Recensioni 2011
Una Separazione
Dopo "About Ally" torna alla regia Asghar Farhadi, cineasta iraniano che è riuscito a far distrubuire i suoi film in patria senza incorrere in censure e veti. La storia è semplice ed universale: una coppia in procinto di separarsi, una figlia contesa fra una madre che vuole andare all'estero e un padre che vuole rimanere in Iran ad accudire il padre malato di Alzhaimer. Elemento inizialmente di contorno ma poi sempre più protagonista la badante del vecchio padre, che innescherà un meccanismo parossistico di accuse e rivendicazioni fra la sua famiglia e quella dei datori di lavoro. Certe scene in cui tutti i protagonisti si urlano contro senza ascoltare l'altro potrebbero svolgersi in qualunque salotto borghese di uno srcipt di Woody Allen o di Bergman ( a seconda se si voglia cogliere il lato umoristico o drammatico degli eventi) ma naturalmente nel film di Farhadi c'è molto di più, ci sono le tradizioni religiose che condizionano la vita dei protagonisti, c'è la metafora della progressiva perdita di memoria del genitore in un paese dove guardare al futuro dimentichi del passato è chiaramente impossibile, c'è lo sguardo deluso e sperduto delle bambine, disorientate da menzogne e convenienze tipiche degli adulti. Un magnifico film quindi, intimo e sociale, capace di sondare i dubbi e le fragilità che ogni decisione importante porta con sè. Farhadi non si schiera con nessuna verità, le rende invece tutte credibili, e proprio per questo inconciliabili. Fino ad un finale sofferto e incerto, proprio come la vita.
Tomboy
Tomboy è la definizione di un maschiaccio, una bambina che ha comportamenti ed atteggiamenti maschili, ma la regista francese Celine Sciamma va oltre e ci fa entrare nel mondo adolescenziale pieno di dubbi e incertezze di Laure che si è appena trasferita in una nuova casa con la sua famiglia, papà piuttosto assente, sorellina più piccola e mamma in attesa del terzo figlio. Nel presentarsi ai bambini di quartiere Laure improvvisamente dice di chiamarsi Michael e da quel momento per i suoi nuovi amici sarà un maschio, che giocherà a calcio, farà innamorare una coetanea e cercherà la propria identità con la compicità della sorellina che si unirà al "gioco" con ingenuo entusiasmo. Naturalmente prima o poi la verità verrà fuori e Laure dovrà confrontarsi con la sua vera natura. Senza mai rifugiarsi in stereotipi o in preconcetti sull'identità sessuale dell'adolescenza Sciamma ci regala un ritratto delicato e sincero di una creatura in evoluzione, tanto dolce e delicata quando fa il bagno alla sorellina, quanto "dura" nei contrasti di gioco. I momenti di tenerezza con Lisa, la bambina che si innamorerà di Laure credendolo Michael sono intensi e profondi, e le scene spensierate e felici ambientate in famiglia ci dicono apertamente che non c'è necessariamente un ambiente problematico dietro alla confusione e allo sperdimento adolescenziale. La protagonista è semplicemente perfetta nei suoi smarrimenti e ci ricorda come la crescita sia un passaggio doloroso ma inevitable, e che solo seguendo il proprio istinto si può dare forma a se stessi.
Le Avventure di Tintin – Il Segreto dell’Unicorno
E’ finalmente uscito, presentato al festival internazionale del film di Roma, l’atteso film su Tintin al quale Steven Spielberg aveva pensato fin dalla uscita del primo Indiana Jones. Infatti la stampa europea aveva paragonato il coraggioso archeologo proprio alla figura e alle avventure del cronista col ciuffo e Spielberg, che ovviamente non conosceva il personaggio del fumetto visto che negli Stati Uniti non era noto, appena lette se sue storie se ne innamorò al punto di progettarne un film. Oggi la sua scelta tecnica è stata quella di utilizzare la capture motion che prevede l’uso di sensori sul viso e sul corpo di veri attori che vengono ripresi con una videocamera digitale ad alta definizione e poi ogni fotogramma viene generato dal computer su fattezze e fondali disegnati dagli animatori. Il risultato è un cartone animato ma con una fluidità eccezionale e nella fattispecie dato l’uso del 3D e degli effetti speciali, di grandissimo impatto visivo.
L’unico aspetto negativo è la durata della gestazione del film, infatti le riprese con gli attori si sono concluse più di due anni fa ma ci sono voluti altri due anni per il rendering dei fotogrammi, per cui se si farà un seguito di questo film non c’è da attenderlo a breve. Il film si basa su tre albi di Hergé (pseudonimo di Georges Remi): Il Granchio d’oro, Il segreto del Liocorno (Vedi figura 1) )(una piccola curiosità è che il titolo italiano di questa storia, pubblicata per la prima volta nel 1943, è appunto Il segreto del Liocorno invece che dell’Unicorno come nel film) e Il tesoro di Rakam il Rosso. La trasposizione da fumetto a film era ciò che più suscitava la curiosità degli appassionati della pagina colorata ma è stata risolta in maniera molto interessante, i due Tintin non sono uguali come disegno ma dopo pochi minuti ci si abitua al personaggio filmico e man mano lo si apprezza sempre più grazie anche all’umanità delle espressioni del viso.
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Ecco per esempio (figure 3 e 4) come viene rappresentata nelle due modalità la stessa scena in cui Tintin ha appena comprato il modellino della nave che dà il titolo al film. I bei colori piatti del fumetto lasciano il posto alla profondità e al movimento in modo estremamente soddisfacente. La storia si dipana velocemente e il ritmo diventa sempre più incalzante fino all’inseguimento nella reggia di Baggahar che è addirittura entusiasmante e ricorda da vicino il famoso inseguimento di Indiana Jones sui carrellini della miniera in I Predatori dell’Arca Perduta del 1981.
Ma a proposito di citazioni Spielberg ne fa un’altra di se stesso: Tintin sta nuotando verso l’idrovolante dei cattivi e si vede il suo famoso ciuffo fendere l’acqua come l’altrettanto famosa pinna dorsale del suo film Lo Squalo del 1975 (Vedi figura 5). Oppure fa dire al rigattiere che vende a Tintin il modellino dell’unicorno: “Tutta brillantina e niente calzini” richiamando la celebre frase “Tutte chiacchiere e distintivo!” pronunciata da DeNiro-Al Capone negli Intoccabili.
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Poi ci sono i due poliziotti gemelli i cui nomi in originale sono Dupont e Dupond che pur essendo diversi in francese si pronunciano allo stesso modo (e che in inglese, per lo stesso motivo diventano Thomson and Thompson) che mantengono le loro prerogative anche nel film diventando l’aspetto comico della storia con la loro incompetenza. E pensare che Hergé ha tratto ispirazione dalle figure del padre e dello zio.
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I personaggi che accompagnano Tintin in questo film sono l’irascibile capitano Haddok (vedi figura 6) che nella versione digitale è di una intensità eccezionale, molto più che nel fumetto, con una grande espressività del viso dovuta al capture motion dove si vedono anche le piccole rughe intorno agli occhi. (Niente a che vedere con l’espressività di certe attrici che a forza di Botox non riescono a muovere più nulla).
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E che dire poi dell’inseparabile cagnolino Milù, personaggio fondamentale per Hergé che lo umanizza talmente da farlo parlare nelle sue storie e che anche Spielberg nel film rende animale che capisce infatti quando Tintin gli chiede: “Milù, per caso hai visto la lente d’ingrandimento?” lui subito, affettuoso, gliela porta (Vedi figura 7).
In definitiva un bel film non solo per gli appassionati del fumetto ma anche per chi non aveva mai sentito parlare di Tintin, esattamente come Spielberg nel 1981…
In definitiva un bel film non solo per gli appassionati del fumetto ma anche per chi non aveva mai sentito parlare di Tintin, esattamente come Spielberg nel 1981…
Cavalli
Nel panorama piuttosto stereotipato della cinematografia italiana contemporanea il film di Michele Rho merita di essere visto per la sua originalità, sia pura venata da qualche imperfezione. Innanzitutto l’ambientazione, un ottocento rurale sugli Appennini, due fratelli troppo presto orfani di madre cresciuti in modo brusco da un padre impacciato nei sentimenti (come del resto era prassi a quei tempi in quel contesto sociale )che sa esprimere il suo affetto solo regalando ai ragazzi due cavalli da domare. Seguiamo la crescita di Alessandro e Pietro, la loro simbiosi perdersi negli anni dell’adolescenza, quando i loro caratteri li porteranno a prendere strade diverse, uno ansioso di evadere dal piccolo mondo di paese, l’altro desideroso di mettere radici e diventare allevatore di cavalli. Ci saranno scontri, riconciliazioni, scene madri e qualche snodo narrativo è fin troppo prevedibile, ma nel complesso la recitazione asciutta e misurata di Vinicio Marchioni e di Michele Alhaique rende credibili i personaggi e i paesaggi aspri in cui si muove questa Italia ormai lontana ha un sapore dolceamaro che fa passare in secondo piano qualche lacuna di sceneggiatura e di recitazione nei personaggi di contorno, troppo moderni nella dizione e nella gestualità.
Melancholia
Ogni volta che ci si appresta a vedere un nuovo film di Lars Von Trier si deve essere preparati ad ogni sorta di reazione: entusiasmo, delusone, irritazione, emozione profonda. L’ultima pellicola dell’ideatore di Dogma racchiude in sé un po’ tutti questi elementi. L’imminente passaggio di un pianeta che potrebbe distruggere la Terra incombe fin dalle scene iniziali, profetiche e dolorose, accompagnate dalle vibranti note del Tristano e Isotta di Wagner. L’atmosfera apparentemente festosa per il ricevimento di nozze di una delle due sorelle protagoniste lascia presto il posto ad abissi emotivi, a dinamiche familiari irrisolte e confronti pregni di sentimenti complessi. La scelta di dividere il film in due parti, dedicate rispettivamente a Justine, sorridente sposina che di minuto in minuto vedremo crollare sotto il peso di un’inquietudine di vecchia data, e a Claire, solida e rassicurante madre e moglie che dovrà fronteggiare l’imminente catastrofe facendosi carico dell’intera famiglia, sembra voler testimoniare che la nostra natura è sempre duale, e che di fronte alla sofferenza ogni reazione è imponderabile, anche quella di chi apparentemente ha il controllo della realtà e delle emozioni come il marito di Claire. Siamo disarmati davanti alla poesia di certe scene quasi oniriche che accompagnano l’epilogo, ma siamo anche sconcertati di fronte al bisogno sistematico di ridondanza simbolica che accompagna alcuni passaggi. Ma se non ci fossero dei passaggi enigmatici e dei punti oscuri che Von Triar sarebbe?
L’Amore all’Improvviso
Ci sono attori ed attrici il cui nome basta a fare di ogni loro nuovo film un blockbuster. Tra questi ci sono sicuramente Tom Hanks e Julia Roberts. Che però in questo caso ci regalano un piccolo film che non è balzato in testa agli incassi. Ed è un peccato, perché al di là di alcune ingenuità e di una sceneggiatura (scritta dallo stesso Hanks con Nia Vardalos del “Mio grosso grasso matrimonio greco”) che sa di già visto la seconda regia di Tom Hanks parecchi anni dopo Music Graffiti racconta due personaggi ammaccati dalla vita che trovano la forza di rimettersi in gioco. Come avrete capito siamo di fronte ad un classico dell’ american way of life, al rimboccarsi le maniche, al non arrendersi di fronte alle difficoltà. Tom Hanks è stato appena licenziato perché non è andato al college e Julia Roberts si trascina stancamente fra un matrimonio al tramonto e un lavoro, l’insegnamento ad uno sparuto gruppo di alunni all’Università, che non la entusiasma più. Si incontreranno, si scontreranno, si aiuteranno, si innamoreranno. E nel farlo impareranno a conoscere un po’ di più loro stessi, i loro desideri, i loro limiti. Ed è proprio nei momenti più malinconici che il film decolla, in quegli sguardi increduli di Tom Hanks e in quelli di fuoco di Julia Roberts, ancora capace di far innamorare la macchina da presa con il suo sorriso. L’affiatamento fra i due è palpabile, alcune scene con la comprimaria compagna di college di Hanks decisamente divertenti e il lieto fine seppur scontato ha il sapore di un film vecchio stile, semplice e sentimentale, i cui unici effetti speciali sono la magia di due attori che ritroviamo sempre con piacere.
Warrior
Teso come un thriller, sentimentale come il miglior melò, fisico come un grande film d’azione. Una famiglia spaccata, due fratelli che non si parlano da anni e che partecipano ad un torneo di “Mixed Martial Arts” per guadagnare quei cinque milioni di dollari che potrebbero salvarli dal baratro, un padre ex alcolista (l’immenso Nick Nolte) che tenta in ogni modo di recuperare se non l’affetto almeno la stima dei figli. Un film dolente, costruito dal regista Gavin O’Connor (Pride and Glory) con una serie di scene commoventi e potenti, fatte di scambi duri più dei pugni che segnano volti di chi pur sconfitto dalla vita ha ancora il coraggio di rischiare il tutto per tutto. Le pellicole sul mondo del pugilato regalano sempre emozioni violente (l’urlo di Rocky “Adriana” rimane nella memoria storica ) ma Warrior va oltre e riesce a dosare pathos e suspence con un equilibrio raro, conducendoci nell’arena dove si svolgono gli incontri con la maestria di chi non ha paura di far scendere più di una lacrima. L’audiolibro che Nolte ascolta ossessivamente lungo tutto il film è “Moby Dick”di Melville, libro simbolo della lotta senza confini che solo chi non ha paura di essere sconfitto ancora una volta dal destino può amare. La rabbia feroce del fratello più piccolo e l’empatia sofferente del maggiore nella scena finale sono davvero una pagina di grandissimo cinema.
Anonymous
Un thriller letterario ambientato nel mondo shakespeariano diretto da Roland Emmerich, esperto di blockbuster ricchi di effetti speciali come “Indipendence Day” e “2012”. Un’accoppiata ad alto rischio, bisogna ammetterlo. La tesi sostenuta da “Anonymous” circola ormai da almeno due secoli, e si basa sulla convinzione che le opere di Shakespeare non siano state scritte dal Bardo ma dal duca di Oxford Edward De Vere il quale doveva pagare un attorucolo perché mettesse in scena e sue tragedie visto che a quei tempi era disdicevole per un membro di corte scrivere in versi. Indipendentemente dall’attendibilità dei fatti il fascino del film risiede negli intrighi di corte e negli episodi che avrebbero poi ispirato le opere più famose di Shakespeare e che hanno per protagonista la regina Elisabetta I (interpretata da Vanessa Redgrave nella sua età più matura e da Joely Richardson, figlia della Redgrave, nei suoi anni giovanili). Amori proibiti, tradimenti, incesti, figli bastardi e complotti politici, non manca proprio nulla in questo giallo storico, che inizia e finisce su un palcoscenico, come degno omaggio a chi, Duca di Oxford o Shakespeare che fosse, ci ha regalato capolavori immortali.
Pina 3D
Wenders è tornato ad essere Wenders. E cioè quel regista capace di emozionare, inventare, regalare poesia ed eleganza. Ed è tornato ad essere Wenders con l‘aiuto dell’arte di un’altra artista unica e capace di dar vita ad un modo magico, Pina Bauch. La loro lunghissima amicizia, nata dopo che Wenders vide “Cafè Muller” sfociò nel 2008 nel progetto di un film da costruire insieme, progetto purtroppo interrotto dalla morte di Pina nel 2009. Fortunatamente Wenders non si è arreso e con i ballerini della compagnia della Bauch ha realizzato questo film omaggio che restituisce tutta la libertà espressiva, tutta la creatività e tutta la capacità di dar voce ai corpi della fondatrice del Tanztheater (TeatroDanza). Le locations scelte per la messa in scena di alcuni brani fra i più importanti della storia artistica di Pina Bauch sono il valore aggiunto del film, basti pensare alla rotaia sospesa, alla casa di vetro, al palcoscenico che si copre d’acqua. Ogni inquadratura rende merito al gusto fotografico di Wenders, ogni passo ci fa partecipi di una rivoluzione culturale che lascerà il segno per sempre nella scena della danza mondiale. Le interviste ai membri della compagnia sono testimonianza del microcosmo vitale, creativo e di vera ricerca del sé che la Bauch aveva saputo creare con i suoi collaboratori. Un consiglio: se possibile vedete il film in lingua originale, le voci dei danzatori, provenienti da tutto il mondo, che parlano ognuno nella propria lingua sono un’ulteriore coreografia dell’armonia del vivere che Pina Bauch ci ha regalato ancora una volta grazie all’affettuosa magia creata per lei da Wenders.
Mosse Vincenti
Partiamo dal nome del regista, Thomas Mc Carthy, che nel suo primo film da sceneggiatore e regista “Station Agent” scelse di affidare il ruolo di protagonista all’attore nano Peter Dinklage (allora sconosciuto e oggi grande protagonista del serial fantasy “Game of Thrones”), scelta coraggiosa e controcorrente che ci dice molto di un regista che non ha paura di confrontarsi con la diversità. Era un film piccolo, delicato, ispirato, che sapeva approcciare il dolore, la solitudine e la rabbia con raro equilibrio dialettico e figurativo. Da allora sono passati setti anni e un altro grande film, “L’Ospite Inatteso” in cui un uomo solitario e dolente riscopre l’impegno sociale e il gusto per la vita nell’incontro con una giovane coppia di africani che si è installata a sua insaputa nell’appartamento che possiede a New York. Con queste premesse non stupisce che il protagonista del suo ultimo film “Mosse Vincenti” sia Paul Giamatti, attore ormai in grado di delineare un carattere con un semplice movimento del suo corpo goffo e fragile. Avvocato a corto di clienti (vecchietti alle prese con affidi e tutele per lo più) e allenatore della squadra di lotta del liceo, Mike Flaherthy è un uomo deluso e senza più grandi ideali che accetta di assumere la tutela di un anziano affetto da un principio di demenza pur di incassare l’assegno di mantenimento, salvo poi ricoverarlo in una casa di riposo senza farsi troppi scrupoli. Sarà l’arrivo del nipote dell’uomo, un giovane perennemente in fuga dalla vita e talento naturale nella lotta, a sconvolgere la vita di Mike e della sua famiglia, a “risvegliarlo” da un torpore morale che Mc Carthy racconta con tocchi leggeri senza mai scadere nei giudizi o nell’indulgenza, a far emergere quell’umanità sopita che anche un’anima in letargo può aver piacere di ravviare. Da canto suo il giovane sbandato con madre tossica alle spalle (e alle costole, anche lei interessata alla pensione del vecchio affetto da demenza) scoprirà nella vita familiare una dinamica a lui sconosciuta, un ambiente vero e concreto, sia pure imperfetto e deludente talvolta. Un ambiente da cui scoprire con stupore di non aver voglia di scappare. Bravissimo Giamatti ma anche il giovane Alex Shaffer, a sottolineare quei passaggi della vita in cui ci si trova a dover fare i conti con ciò che più fa paura, guardarsi dentro.
Tower Heist - Colpo ad Alto Livello
Commedia corale di grande ritmo, liberatoria vendetta collettiva nei confronti del villain di turno, colpi di scena e trovate di grande ingegno senza mai scadere nell’effettaccio o nel dubbio gusto. Affidate ad un cast davvero stellare, Ben Stiller a guidare le danze, Eddy Murphy in gran spolvero come non era da tempo, una vecchia volpe come Alan Alda nei panni del cattivo, più Matthew Broderick e Casey Affleck. Proprietario di un grattacielo ed emulo dei tanti Madoff Alan Alda viene arrestato per bancarotta e Ben Stiller scopre che i fondi pensione di tutti gli impiegati di cui lui è il direttore sono spariti. Metterà insieme una squadra composita e apparentemente ingovernabile per mettere a punto un piano che riporti giustizia nel microcosmo in cui vivono e lavorano con abnegazione da anni i protagonisti. Si procede tra battute e scene d’azione senza mai annoiarsi, e il finale ci fa sentire tutti un po’ partecipi e soddisfatti per una vendetta più che meritata.
Midnight in Paris
Woody Allen torna a Parigi e apre il film con una carrellata di immagini che fanno invidia ad un filmato promozionale tanto sono dichiaratamente innamorate della Ville Lumiere, anche sotto la pioggia, costante passione del protagonista, giovane scrittore in vacanza con fidanzata e futuri suoceri, e che verrà soddisfatta e condivisa solo nel finale da una ragazza appena conosciuta, perché al contrario di lui, i più pragmatici americani che lo accompagnano quando piove preferiscono prendere il taxi. Gil è innamorato dell’Europa, della cultura, del passato, vorrebbe trasferirsi a Parigi e scrivere vera letteratura invece di galleggiare ad Hollywood fra una sceneggiatura e l’altra. E’ l’anima americana più pura, quella capace di riconoscere la propria mancanza di storia , di radici e desiderosa di farne parte almeno fisicamente, sedendo nei caffè dove Hemingway scriveva da giovane. Se poi “un po’ per caso un po’ per desiderio” si ritroverà ad essere catapultato nella vera Parigi degli Anni Venti, potrà interagire con i propri idoli del passato( da Dalì a Bunuel, da Fitzgerald T.S. Eliot) e potrà far addirittura correggere le bozze del libro che sta scrivendo da Gertrude Stein sarà un regalo del destino che lui saprà accogliere con entusiasmo e umiltà. Owen Wilson è sufficientemente candido di fronte ad incontri che sono sicuramente il sogno dello stesso Allen e altrettanto pragmatico quando vuol comprare dei Matisse a prezzo stracciato. Allen ci aveva già trasportato fuori dalla realtà in altre occasioni, ma mai come oggi ci confessa il suo disagio contemporaneo, il bisogno di rifugiarsi là dove c’era ancora poesia, incanto, arte con la A maiuscola. Salvo poi scoprire che anche in quegli anni c’era chi rimpiangeva il passato, come dire che solo nel “non qui, non ora” possiamo essere felici, che è come dire che la felicità contemporanea è frutto solo della capacità di volare, almeno con la fantasia, là dove ci spingono i nostri desideri. Un Allen lieve, lontano forse dai suoi capolavori passati, ma in grado di regalarci qualche passaggio di grande classe, e di suggerirci che la zavorra del presente (lavori sbagliati, matrimoni e famiglie castranti) può diventare slancio per un futuro coraggioso e romantico da raggiungere, sotto la pioggia, sulle note antiche di Cole Porter.
Lo Schiaccianoci 3D
Perché? La prima- e unica - domanda che suscita questa ennesima versione dello Schiaccianoci è questa, perché? Perché prendere un regista talentuoso e poliedrico come Andrei Konchalovsky, attori magistrali come John Turturro e Nathan Lane per reinterpretare in chiave horror-gothic-dark un capolavoro di tutti i tempi? Perché iniziare in modo scanzonato (lo zio dei bambini è niente meno che Einstein) e con una scenografia magnificamente calda per poi precipitare in un mondo, quello dei topi, dove il Re Turturro oscilla fra un nazista pazzo(!) e un personaggio uscito da un horror di serie B? Perché costruire canzoni a dir poco imbarazzanti su melodie senza tempo? Davvero un’occasione sprecata questo Schiaccianoci 3D, un calderone chiassoso che lascia in bocca il rimpianto per ciò il 3D avrebbe potuto regalare alla magia di una fiaba incantata e spettacolare come quella del Principe Schiaccianoci.
Il Gatto con gli Stivali
Il film di Natale è per eccellenza un cartone animato. Una favola buona e gentile con un inevitabile lieto fine. Ma i tempi cambiano, i bambini anche, e soprattutto i cartoni animati sono ormai un genere dedicato quasi esclusivamente agli adulti. Con citazioni cinematografiche a iosa e battute degne del miglior sceneggiatore di commedie nere, l’Orco Shreck negli ultimi anni ha conquistato tutti, arrivando a ben quattro repliche. Numero che i maghi della Dreamworks hanno deciso di non aumentare, temendo di logorare il personaggio e che ha portato alla decisione di lasciare il palcoscenico al personaggio che negli ultimi capitoli di Shreck rubava la scena a tutti, e cioè il mitico Gatto con gli Stivali, il gattino tutto occhi, capace di commuovere anche i cuori più cinici, e che d’improvviso di trasforma in un feroce giustiziere. Diciamo subito che quest’ avventura del gatto è spassosissima, piena di ritmo, azione, e con una grafica di altissimo livello. Diciamo anche che la voce di Antonio Banderas, in originale, aggiunge davvero molto al personaggio, con quell’accento americano che scivola nello spagnolo - impagabile! - e che regala a questo gattone sfumature caratteriali inaspettate. Si tratta di un prequel, quindi non ci saranno cameos di Shreck, di Fiona, o di Ciuchino, ma conosceremo l’infanzia del gatto, le sue prime gesta e soprattutto il suo amico del cuore, l’uovo Humpty Dumpty (protagonista della famosa filastrocca e interlocutore di Alice esperto di semantica nel libro di Carroll) personaggio oscuro, invidioso, capace di tradimenti e pentimenti, un concentrato di emozioni e sentimenti umani di grande spessore. Saranno la caccia ai fagioli magici e alle uova d’oro a dare inizio alle danze, sarà il coraggio del nostro eroe a riportare pace e giustizia nel piccolo paese da cui proviene, ma sarà la danza sfrenata con la sua nuova amica, la supersexy micetta Kitty “zampe di velluto” a fare del Gatto il grande seduttore che il mondo dell’animazione accoglie a braccia aperte.
Almanya - La mia famiglia va in Germania
Saper coniugare la leggerezza di una commedia familiare con l’approfondimento storico del massiccio esodo di lavoratori turchi in Germania negli Anni Sessanta era un equilibrismo estremo. Saper fare ironia sui tedeschi ma anche sui turchi, senza far sconti a nessuno, una scommessa ad alto rischio. Ma Yasemin Samdereli riesce a costruire una commedia sentimentale mai scontata, capace di raccontare una vita difficile come quella degli emigranti senza scivolare nel sentimentalismo. La storia della famiglia Yilmaz viene raccontata da una zia al nipotino come una favola, in attesa di un viaggio che li riporterà tutti in Turchia per passare l’estate in una casa che il vecchio nonno ha comprato a dispetto di tutti . Arrivato il Germania per garantire una vita migliore alla sua famiglia il Nonno sarà il milionesimo e uno lavoratore turco, e naturalmente gli onori saranno tutti per il giovane che ha passato la frontiera poco prima di lui, e che proprio il Nonno aveva fatto passare avanti. Da questo episodio grottesco e sfortunato capiamo che il tono sarà ironico, ci sarà spazio per il racconto delle prime difficoltà ma anche per dei siparietti divertenti in un continuo rimando fra i primi anni con bambini piccoli impressionati da un popolo senza baffi (in Turchia nessun uomo ne era privo) e quasi spaventati da un water in ceramica (ma che al ritorno in Turchia ormai adulti saranno inorriditi all’idea di usare un bagno “alla turca” appunto) e lo stile di vita contemporaneo, in cui la differenza fra essere turco o essere tedesco è un dilemma inesplicabile per chi, come il nipotino, è cresciuto in un contesto in cui le tradizioni sono ormai lontanissime. Samdereli sa colorare di malinconia i sogni dei vecchi, e sa sfumare di dolce rabbia i ricordi dei giovani, ma sa soprattutto raccontarci quella piccola quotidianità che fa grandi le vite. C’è un bellissimo finale, in cui il passato e il presente si incontrano per andare incontro al dolore, un finale che ci ricorda che, a prescindere dal luogo fisico in cui viviamo, la nostra casa è ovunque siano i nostri ricordi, i nostri affetti, i nostri desideri. E anche se la realtà ci dice che l’integrazione è cosa assai difficile da raggiungere, una favola elegante e poetica come questa ci regala un soffio di speranza.
1921 - Il Mistero di Rookford
Anni Venti, una vecchia casa di campagna trasformata in un college per bambini ricchi, una giovane donna che smaschera i finti medium, un fantasma che si aggira per i corridoi della scuola in piena notte, un bambino morto in circostanza misteriose. E per fortuna un film inglese prodotto da BBC a gestire il tutto. I film di genere, e in particolare i Ghost-stories, corono sempre il rischio di scivolare in facili effetti, ma l’eleganza e il rigore britannico mantengono la pellicola ben lontana da questi rischi. L’ambientazione è perfetta, la suspance creata da un sospiro o da un tremore di candela è di quelle che fa provare un brivido invece di rabbrividire, e la trama è originale e ben orchestrata sia pure senza grandi originalità. Senza svelare troppo il plot si deve però dire che il personaggio di Rebecca Hall dovrà dipanare un mistero che la coinvolgerà personalmente sempre di più, e che la riporterà alla sua infanzia, con risvolti psicanalitici magistralmente suggerti da una grande Imelda Staunton, governante tuttofare del collegio. Un tocco romantico, appena suggerito e anche questo elegantemente lasciato sullo sfondo del misero, sarà la colonna sonora di un magnifico quadro d’insieme, in cui l’indagine rigorosa lascia spesso il posto all’istinto più viscerale. Una bella sorpresa questo film diretto da Nick Murphy, sfumato e sfocato, che sa incantare per la raffinatezza, sa spaventare per la sottigliezza con cui insinua dubbi e incertezze e sa conquistare con il fascino decadente dei protagonisti, entrambi segnati da un passato doloroso.
Le Idi di Marzo
Le Idi di Marzo, ovvero l’importanza di essere George Clooney. Attore carismatico e credibile sia nei ruoli brillanti che in quelli di maggior spessore giunge qui alla sua quarta regia. E fa ciò che ogni bravo regista dovrebbe fare, e cioè sceglie un cast semplicemente perfetto. La trama è semplice e tipicamente americana, incentrata sulla campagna elettorale del candidato democratico alla presidenza Mike Morris e sul lavoro sommerso ma fondamentale del suo staff, affidando i ruoli del giovane entusiasta a Ryan Gosling e del vecchio manovratore a Philip Seymour Hoffman. Nel corso dei mesi le certezze del giovane verranno meno e anche lui si troverà invischiato in quelle trame torbide e viscide che sono imprescindibili da qualunque campagna elettorale. In tutto questo Gosling sarà corteggiato e poi tradito da un altro maestro delle strategie elettorali, un semplicemente perfetto Paul Giamatti. Un film asciutto, teso come un thriller e di grande impatto morale nella sua linearità, perché quella china perversa che si deve scendere per ascendere al potere è un simbolo della società tutta, e non solo politica. E la figura della giornalista Marisa Tomei, che scava nel torbido, ci ricorda che l’amplificazione mediatica della corruzione e del malcostume è parte stessa del sistema. Non c’è redenzione, non c’è perdono, non c’è neanche spazio per la riflessione in questo meccanismo che tutto stritola in nome dello scopo finale, e fa bene Clooney a non addolcire nessun aspetto di questo mondo in declino, dove i programmi elettorali e gli interessi di una nazione sono solo un noioso ronzio di sottofondo.
Sherlock Holmes - Giochi di Ombre
Chi ha visto il primo episodio dello Sherlock Holmes del trio Guy Ritchie, Robert Downing Junior e Jude Law sa già cosa aspettarsi. Per gli altri è bene sapere che non si troveranno di fronte al tradizionale investigatore di Downing Street, bensì ad una girandola di azione, ironia, fantasia, invenzioni, travestimenti, battute e trovate degne del miglior James Bond alleato ad Indiana Jones e alla Strana Coppia Lemmon Matthau. Non si può davvero chiedere di più ad un film d’avventura. Ci si diverte apertamente nei duetti Holmes- Watson, e si vorrebbe vederli in tourneè per poter continuare ad ammirare gli scambi ricchi di ambigua attrazione/repulsione tra i due, si segue la trama complessa e ricca di colpi di scena con il fiato sospeso, si tifa apertamente per la sconfitta del mitico Moriarthy che vorrebbe niente meno che scatenare una guerra mondiale e si fa conoscenza con il fratello di Sherlock Holmes, un istrionico senza pari Stephen Fry. E il finale più che aperto ci fa solo augurare di ritrovare al più presto i due complici per godere delle loro muscolari ed esplosive avventure, perché dopo due ore di film usciamo dalla sala già con la nostalgia di due attori/caratteri impareggiabili.
Emotivi Anonimi
Timidi alla riscossa! Una giovane cioccolataia di grande talento ma timida in modo patologico tanto che frequenta le riunioni degli “Emotivi Anonimi” si presenta a lavorare in una fabbrica di cioccolato ma scopre con orrore che il suo ruolo sarà quello della venditrice, quanto di più difficile per chi arrossisce al solo dire “buongiorno”. Un padrone della fabbrica apparentemente burbero e rigido ma altrettanto intimidito dalla vita e dalla gente tanto che va dallo psicologo per cercare di trovare il modo di interagire con il mondo. L’incontro tra i due sarà fonte inevitabile di malintesi, fughe, fraintendimenti e sofferenza. Ma anche di un sentimento delicato e fragile, che andrà protetto e coltivato come un fiore raro. Un film lieve, diretto con grazia e delicatezza da Jean-Pierre Améris e interpretato con perfetti tempi brillanti e sentimentali da Benoit Poelvoorde e Isabelle Carré, un acquarello a tinte sfumate che racconta l’universo dei timidi con rispetto e affetto, senza mai mettere alla berlina le loro difficoltà pur facendoci sorridere (con loro e mai di loro) con scene apertamente spassose che i timidi in sala accoglieranno con la gratitudine della condivisione (solo chi ha davvero sudato le proverbiali sette camicie ad un primo incontro può capire il trauma dell’iperidrosi degli emotivi!) e che gli altri ameranno per la deliziosa capacità di condurre i due protagonisti ad una felicità magari goffa, ma sincera e conquistata con coraggio. Quel coraggio che solo chi non ha si può dare quando desidera veramente qualcosa e che ha il sapore di una cioccolatino fatto con amore e passione.
Capodanno a New York
Robert De Niro, Ashton Kutcher, Jessica Biel, Halle Berry, Katherine Heigl, Zac Efron, Hilary Swank, Sarah Jessica Parker, Michelle Pfeiffer, Jon Bon Jovi , John Lithgow. E tanti altri. Cast stellare per la pellicola gemella di “Valentine’s Day” sempre di Gerry Marshall, che si diverte a sorprenderci ad ogni scena con un divo diverso. Il 31 Dicembre a New York, tante storie che si incrociano o si sfiorano soltanto, storie lacrimevoli, brillanti, romantiche o semplicemente storie di vita quotidiana, che però diventa improvvisamente straordinaria quando si avvicina lo scoccare della mezzanotte. C’è la gara tra due giovani coppie a chi farà nascere il primo figlio del 2012 per vincere un premio, c’è un vecchio che sta per morire e fa un bilancio amaro della propria vita, c’è la giovane corista che sogna una carriere brillante ma resta chiusa in ascensore con un affascinante sconosciuto e scopre che non tutto il male vien per nuocere, c’è un giovane playboy che non riesce a dimenticare una donna incontrata e poi persa l’anno prima proprio a Capodanno, c’è una mamma preoccupata per il primo Capodanno da teenager della figlia, c’è la giovane in carriera che alla fine andrà incontro al suo passato, c’è un rocker che vuole riconquistare la donna che ha lasciato ma che ha capito essere quella giusta per la vita. Come avrete capito c’è davvero tutto, forse troppo. Non sempre emozionante e non sempre originale, Marshall sceglie la strada dell’accumulo per mostrarci brand pubblicitari e locations da sogno, ma i momenti migliori sono proprio quelli meno luccicanti e più intimi. E la carrozza che attraversa le strade di New York all’inizio e alla fine del film ci ricorda che ogni storia può finire come una favola, almeno in un film americano in uscita nei giorni delle feste.
Il Figlio di Babbo Natale
Ecco un film che sorprende ed emoziona come pochi. L’animazione natalizia si arricchisce di un gioiello di creatività dai produttori di Wallace e Gromit (la ditta inglese Aardman alleata per questo progetto con la Sony) In un Polo Nord ipertecnologico si svolge la preparazione dei regali per i bambini di tutto il mondo da parte di un esercito di elfi super addestrati guidati dal figlio maggiore di Babbo Natale. Sarà poi una slitta modello astronave, più veloce di un modulo spaziale, a consentire la distribuzione dei regali nella notte di Natale. Tutto estremamente organizzato, tutto raccontato con un ritmo visivo e una serie di trovate esilaranti. Fino al trionfale rientro, quando, dopo che un Babbo Natale un po’ tronfio e ormai dimentico della magia del proprio lavoro, ha annunciato di non voler andare in pensione, si scopre che la missione perfetta ha avuto una falla, e un regalo non è stato consegnato. Percentuale di errore assolutamente trascurabile per Babbo Natale e per il figlio maggiore, ma non per Arthur, il figlio piccolo e timido, solitamente relegato alla lettura delle lettere dei bambini. Spaventato da tutto e da tutti, goffo e maldestro come tutti i veri eroi delle favole sarà lui, con l’aiuto del vecchio nonno, a recuperare la vecchia slitta di legno delle passate generazioni di Babbi Natale e a intraprendere un avventuroso e periglioso viaggio nel tentativo di giungere in tempo a consegnare il fatidico dono mancante a Gwen, un bambina che vive in Cornovaglia. Naturalmente ci saranno sventure e contrattempi, e naturalmente i cuori di Babbo Natale e del figlio maggiore si inteneriranno al punto da riscoprire il vero spirito natalizio e correre in soccorso del volenteroso Arthur, e la favola potrà finire come deve. Ma è il messaggio che attraversa tutto il film a renderci partecipi e felici, è lo spirito indomito di una creatura insicura e fragile nel perseguire il suo nobile scopo ad intenerirci, è la sua capacità di provare ancora emozioni pure e il desiderio di far felice chi si è rivolto a lui pieno di speranza che ci riempie il cuore di quella gioia semplice che conoscevamo quando eravamo bambini. Un film semplicemente perfetto, con personaggi (oltre ad Arthur giganteggiano il nonno e l’elfo incartatore) curati e dotati di una grazia magica, senza neanche una goccia della smielata atmosfera natalizia di tanti altri film, ma con un immenso cuore vero e pulsante. Meritatissima la candidatura ai prossimi Golden Globes per il Miglior Film d’Animazione.
Aguasaltas.com – Un villaggio nella rete
Un po’ schiacciato dalle grandi uscite natalizie questo delizioso piccolo film portoghese di Luis Galvao Teles rischia di passare inosservato, ed è un peccato perché ha invece qualità delicate e leggere (nel senso migliore del termine) che lo rendono una commedia che scorre impetuosa come un ruscello limpido di montagna. Ambientato nel paesino di Aguas Altas - fotografato con mano felice e inquadrature che incantano per la bellezza del lago e delle montagne che lo circondano – racconta della battaglia, prima umana, poi legale e infine mediatica che si scatena sulla registrazione di un sito web, tra la comunità del borgo e una multinazionale spagnola che sta per lanciare in commercio un’acqua minerale chiamata proprio Aguas Altas. Capitanati da un ingegnere venuto da Lisbona e divenuto in breve parte della cultura semplice e immota del paese, gli abitanti di questo piccolo villaggio arrampicato nel Nord del Portogallo si batteranno dapprima increduli – e quasi ignari del significato di Internet nel mondo moderno – poi sempre più convinti e fieri per difendere il nome del loro borgo. Personaggi forse un po’ stereotipati (il parroco che riconduce tutto al volere di Cristo, il sindaco progressista , la coppia litigiosa che rischia il divorzio essendo su posizioni diverse nei confronti del sito, le vecchiette pettegole, il ragazzo un po’ tonto e di buon cuore, la giornalista rampante …) ma anche molto simpatici che danno vita a siparietti divertenti anche se non originalissimi. Naturalmente in questa favola lieve non mancherà una storia d’amore fra l’ingegnere protagonista e quella che inizialmente è la strega cattiva venuta dalla città armata di tacchi alti e libretto d’assegni ma che cambierà ben presto idea dopo aver conosciuto gli abitanti un po’ naif ma irresistibilmente teneri di Aguas Altas che ci ricordano lungo tutto il film che i veri valori che fanno muovere il mondo, da secoli e secoli, sono ben lontani da quelli frenetici e legati alla produttività della civiltà moderna. E ci fanno venir voglia di essere anche noi abitanti, almeno immaginari, di Aguas Altas, dove magari si litiga e ci si fa i dispetti, ma dove in fondo si sa ancora ascoltare gli altri e fare squadra per difendere qualcosa che amiamo.