire quelle emozioni che da secoli sono immutate, eppure sempre sconvolgenti quando si provano per la prima volta. I sensi di colpa si intrecciano all'ambizione, i dubbi vengono silenziati dal desiderio di dar vita ad una creatura unica e irripetibile, la sindrome del dottor Frankenstein viene evocata nella scena in cui un bambino robot prende vita allungando un braccio nel vuoto come la celebre creatura nel film tratto dal capolavoro di Shelley, e la disperazione finale di Alex nel dover "spegnare" Eva non ha niente a che fare con il dispiacere dello scienziato che vede fallire un proprio progetto mentre si avvicina molto al dolore di qualunque padre che deve staccare la spina ad un figlio. Poetico, riflessivo senza voler fare della morale o del moralismo, Eva solleva interrogativi, ci fa intravedere un futuro estremamente prossimo e ci comunica il costante bisogno degli esseri umani di lasciare una traccia di sè. Forse un pizzico deludente è la chiusura asciutta, quasi frettolosa, senza dar spazio al tormento profondo di Eva, senza lasciare che il suo sguardo sgomento abbia il tempo di diventare coscienza e con essa consapevolezza di ciò che comporta l'essere umani. Ma resta l'indubbio merito di avvolgerci in una rete lieve di sentimenti e riflessioni profonde condotti per mano da una deliziosa creatura, e poco importa se sia una bambina o un robot simpatico. Perchè Eva è il risultato di sogni e desideri completamente umani, e proprio per questo magnifici e terrificanti come i tutti i sogni di noi umani, ieri come oggi, come in un qualunque possibile domani.
Nudi e Felici -
di David Wain con Paul Rudd, Jennifer Aniston, Justin Theroux,
Alan Alda *
Commedia leggera che più leggera non si può, che sfrutta i nomi dei protagonisti - una Jennifer Aniston sempre uguale a se stessa, un Paul Rudd lontano dal candore di "Quell'idiota di nostro fratello" e un Alan Alda che si prende in giro interpretando un vecchietto smemorato - senza però riuscire ad imbastire una trama originale o dei dialoghi brillanti. La coppia di newyorkesi George e Linda sono in difficoltà, lui ha appena perso il lavoro, lei non riesce a vendere il suo tristissimo documentario sui pinguini ammalati di cancro alla Hbo e così decidono di lasciare la città per trasferirsi dal fratello di lui, tranne scoprire che il ricco e maleducato Rick non può far altro che umiliarli e intristirli ancor di più e così decidono di fermarsi presso una comunità fuori dal tempo, l'Elysium, capitanata da un guru pseudo carismatico, dove si pratica il nudismo, si mangia vegano, si fumano droghe varie e si pratica l'amore libero. Neanche a dire le reazioni dei due borghesissimi cittadini saranno al centro degli equivoci e delle situazioni paradossali che il regista David Wain dissemina con scarsa ispirazione lungo tutta la pellicola. E' tutto estremamente stereotipato, già visto, perchè la rappresentazione ironica ed affettuosa dei post hippies è già stata usata ed abusata infinite volte, e niente aggiunge la esilissima trama di atti di proprietà rubati, di tradimenti e inganni che si srotolano stancamente fino ad un finale consolatorio e scontatissimo. Un film decisamente superfluo quindi, con l'unico pregio di regalarci alcuni errori del cast in sottofinale, che ci strappano quei sorrisi che latitano lungo tutta la pellicola.
Travolti dalla Cicogna - di Rémi Bezançon con Louise Bourgoin, Pio Marmaï, Josiane Balasko, Thierry Frémont **
Idealizzare la gravidanza come evento cardine nella vita di una donna o demonizzare l'ingombrante pancia come metafora di future depressioni e inquietudini? Bezancon rimane a lungo in bilico, scivolando talvolta sugli aspetti più emozionanti della maternità e accentuando, anche ironicamente, i disagi fisici e psicologici che ogni donna deve affrontare, spesso in silenzio per non sentirsi rispondere "Ma di che ti lamenti, hai appena avuto un figlio, è l'esperienza più intensa che possa capitare ad una donna"! E così Barbara, la bellissima Loiuse Bourgoin già vista in "Adele e l'enigma del faraone" di Besson e nel recente "L'amore dura tre anni", ad un passo dalla laurea, si lascia convincere dal proprio compagno Nicolas ad avere un figlio. La decisione è presa sull'onda dell'entusiasmo, sostenuta da un amore nato fra videocassette romantiche e vacanze infuocate di passione, e sembra preludere ad un radioso futuro per la coppia in procinto di diventare famiglia. Ma la gravidanza cambia le carte in tavola, trasforma corpi ed umori, piega i sogni e desideri e il futuro si fa incerto, quasi spaventoso, perchè non c'è solo la felicità di tenere fra le braccia Léa, la piccola nata dopo nove mesi passati fra incertezze ed entusiasmi, da portare a casa dalla clinica, c'è anche la dura realtà fatta di notti insonni e corpi lacerati, di solitudine e di incomprensioni di coppia, e c'è la consapevolezza che la libertà di decidere della propria vita è svanita per sempre, che la spensieratezza ha lasciato il posto ad un responsabilità indesiderata e che l'amore non sempre basta a fronteggiare una quotidianità fatta di rinunce e incomprensioni. I momenti di tenerezza fra Barbara e Lèa sono l'apostrofo rosa di un momento imperfetto che culturalmente e ancestralmente si è portati a ritenere magico, ma che è anche tanto di più complesso, e pericoloso per l'equilibrio di una coppia. Bezancon, pur mantenendo il tono del film leggero e ricco di ironia, non nasconde le trappole emotive e le reali difficoltà che ogni donna si trova ad affrontare, spesso in solitudine, nei primi mesi di maternità. Nicolas è inadeguato a comprendere le fragilità di Barbara e il pianto liberatorio di lei quando il medico che la sta seguendo le fa i complimenti per il suo perineo tornato elastico dopo l'episiotomia è uno dei momenti più sinceri ed emozionanti del film perchè allo stupore del medico Barbara replica con la disarmante frase "Mi scusi se piango, ma il suo è il primo complimento che ricevo da quando è nata Léa mesi fa" e questo la dice lunga su quanto la maternità annulli, sia pure temporaneamente, la femminilità di una donna e di quanto possa essere devastante se non si ha accanto un uomo capace di accogliere lo smarrimento che ne deriva. Il finale è aperto, come la vita, alle miriadi di sliding doors che ogni giorno ci si aprono davanti e seppure si poteva approfondire disagi e turbamenti con qualche sfumatura introspettiva in più (il disagio di Nicolas ad esempio rimane sempre sullo sfondo, relegato a qualche sfogo con l'amico scapolone, mentre il disagio maschile di fronte alla maternità è cosa ben più articolata) il film ha comunque il pregio di non suggerire teoremi e di non dare giudizi, facendoci anche sorridere in più occasioni, con schiettezza e onestà, e con garbo tutto francese.
Bed Time - di Jaume Balagueró con Luis Tosar, Marta Etura, Alberto San Juan,
Pep Tosar **
Tensione psicologica, inquietudine a fior di pelle, malessere latente che sfocia nella cattiveria pura, quella senza sensi di colpa o rimorsi, propria dei sociopatici, fatta di vendette covate da sempre che non scalfiscono però la disperazione di fondo. Perchè César, il protagonista di questo originale thriller spagnolo è segnato dall'infelicità, un'infelicità assoluta e senza possibilità di essere scalfita, se non nel perfido proposito di far soffrire chi gli è vicino, tanto più se sorride alla vita. E allora ecco che Clara, una giovane gentile, generosa ed ottimista diventa la vittima perfetta. César è in posizione privilegiata per introdursi nella casa e nella vita di Clara, essendo il portiere dello stabile in cui la ragazza vive. Nottetempo si introduce nell'appartamento di lei, si sdraia sotto al suo letto, aspetta che si addormenti, poi la narcotizza e mette in atto il suo piano, fatto di piccole ripicche all'inizio - una sostanza spalmata in bagno le provocherà una brutta allergia, una mela marcia darà il via ad un'invasione di insetti - per poi alzare la posta, arrivando a minare il futuro stesso della ragazza. Lo sguardo di Luis Tosar regala a Cèsar un'inquietudine trattenuta durante il giorno, per lasciar spazio alla follia notturna, a quel gorgo di rabbia e rancore verso l'umanità intera che lo porta talvolta sull'orlo del suicidio ma che si risolve sempre con un atto di violenza verso gli altri, perchè solo nell'infelicità altrui la sua disperazione può trovare una momentanea pace. Le visite alla madre malata, e il rapporto ambiguo con una bambina che ha scoperto il lato oscuro della personalità di Cesar sono gli unici momenti di debolezza di un uomo svuotato, ma che da quel vuoto trae forza, nutrendosi del dolore altrui con una semplicità e una naturalezza che invece di abbassare il volume sull'orrore di una mente malata lo acuiscono e lo rendono più inquietante. La scelta di Balaguerò di non ricorrere a scene madri o a colpi di scena sottolineati da musiche ricche di tensione ma di diluire la suspance in lunghe scene mai rivelate fino in fondo è originale ed elegante e non a caso una fra le più crudeli sequenze è annidata in un apparentemente banale dialogo fra César e un'anziana inquilina del palazzo. Da brivido, senza bisogno di sangue o di sguardi allucinati. E il messaggio del regista - comunicare che talvolta l'infelicità diventa talmente insopportabile da aver bisogno di annientare la felicità altrui - è dolente e attuale, specchio di una disperazione che la cronaca ci riporta ogni giorno come movente per delitti atroci e apparentemente incomprensibili.
Dream House -
di Jim Sheridan con Naomi Watts, Daniel Craig, Rachel Weisz,
Joe Pingue ***
Echi del passato, giochi di una mente malata, fantasie evocate dall'impossibilità di accettare il dolore, persone care morte da tempo che tornano in vita e scompaiono nuovamente. Detta così la trama del nuovo film di Jim Sheridan potrebbe ricordare quella di tanti altri film che si avventurano nel territorio oscuro di menti labili che non riescono a distinguere il reale dall'immaginario, ma non fatevi ingannare dall'uscita estiva, siamo di fronte ad un film di atmosfera solido e toccante, che, anche se con qualche ingenuità di sceneggiatura specie nella chiusura della trama, non si fatica ad accostare a "Shutter Island" o "Il sesto senso". Il protagonista Will Attenton, uomo di successo, decide di trasferirsi fuori città con la moglie Libby e le due figlie, per dedicarsi maggiormente alla famiglia. Idilliache scene iniziali sono sempre foriere di prevedibili tragedie e infatti episodi inquietanti cominciano a turbare la pace della famiglia. Senza svelare troppo della trama che Sheridan distribuisce in un crescendo di solida suspance, sarà un lungo percorso ad ostacoli quello che Will dovrà percorrere per sbrogliare una matassa che è fatta di sofferenza, di colpe, di morte e di follia. E come in un puzzle grondante dolore ogni incastro porta al successivo, facendo emergere un delitto atroce, una famiglia distrutta, un uomo incapace di riemergere da quell'incubo se non inventandosi un altro se stesso. Struggente parabola del lutto oltre che vibrante thriller psicologico "Dream house" si avvale di un cast all stars con Daniel Craig, fortunatamente lontano dai muscoli un po' tonti di James Bond, capace di imprimere al suo Will uno sguardo sconcertato e coraggioso, capace di guardare dentro se stesso pur sapendo di essere destinato a trovare l'abisso, una Rachel Weisz dolce, materna, avvolgente e salvifica grazie alla forza dell'amore e una Naomi Watts ambigua e seducente nel suo essere sottomessa ad un marito violento.