Grandi Film 1951- 1960
La Finestra sul Cortile - 1954 - di Alfred Hitchcock con James Stewart, Grace Kelly,
Raymond Burr, Thelma Ritter, Wendell Corey,
Uno dei grandi capolavori di Hitchcock, con interpreti perfetti, che avvolge gli spettatori in una tensione crescente fatta di sospetti, di sottile paura, di tempi dilatati e di dettagli distribuiti in elegantissimi campi lunghi che amplificano la suspence con un meccanismo inverso a quello cui solitamente si ricorre per creare l'attesa e per spaventare e cioè stringere in primo piano la sequenza cui si vuol dare risalto. Il genio del maestro del thriller confina il protagonista in un interno angusto e scomodo visto che James Stewart è bloccato su una poltrona dopo essersi rotto una gamba e concentra l'azione nel palazzo di fronte, dove si svolge un omicidio, che Stewart è deciso a smascherare, con l'aiuto dell'algida e raffinatissima fidanzata Grace Kelly. La meravigliosa atmosfera che percorre l'intera pellicola ne fa un capolavoro al di là della trama e della soluzione del giallo, perchè il tratto distintivo di Hitchcock è quello di spiazzare con pochi tratti, di sottrarre invece di accumulare, di raccontare e mai giudicare. E la coppia Stewart-Kelly è una di quelle ad altissimo voltaggio di talento, fascino e carisma, irripetibile nella storia del cinema. Quattro nominations agli Osca ma nessuna statuetta.
I Sette Samurai - 1954 - di Akira Kurosawa con Toshiro Mifune, Takashi Shimura,
Yoshio Inaba, Seiji Miyaguchi
Capolavoro per eccellenza di Kurosawa, imitato, reinventato, omaggiato e oggetto di remake come pochi altri film nella storia del cinema, I Sette Samurai ha uno spirito profondmente nipponico, eppure è universale l'analisi dei caratteri e delle reazioni dei vari personaggi. I samurai che arrivano a difendere dei poveri contadini dai predoni sono simboli di onore di coraggio e di lealtà, ma ognuno a suo modo è esempio solo di se sesso, dei propri valori, del proprio vissuto, e per contro anche i predoni trovano nella specularità con i samurai un motivo di essere, simbolo di un mondo arcaico e violento. In mezzo i contadini, quasi indifferenti a ciò che i samurai stanno mettendo in atto per loro, concentrati solo sul fuggire e salvarsi, vili e molto umani. Le scene di battaglia sono epiche, magistralmente coreografate e l'interpretazione di Tishiro Mifuno è fisica e potente e rimane nella storia del cinema. Un cinema filosofico, fatto di metafore e simbolismi ma anche di magnifiche messe in scena (il teatro Tabuki affiora qua e là) vibranti di fisicità. Leone d'Argento a Venezia e due nomination agli Oscar.
Viale del Tramonto - 1950 - di Billy Wilder con Gloria Swanson ,William Holden,
Erich von Stroheim, Nancy Olson,
Feroce rappresentazione del mondo hollywoodiano, il capolavoro di Billy Wilder non fa sconti e non nasconde il lato oscuro del dorato mondo del cinema. La prima scena è già una dichiarazione d'intenti: il cadavere di un giovane uomo galleggia in una piscina e la sua voce fuori campo racconta ciò che è successo nei mesi prima, quando lui, Joe Gillis, giovane sceneggiatore pieno di debiti, incontra la ex diva del cinema muto Norma Desmond e si trasferisce da lei. L'atmosfera dell'immensa casa è inquietante e riflette lo stato d'animo di una donna che non si rassegna al passare del tempo e alla notorietà perduta. La recitazione di Goria Swanson è un omaggio, surreale e ricco di nevrosi, al cinema del passato e William Holden nel suo ruolo ambiguo è un perfetto esempio di ciò che significa vivere in un mondo lontano dalla realtà come quello del cinema. certe scene sono entrate di diritto nella storia del cinema, come il primo piano della Swanson che, ormai persa nel suo delirio, credendo di essere su un set guarda in camera e dice "Mr De Mille, sono pronta per il primo piano". metafora potente della confusione di ruoli che lo star system impone, e denuncia potente di ciò che significa la fama e di quanto sia difficile rinunciarvi, tema attualissimo che Wilder ha la capacità di rendere un elegante e raffinato capolavoro in bilico fra noir, dramma sentimentale ed indagine psicologica. Pioggia di nominations e ben otto Oscar tra cui quello per la sceneggiatura.
Eva contro Eva - 1950 - di Joseph L. Mankiewicz con Bette Davis, Anne Baxter,
George Sanders, Celeste Holm
Uno scontro tutto al femminile, fatto di cattiveria, di ambizione, di strategie seduttive, di gelosie e di rivincite. Tutto condito da dialoghi impeccabili, da interpretazioni magistrali, da un substrato di tensione emotiva e di rabbia inespressa che serpeggia in ogni confronto, in ogni incontro. La giovane Eve entra nella vita di Margo Channing, grande interprete teatrale e pian piano si insinua nella vita di lei cercando di rubarle la scena e il compagno di vita. Il grande Mankiewicz riesce a cogliere gli aspetti più profondi ed intimi dell'animo femminile, competitivo e subdolo quando vuole raggiungere uno scopo e allo stesso tempo ne svela le fragilità e le insicurezze di fronte ad una rivale più giovane. Bette Davis è semplicemente perfetta ed Anne Baxter con il suo volto ingenuo e candido inganna tutti nelle prime scene del film. Il finale con una nuova giovane che forse farà vivere ad Eve una perfetta legge del contrappasso è un pezzo di grande cinema. Ben 18 nomination agli Oscar e sette Oscar fra cui miglior film e regia per uno dei più riusciti esempi di drammi psicologici mai girati ad Hollywood.
Cantando Sotto la Pioggia - 1952 - di Stanley Donen, Gene Kelly con Gene Kelly,
Cyd Charisse, Debbie Reynolds, Donald O'Connor
L'apice della commedia musicale in perfetto stile hollywood, con coreografie eleganti e raffinate, numeri canori di prim'ordine ed interpreti di immenso talento. Ambientata negli Anni Venti, nel momento di passaggio dal cinema muto al cinema parlato ha per protagonisti
Don Lockwood e la sua partner cinematografica
Lina Lamont, che si trovano a dover trasformare il loro ultimo film in un sonoro, con inevitabili complicazioni come la voce orribile di lei e l'insofferenza di lui verso una collega bizzosa e antipatica. Le battute comiche affidate a Donald O'Connor, che vinse un Golden Globe per il ruolo, sono indimenticabili, come pure la grazia e l'eleganza scenica di Gene Kelly che firma anche la regia insieme a Stanley Donen. La canzone che dà il titolo al film, "Singin in the rain" è così famosa che nel film "Arancia Meccanica" viene canticchiata da Alex de Large durante una scena intrisa di violenza, proprio per sottolineare lo stridente contrasto fra l'atmosfera idilliaca evocata dalla canzone (e dal film) e l'ambientazione cupa del film di Kubrick.
A Qualcuno Piace Caldo - 1959 - di Billy Wilder con Marilyn Monroe, Tony Curtis,
Jack Lemmon, George Raft
Nelle classifiche che periodicamente le riviste cinematografiche
stilano per farci conoscere i film preferiti dai lettori per la sezione "La Miglior Battuta" risulta sempre vincitrice la frase di chiusura di "A qualcuno piace caldo " e cioè "Nessuno è perfetto...", a ben vedere dichiarazione programmatica di un film tutto giocato sui doppi ruoli, sul travestitismo come fuga da se stessi e sull'anticonformismo come antidoto alla banalità della vita. Due musicisti in fuga dopo aver assistito alla strage di San Valentino a Chicago si travestono da donne per entrare a far parte di un'orchestra jazz tutta al femminile e con loro partono in tourneè. Equivoci e battute a raffica per una coppia di grandissimi attori come Jack Lemmon e Tony Curtis e una Marilyn Monroe mai così bella, talentuosa e brillante. La sintonia degli attori è un'alchimia che nessun regista è in grado di prevedere,ma Wilder ci ha messo molto del suo genio registico per orchestrare un perfetto trio che si muove a ritmo di jazz e regala al pubblico una fra le migliori commedie di tutti i tempi, vergognosamente ignorata agli Oscar dove arrivò con sette nomination e ne uscì con una sola statuetta per i costumi. E' proprio vero, nessuno è perfetto, nemmeno i membri dell'Accademy...
Il Settimo Sigillo - 1956 - di Ingmar Bergman con Bibi Andersson, Max von Sydow,
Gunnar Björnstrand, Bengt Ekerot
Uno fra i film più enigmatici e metafisici di Ingmar Bergman che mette in scena una interminabile partita a scacchi fra un Cavaliere appena tornato dalle crociate e la Morte. I dubbi terreni del cavaliere su cosa significhi la fede, sulla paura dell'ignoto e sul rapporto fra uomo e Dio sono contrappesati dal suo scudiero, materialista, razionale e scettico. L'incontro con una famiglia di acrobati darà al cavaliere la forza di tornare a credere alla vita, e di conseguenza alla morte e di consegnarsi a lei lasciandole vincere la partita e salvando loro. Oscuro, con dei giochi di luce inquietanti che danno spessore alle riflessioni filosofiche ed umanissime del cavaliere, girato a basso costo in 35 giorni, "Il Settimo Sigillo" ha il profondo dono del dubbio fatto centralità, della fede come una conquista dolorosa e della vita come un dono talvolta sottovalutato, e ci regala un'interpretazione magistrale di Max Von Sydow, Cavaliere inquieto e tormentato, salvato dalla coscienza di sè. Il settimo sigillo del titolo è quello citato nell'Apocalisse di San Giovanni ("Quando l'agnello aprì il settimo sigillo nel cielo si fece un silenzio di circa mezz'ora e vidi i sette angeli che stavano dinnanzi a Dio e furono loro date sette trombe") ed è ripetuto in apertura e in chiusura di film, potente monito a non abbandonare mai la ricerca di un significato più profondo, sia della vita che della morte, che della fede per chi ha fortuna di trovarla ("la fede è una pena così dolorosa: è come amare qualcuno che è lì fuori e che non si mostra mai per quanto lo si invochi" dice il Cavaliere a testimoniare la sua profonda e dolente ricerca di un punto di riferimento ultraterreno). Premio Speciale della Giuria al festival di Cannes per uno dei capisaldi dell'intera storia del cinema.
L’Infernale Quinlan - 1958 - di Orson Welles con Janet Leigh, Charlton Heston,
Marlene Dietrich, Orson Welles
Pur se rimaneggiato nella fase di post produzione il capolavoro di Welles (che però fortunatamente è stato rimontato nella versione originale negli Anni Novanta da Walter Murch (Oscar per il suono in "Apocalypse Now" e "Il Paziente Inglese" per volere del produttore Rick Schmidlin ) resta una pietra miliare nel genere poliziesco per la sua trama complessa, per i risvolti psicologici dei personaggi, per quell'atmosfera dark che il bianco e nero patinato e nebbioso, per la coraggiosa scelta di mettere in scena, nel 1958, un personaggio ambiguo, amorale, che non rappresentava certo l'eroe tipico di quegli anni. Una trama classica da noie anni cinquanta, con Mike Vargas un poliziotto messicano (niente meno che Charlton Heston, eroe wasp per eccellenza!) che, in vacanza al confine con il Messico con la moglie, si trova coinvolto in un'inchiesta che pullula di tradimenti, insabbiamenti, falsificazioni delle prove, minacce e ricatti. Il fascino del film è gran parte merito dei personaggi, su tutti Quinlan, poliziotto locale che non si fa scrupoli e non rispetta le regole, ma anche la zingara interpretata da Marlene Dietrich, e dell'atmosfera shakespeariana di tragedia incombente, che puntualmente si compie. Magnifico il piano sequenza iniziale di ben tre minuti citato anche nei "Protagonisti" di Altman ma è tutta la regia di Welles a rendere l'Infernale Quinlan un capolavoro tecnico. Una curiosità: nel film "Ed Wood" di Tim Burton, Johnny Depp in una scena in cui parla con Orson Welles si sfoga con lui dicendo che i produttori vogliono sempre imporgli attori non adatti alle parti e Welles risponde
"Non dirmelo. Sto giusto cominciando a lavorare a un film in cui vogliono che Charlton Heston interpreti un messicano!".
Ben Hur - 1959 - di William Wyler con Charlton Heston, Jack Hawkins, Haya Harareet,
Stephen Boyd
Cominciamo dalla durata del film, tre ore e mezzo, per uno spettacolo epico grandioso, maestoso, con tutto lo sfarzo e lo sforzo produttivo di Hollywood per un prodotto ad altissimo tasso di spettacolarità, emozioni ed azione. La storia del principe Ben Hur, accusato ingiustamente e condannato alle galee si intreccia con la storia religiosa di Cristo, in un tripudio di scene ad altissimo contenuto scenografico e sentimentale, girato in formato panoramico che penalizza la visione televisiva ma rende quella cinematografica di grande impatto (il rapporto di forma dei fotogrammi è di tre a uno). La scena delle bighe è entrata di diritto nella storia del cinema e Charton Heston regala la sua fisicità potente e prorompente al personaggio di Ben Hur contribuendo in modo significativo a farne un'icona di tutti i tempi. Primo grande kolossal hollywoodiano vinse la bellezza di undici Oscar, record pareggiato solo dal Titanic di Cameron, altro monumentale affresco, segno evidente che i membri dell'Academy amano i film di grande respiro di cui il capolavoro di Wyler è sicuramente il capostipite.
Un Tram che si Chiama Desiderio - 1951 - di Elia Kazan con Marlon Brando, Vivien Leight, Karl Malden, Kim Hunter, Rudy Bond
Tratto dal testo teatrale di Tennesee Williams il film di Kazan è coraggioso, diretto, per nulla patinato o consolatorio. La storia di Blanche Dubois, vedova frustrata e dal passato oscuro che si trasferisce a casa della sorella Stella e si divide fra un decoroso spasimante e le attenzioni volgari del cognato è un perfetto paradigma delle ambiguità dell'animo umano, sempre in bilico fra pulsioni della carne e ricerca di un ruolo sociale dignitoso. Il ruolo di Stanley, magistralmente interpretato da Marlon Brando, è l'elemento di rottura, quello che con la sua visceralità rompe gli equilibri borghesi e fra precipitare la situazione. Grandissima la regia di Kazan che scava nei corpi, nelle espressioni brutali, che non ha paura di mostrare, nel 1951, il desiderio carnale e di farne motivo di tradimenti e ossessioni. Dialoghi sporchi, inquadrature che scoprono il lato oscuro dell'animo umano con uno scarto o un primo piano fanno del Tram una tra le più intense messe in scena dei drammi di Williams: Oscar a Vivien Leight e a Karl Malden, ma non a Marlon Brando che lo avrebbe abbondantemente meritato.