Aprile 2013
Kiki - Consegne a Domicilio - di Hayao Miyazaki - Animazione ***
Continua il ripescaggio delle opere giovanili del grande Miyazaki e in questo caso andiamo indietro fino al 1989 quando la streghetta Kiki e il suo gatto nero Jiji partirono alla scoperta del mondo. Nel passare degli anni si avverte forse un pizzico di ingenuità e di semplicità che nelle opere maggiori verrà sostituito da trame più complesse e personaggi più sfaccettati, ma la delicata lievità della giovane Kiki ha la consueta poesia e freschezza dei protagonisti Miyazachiani, e la simpatia dei personaggi di contorno ne fa un perfetto esempio di coralità e di fantasia. Kiki è una strega e per tradizione al compimento dei tredici anni deve compiere un viaggio iniziatico, a cavallo della sua scopa, in compagnia del suo gatto parlante Jiji. E così parte, fiduciosa e piena di timori e speranze, come qualunque adolescente alla scoperta della vita che le si apre davanti, opportunità e rischi ad eccitare e spaventare. Approderà in una città di mare limpida e luminosa, dove sfrutterà la sua capacità di volare su una scopa per consegnare pacchi, imparando a conoscere le persone, a scontrarsi con la realtà e facendo amicizia con un suo coetaneo, Tombo, elemento portante di tutte le storie dello studio Ghibli, spalla affettuosa, e anche comica, dell'eroina di turno. La maturazione del personaggio avviene attraverso la perdita dei suoi poteri magici, quasi che l'adolescenza comporti sempre l'abbandono di quel mondo magico e fatato che è stata l'infanzia. Ma chi quella magia ha nel cuore riuscirà sempre a ritrovarla e anche Kiki, quando scoprirà che Tombo è in pericolo, saprà ritrovare in sè la propria magia. Parabola semplice e lineare se vogliamo, ma proprio per questo scopertamente amabile, senza villain a contrastare la protagonista ma con l'ostacolo che ogni adolescente deve affrontare e sconfiggere: la paura di crescere e l'incognita del futuro. Kiki è intraprendente, coraggiosa, ma anche fragile come ogni giovane che si affaccia alla vita, e il suo entusiasmo, spesso frustrato dalla realtà, è lo specchio di quel passaggio delicato e traumatico dall'universo infantile alla vita adulta, risolto da Miyazachi con la ben nota eleganza, con la tenerezza che riserva ai suoi protagonisti e con la capacità di distribuire sorrisi, riflessioni e un pizzico di malinconia con grazia e fantasia.
Come un Tuono - di Derek Cianfrance con Bradley Cooper, Ryan Gosling, Eva Mendes, Rose Byrne ***
Dolente, potente, capace di scendere nelle profondità dei sentimenti in punta di piedi, col pudore che la vita impone spesso agli uomini, condannandoli ad un'emozione imperfetta e trattenuta. Cianfrance ci aveva già dato prova di come sappia maneggiare con sensibilità e coraggio i sentimenti primari e nel tratteggiare il ritratto di due pari, e di due figli, torna a mostrare il lato ruvido dell'esistenza, quell'incapacità di fare la cosa giusta pur nello sforzo estremo di riuscirci. Luke fa la vita del randagio, corre in moto e si esibisce nelle fiere, ma quando scopre che da un rapporto occasionale avuto un anno prima da Romina ha avuto un figlio, Jason, decide di fermarsi, di provare a costruire qualcosa, di impegnarsi come padre e chissà, anche come marito. Ma Romina ha un altro uomo, e Luke non ha soldi per offrire al piccolo quell'affetto che in modo goffo ed inesperto tenta di trovare in sè. E così accetta la proposta di u amico di rapinare banche e fuggire con la sua moto. Qualche colpo andrà bene, ma Luke non sa fermarsi, e durante una rapina finita male viene ucciso da un giovane agente di polizia, Avery Cross, subito osannato come eroe e invischiato in un giro di agenti corrotti da cui farà fatica a tirarsi fuori. La foto di Luke con il figlio fra le braccia rimane impressa ad Avery che ha un figlio della stessa età di Jason. Quindici anni dopo la sparatoria in cui perse la vita Luke Avery ha fatto carriera politica e sta facendo campagna elettorale, il figlio adolescente conosce casualmente il figlio di Luke e inevitabilmente Avery cercherà di placare il proprio senso di colpa, Jason cercherà vendetta e gli spigoli del passato costringeranno tutti i protagonisti a fare i conti con cosa voglia dire responsabilità, amore e coraggio. Le personalità dei quattro protagonisti sono sempre tratteggiate con rispetto, mai caricando i toni e mai nascondendosi dietro stereotipi narrativi, perchè Cianfrance ha coraggio da vendere - anche nel far morire il protagonista dopo neanche mezz'ora di film - e non si nasconde dietro scelte facili o buoniste, bensì mostra l'abisso dell'anima che ogni essere umano deve guardare per poter andare avanti. La tenerezza goffa che Luke cerca di imparare nel rapportarsi con il figlio, la delusione di Avery di fronte all'indifferenza e all'egoismo dei figlio, la rabbia di Jason sono sentimenti apparentemente facili da mettere in scena, ma a rischio stereotipo, rischio da cui Cianfrance si tiene bene alla larga riuscendo a creare su volto dei protagonisti - perfetto Gosling come sempre - quella malinconia di chi anche se ha successo si sente un perdente di chi sa che il passato non può svanire del tutto, di chi ha subito un destino mai cercato e nonostante questo non si vuole arrendere, anime perse forse, ma con un tuono a detonare nel buio.
Nella Casa - di François Ozon con Fabrice Luchini, Kristin Scott Thomas,
Emmanuelle Seigner, Jean-François Balmer, Ernst Umhauer ****
Seducente, ipnotico, capace di mescolare finzione e realtà con eleganza e mistero, il nuovo film di Ozon ha un andamento a spirale, all'interno della quale i personaggi si smarriscono e si ritrovano, si svelano e si nascondono, si avvicinano e si allontanano per sempre. Germain insegna letteratura in un liceo francese e assegna un tema apparentemente banale "Come hai trascorso il tuo ultimo fine settimana". Claude, ultimo banco, personalità riservata e una vita familiare difficile, scrive qualcosa che cattura Germain raccontando nei minimi particolari la visita a casa del compagno di classe Raphael. E' il tono a colpire il professore, quell'atteggiamento sarcastico verso la casa perfetta, la famiglia perfetta, quella rabbia inespressa e quell'incoffesato desiderio di farne parte che lo spingono a leggere il tema alla moglie Jeanne, direttrice di una galleria d'arte. Il tema tra l'altro termina con la parola "Continua..." lasciando Germaine e Jeanne interdetti, ma anche incuriositi. Le puntate seguenti costringono Germaine a confrontarsi con Claude che continua a frequentare la famiglia di Raphael, diventando amico del padre, seducendo - e facendosi sedurre dalla madre, quella donna della classe media che nel primo tema aveva tanto duramente giudicato - e instaurando con il compagno di classe un rapporto di fiducia e dipendenza da parte di Raphael. Ma parallelamente alle dinamiche familiari della famiglia di Raphael che Claude tratteggia nei suoi temi - le difficoltà sul lavoro del padre, le frustrazioni di casalinga della madre, le timidezze e le rabbie del compagno di scuola - è il rapporto fra Claude e Germaine quello che prepotentemente prende corpo, un rapporto maestro allievo, padre figlio, servo padrone, perchè Germaine consiglia, detta regole, cerca di far crescere lo stile di Claude negando alla sua storia ogni svolta sentimentale o prevedibile, ma è Claude a condurre il gioco, Claude a tenere sulla corda il professore, Claude a far emergere le sue frustrazioni di scrittore fallito e marito in crisi. Gli sviluppi finali sono un crescendo di tensione emotiva e di ribaltamenti di ruoli, ma ciò che fa grande il film è la costante simbiosi fra realtà e finzione, fra immaginazione e verità, quasi a suggerire che poco conta se un gesto è avvenuto davvero o se una frase è stata pronunciata, ma quanto agisce su di noi e sui nostri comportamenti la fascinazione del racconto, la suggestione che evoca, la proiezione che ne facciamo sulla nostra condizione. Claude racconta, è un mezzo, potente e seduttivo, ma è Germaine che ascolta a costruire la propria storia, a voler scavare a fondo in quella famiglia un po' specchio un po' antitesi della propria, ed è nel rapporto di dipendenza fra Claude e Germaine - fra allievo e maestro, fra narratore e ascoltatore e perchè no, fra regista e spettatore - che si crea il legame più forte, quello che fa sì che le parole si trasformino in emozioni e che i desideri si mutino in azioni. Magnifici tutti gli interpreti, con un Fabrice Lucchini misurato, controllato, ma incapace di abbandonare quella fascinazione a metà strada fra voyeurismo e insegnamento, una Katherine Scott Thomas che regala alla sua Jeanne un equilibrio fragile che si sgretola davanti ai suoi occhi nel confronto con una famiglia sconosciuta, una Emanuelle Seigner perfetta nel ruolo di matura casalinga frustrata e un sorprendente Ernst Umhauer nel ruolo di Claude, fascino adolescenziale che evoca il Tadzio di Mann e Visconti e che fa scorrere sul suo volto delicato tutta l'ambiguità, l'inquietudine, la fragilità e il potere di chi usa le parole, l'immaginazione e la seduzione per uscire dalla prigionia della solitudine.
Attacco al Potere - Olympus Has Fallen - di Antoine Fuqua con Gerard Butler,
Aaron Eckhart, Morgan Freeman, Angela Bassett, Dylan McDermott, Melissa Leo **
Giocattolo in confezione di gran lusso ma assolutamente deludente nel contenuto. Prevedibile, iconografico, demagogico e patriottico come solo alcuni - scadenti - film americani sanno essere "Attacco al potere" non riesce ad indovinare una trovata, una battuta o un colpo di scena. Il protagonista, Mike Benning, ex guardia personale del presidente degli Stati Uniti, rimosso dopo un grave incidente in cui ha perso la vita la first lady, vivacchia fra scartoffie e noia quando un attacco da parte di un gruppo di terroristi nord coreani sferrato proprio al'interno della Casa Bianca non gli dà l'occasione per rientrare in gioco e recuperare la sua vecchia reputazione sterminando da solo l'intero plotone di terroristi e riuscendo anche a bofonchiare battute pseudo spiritose e a fare telefonate romantiche alla moglie fra una mitragliata e l'altra. Uomo solo contro tutti, spirito patriottico e pallottole, collaboratori traditori e segreti militari che sembrano il segreto di Pulcinella non aiutano a digerire l'ennesimo film d'azione che tecnicamente sarà anche ineccepibile ma che sul piano dialettico tende allo scheletrico, dal punto di vista della sceneggiatura sembra frutto di un vorace copia incolla e dal punto di vista recitativo lascia Morgan Freeman a chiedersi "che ci faccio io qui?" e Gerard Butler a parodiare i tanti precedessori, speriamo consapevole di non assomigliare neanche lontanamente a Bruce Willis e alla sua ironia decadente... Un'unico momento di divertimento, quando Robert Forster, nei panni di un generale dell'esercito, chiede esasperato "Dove è la squadra d'attacco?" provocando un sorriso di rimpianto e simpatia in chi ricorda che proprio Forster era a capo della madre di tutte le squadre d'attacco, la vecchia cara Swat, nei gloriosi telefilm degli Anni Settanta.
Oblivion - di Joseph Kosinski con Tom Cruise, Morgan Freeman, Melissa Leo, Olga Kurylenko, Zoe Bell ***
Compendio di fantascienza per Tom Cruise, film visivamente affascinante e ricco di colpi di scena, impregnato di trame e sottotrame che evocano autori di fantascienza importanti, sia letterari che filmici, ma che mantiene una sua originalità e una sua malinconia autentica che riescono a trovare spazio fra azione, avventura, inseguimenti e sparatorie. Siamo in futuro apocalittico, la terra ridotta ad una landa desertica dopo una guerra devastante con alieni misteriosi, gli Scavengers, che hanno distrutto la Luna provocando un irreparabile danno all'ecosistema terrestre costringendo gli umani ad emigrare su Titano, uno dei satelliti di Saturno. Jack Harper e la sua partner Victoria sono due controllori in missione sulla terra per effettuare la manutenzione dei droni che vigilano sul deserto terrestre per impedire agli Scavangers di distruggere le ultime risorse terrestri rimaste. Isolati nella loro torre non hanno memoria del passato ed escono solo a bordo della loro astronave. Un lavoro di routine, in attesa di tornare su Titano. Ma qualcosa lentamente sta cambiando in Jack, ricordi impossibili riaffiorano e un passato misterioso lo raggiunge nei sogni. Quando poi troverà una antica astronave terrestre con a bordo una superstite, Julia, spiragli di una verità taciuta da chi ha interesse a mantenere Jack all'oscuro emergono prepotenti e l'incontro con un gruppo di umani sopravvissuti capitanati da Malcom Beech metterà Harper di fronte ad un dilemma morale e personale: accettare la realtà come gli è stata sempre raccontata o andare alla scoperta di ciò che è nascosto nella memoria e nel passato? Non anticipiamo altro della trama perchè è complessa, labirintica e va scoperta insieme ai protagonisti con il loro stesso sconcerto e stupore, ma è evidente che i veri nemici sono ben più subdoli degli Scavangers, e che la missione finale non è impossible se entrano in gioco sentimenti ed emozioni universali ed eterni come l'amore. Paesaggi straordinari fanno da scenario a questo ritratto a tinte fosche dell'oblio del nostro passato, effetti speciali mai gratuiti ai affiancano ad ambientazioni algide e sofisticate, un dolente e struggente senso di perdita accompagna ogni gesto del cavaliere indomito Jack Harper e nel trasferire sul grande schermo una sua graphic novel Kosinski ha il buon gusto di non premere troppo sull'acceleratore del film d'azione ma di lasciare ai suoi protagonisti lunghi spazi di riflessione, malinconia, rimpianto e paura. Perfettamente a suo agio nel ruolo Tom Cruise che guida un aereo, corre in moto e trova anche un paio di occhiali stile Rayban tanto per ricordarci il suo passato da Top Gun, gigione Morgan Freeman che mai si leva gli occhiali scuri eppure gronda carisma fascino e mistero e impeccabile Melissa Leo nel ruolo di Sally, superiore di Jack in collegamento video dalla base, sorriso di ghiaccio che nasconde fin troppe verità.
L'Ipnotista - (The Hypnotist ) - di Lasse Hallström con Tobias Zilliacus, Lena Olin, Mikael Persbrandt, Helena af Sandeberg ***
Thriller classico ma capace di lasciare ampio spazio alle tensioni e inquietudini personali dei protagonisti, non come sotto trama spesso abusata, ma come anima portante del film, motore e azione di un gorgo emotivo in cui i protagonisti non possono che rimanere intrappolati. Siamo a Stoccolma, a pochi giorni dal Natale e una intera famiglia viene sterminata, il padre nella scuola dove lavora, la moglie e la figlia nella loro casa. L'unico sopravvissuto è il figlio adolescente, ricoverato ferito e catatonico in ospedale. Ed è qui che lo incontra per la prima volta l'ispettore Joona Linna, a capo della indagini il quale, sotto consiglio di una dottoressa, si mette in contatto con Erik Bark, un noto medico ipnotizzatore per riuscire ad aggirare il blocco emotivo del ragazzo. Erik inizialmente tentenna, infatti non pratica più l'ipnosi da quando una sua ricerca anni prima portò ad uno scandalo e accetta di incontrare il ragazzo solo perchè una terza sorella scampata alla strage potrebbe essere ancora in pericolo. Inizia così un percorso parallelo, fatto di frasi smozzicate che il ragazzo pronuncia sotto ipnosi lasciando intravedere scenari ben più inquietanti di quelli che si credevano all'inizio delle indagini e fatto di eventi apparentemente non collegati al crimine, come il rapimento del figlio di Erik, che però ben presto diventerà la chiave per collegare tutti gli indizi disseminati lungo il tortuoso cammino del killer. La solidità della trama è forse leggermente offuscata dallo stereotipo del testimone in stato di shock e del medico ritiratosi dopo un caso fallito che torna in campo - contro il volere della moglie come da manuale - per aiutare una famiglia in pericolo, tema ampiamente sfruttato da svariati thriller, ma l'ambientazione scandinava, le luci algide e taglienti, l'abisso emozionale degli indagatori sono puntelli solidi cui il mestiere di Hallström ben si aggrappa per costruire un thriller solido, d'atmosfera e ricco di colpi di scena - sia pure con dei difetti lampanti da un punto di vista giallistico soprattutto nella fase d'azione finale - che si lascia guardare con piacevole tensione senza eccessivi spargimenti di sangue e senza neanche indulgere in inutili psicologismi, lasciando che spesso i silenzi e gli sguardi portino avanti lo sconcerto e l'indagine. Inquietante ed ombroso l'ipnotista, intensa e appassionata la moglie, ruolo che sia pur centrale avrebbe potuto essere messo maggiormente in luce e vagamente sbiadito l'ispettore che, come vuole il copione, deve lasciare la luce del palcoscenico ai segreti dell'inconscio, a chi li custodisce e a che li indaga, limitandosi agli inseguimenti in motoslitta finali.
Le Avventure di Zarafa - Giraffa Giramondo - di Rémi Bezançon,
Jean-Christophe Lie - Animazione ***
Produzione franco belga colossale, con oltre 100.000 bozzetti eseguiti a mano e uno stuolo di 200 e più collaboratori per rileggere in chiave poetica, elegante ed emozionante la vera storia della prima giraffa giunta in Europa, e precisamene a Parigi, dono del Pascià d'Egitto al Re di Francia nel 1827, nella speranza - vana ahimè - che aiutasse il suo paese assediato dai turchi. Il tutto raccontato ad un gruppo di bambini da un vecchio accovacciato ai piedi di un grande albero in Africa, tradizione antica di un nonno che seduce i nipotini con storie e avventure fantastiche. E non si può definite altrimenti che fantastica la sbalorditiva avventura vissuta dal cucciolo di giraffa Zarafa e dal suo piccolo amico Maki, un bambino sfuggito ad uno schiavista e scappato nel deserto in groppa alla mamma di Zarafa che però viene uccisa proprio dallo schiavista. Maki promette all'animale morente di prendersi cura di Zarafa e così farà inseguendola per mezzo mondo quando il beduino Hassan la catturerà per portarla a Parigi a bordo di una mongolfiera. Per Maki e Zarafa sarà un susseguirsi di incontri, scontri, tradimenti e conquiste, in un interminabile viaggio che li porterà fino alla capitale francese e ritorno, almeno per Maki e alcuni dei suoi amici, fra cui la bambina che poi diventerà sua moglie e il vecchio Malaterre, pilota della mongolfiera, mentre Hassan dopo aver perduto e ritrovato Maki ed il suo affetto numerose volte si incamminerà alla volta della Grecia dove la bellissima piratessa Boubulina lo attende. Come capirete ci sono tutti gli elementi della favola, gli eroi positivi - sfortunati ma appassionati e leali - i cattivi goffi ed imbranati come lo schiavista che finirà nella gabbia dell'orso polare abbandonato perfino dal suo cane, gli adulti carismatici come Hassan che ha un ruolo complesso nella sua ambivalenza fra giustizia e responsabilità e tutta una serie di figure di contorno inserite magistralmente a far da coro ora comico ora commovente ai protagonisti. La grafica è piena di grazia e di leggerezza, i fondali scuri di Parigi sono magnifici e la brillantezza dell'azione e dei dialoghi fa delle "Avventure di Zarafa" un gioiello di tecnica, originalità e capacità di coinvolgere, emozionare e divertire gli spettatori ogni età, parlando un linguaggio semplice che - per chi vuol vedere ed ascoltare - nasconde un metalinguaggio che ricorda fenomeni gravi come lo schiavismo, l'indifferenza, se non l'arroganza, dell'Europa nei confronti dell'Africa e delle sue "stranezze" faunistiche che diventano subito moda per cappellini e abiti salvo essere sostituiti l'anno seguente da qualcosa di ancora più esotico - l'ippopotamo in questo caso che da par suo si vendicherà per essere stato catturato - la schiavitù degli animali, la necessità di mantenere una promessa se si vuole avere e ricevere fiducia e soprattutto che la memoria di un uomo, di un popolo e di una nazione è un patrimonio cui mai si deve rinunciare.
Jimmy Bobo - Bullet to the Head - di Walter Hill con Sylvester Stallone, Jason Momoa, Christian Slater, Sarah Shahi *
Giocattolo obsoleto che vive di ricordi e di echi di un passato glorioso, ma che fin dai titoli di testa in cui il mitico marchio della Warner e quello delle altre case di produzione vengono fatti esplodere con un proiettile ci fa capire dove il buon vecchio Walter Hill e l'altrettanto buon vecchio Sly vogliano andare a parare. E a ben vedere il mestiere con cui hanno costruito le loro carriere si vede tutto, Stallone fa Stallone tutto muscoli - ritocchi botulinici - e poco cervello, Hill confeziona battute condensate - ricalcate sul genere "ti spiezzo in due" che qui diventano "combattiamo o vuoi ammazzarmi di noia?" e altre amenità - e portano avanti una sparatoria lunga quasi un'ora e mezzo in cui la trama è un pretesto di nessuna originalità e la recitazione viene sostituita dalle esplosioni dei proiettili. Il divertimento per chi ama il genere potrà anche essere garantito, ma nell'insolito duetto fra un killer e un poliziotto che si alleano per sventare una rete di corruzione e speculazioni edilizie, condita da rapporti familiari deteriorati - ma davvero qualche pigro sceneggiatore ha ancora voglia di mettere in scena un padre assente e delinquente ed una figlia rancorosa ma di buon cuore che finisce rapita e liberata dal quel padre che tanto detesta ma in fondo ama? evidentemente sì - da onore, lealtà e giustizia si respira un'aria così antica - e non retrò - che si fa fatica ad arrivare alla fine e quando Stallone pronuncia la sua perentoria battuta sulla noia in cuor nostro sappiamo già la risposta, loro combatteranno e a noi ci ammazzeranno di noia. Peccato che Walter Hill che pure aveva un suo tocco felice negli anni d'oro della sua carriera non abbia saputo rinnovarsi e adeguare i suoi stilemi ad un cinema più contemporaneo, e peccato che Stallone ancora non abbia imparato a recitare, per nulla aiutato dobbiamo ammetterlo, nella versione italiana, da un doppiaggio cavernoso che lo rende ancora più impastoiato.
Hitchcock - di Sacha Gervasi con AnthonyHopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson, Jessica Biel, Tony Colette ***
Cast stellare per il "making of" di uno dei più grandi successi cinematografici di Hitchcock e cioè Psyco. Il film di Gervasi ricostruisce i mesi che precedettero la realizzazione di Psyco, i giorni delle riprese, il successo clamoroso del film in cui neanche la Paramount credeva tant'è che accettò di distribuirlo ma non di produrlo costringendo Hitch e sua moglie Alma ad ipotecare la casa per finanziare il progetto. E ricostruisce non solo il travagliato percorso del film, ostacolato dalla censura, osteggiato dalla critica, apertamente tacciato di appartenere alla categoria horror B movie dalle grandi major, ma soprattutto il percorso umano compiuto dal genio del mistero per calarsi nelle atmosfere torbide del libro prima e della sceneggiatura poi, rimanendo invischiato nelle perversioni mentali di Norman Bates al punto da intessere un dialogo interiore con il folle protagonista della storia. E' un Hitchcock ossessionato dalle sue bionde quello che vediamo osservare le foto di Kim Novak e Grace Kelly, è un Hitchcock legato da un rapporto complesso e inquietante con la moglie Alma (geloso e possessivo quando lei aiuta un amico sceneggiatore, tagliente e caustico ma anche dipendente dal suo giudizio e dal suo aiuto) ma è soprattutto un Hitchcock dedito maniacalmente al suo lavoro, attento ai dettagli, incurante delle reazioni spaventate dei propri attori (insoddisfatto dell'attore che deve accoltellare la Leigh nella doccia impugna lui stesso il coltello e si avventa sulla poveretta con tale furia da riuscire a strapparle le espressioni terrorizzate che tutti abbiamo poi visto sul grande schermo). La versione finale del film verrà bocciata dalla Paramount ma l'aiuto di Alma che suggerisce di aggiungere alla scena della doccia la musica inconfondibile che la accompagna e di rimontare da capo il film porterà ad Hitchcock il riconoscimento che ha sempre desiderato e che rimpiange di non aver mai avuto appieno nonostante i grandi incassi dei suoi film (ricordiamo che non vinse mai un Oscar). E' una biografia sui generis quella di Gervasi, perchè i fatti sono solo il pretesto per trascinare lo spettatore nel mondo di Hitch, nelle sue ossessioni, nei suoi incubi e nelle sue asperità che ne fanno un personaggio ma anche un uomo fragile e insicuro, che in doloroso confronto con Vera Miles - cui mai perdonò di aver abbandonato il progetto di "La donna che visse due volte" per diventare madre confessa "una volta pensavo di capire le donne...". Come dicevamo all'inizio il cast è davvero stellare, con un Anthony Hopkins perfettamente truccato senza mai risultare maschera grottesca ( e infatti il film è in Nominations agli Oscar per il miglior trucco), con Helen Mirrer intensa e misurata Alma e con Scarlet Johansson che in alcune scene soprattutto nella ricostruzione della morte sotto la doccia ripropone con grande bravura la vera Leigh. L'unico limite che si può imputare al film è che nonostante tutti gli sforzi di infilarsi fra le pieghe della storia con sentimenti e turbamenti resta pur sempre un biopic su un personaggio dello star system, con tutti i legacci che questo comporta, ma restano intonatissime ed impagabili alcune scene fra cui quella in cui Hitch spia il pubblico da dietro le quinte del cinema dove si proietta la prima di Psyco, quella del confronto casalingo con un'Alma amareggiata e lo scherzo macabro che fece alla Leigh alla fine delle riprese.