Agosto 2013
Una Canzone per Marion - di Paul Andrew Williams con Vanessa Redgrave,
Terence Stamp, Gemma Arterton, Christopher Eccleston ****
Cinema inglese al cento per cento, emozioni trattenute ma intense e humor venato di tenerezza, equilibrio perfetto fra dramma e commedia sentimentale brillante, con due interpreti straordinari per talento che non scopriamo certo oggi e capacità di mettersi a nudo nella loro vecchiaia. Marion e Arthur hanno tutta una vita passata insieme alle spalle, un figlio con cui Arthur non riesce a relazionarsi - Arthur ha un carattere brusco e riservato che il figlio fatica a comprendere - una nipotina che adorano e un amore tanto grande quanto le loro differenze, lei solare e aperta agli altri, lui cupo e introverso. La loro vecchiaia potrebbe essere serena, fatta di quei bisticci e quelle tenerezze tipiche di chi ha passato insieme tutta la vita, ma un baratro si avvicina, Marion è malata terminale di cancro e i medici non le danno più di due mesi. Lei non si lascia scoraggiare, vuol continuare a cantare nel coro di quartiere e sentirsi vive finchè la malttia non avrà il sopravvento, Arthur diventa iperprotettivo, ha paura che lei si affatichi, le impedisce di vedere i suoi amici. Lei si chiude nel mutismo finchè lui cede e la accompagna alle prove del coro, che di lì a qualche giorno dovrà esibirsi davanti ad un giudice per essere ammesso ad un concorso. E così Arthur si trova a fumare nervosamente fuori dalla sala prove mentre Marion prova la sua canzone, guardingo all'inizio incuriosito poi, desideroso di far contenta la moglie ma tutto sommato piuttosto scettico verso quei vecchietti che si dimenano, cantano e si divertono come a lui non accade più da tantissimo tempo. La direttrice del coro tra l'altro è una ragazza deliziosa, estremamente affezionata a Marion che cerca di far capire al burbero Arthur quanto la socialità sia importante per gli anziani. Arriva il giorno della prova e Marion esegue il suo assolo, una splendida e toccante versione di "True Colors" cantata da Vanessa Redgrave con immensa bravura, cui assistono anche il figlio e la nipotina. Di lì a poco Marion muore, Arthur chiude ogni contatto con il figlio e si isola nel suo dolore ma... ma non è mai troppo tardi per aprirsi alla vita, e così sarà lui a prendere il posto di Marion nel coro la sera dell'esibizione al concorso, scoprendo il piacere del canto, della condivisione e del coraggio di esprimere le proprie emozioni, gesto che gli aprirà le porte della riconciliazione con il figlio. Film di sentimenti già narrati, film da "fazzoletto a portata di mano" film in cui tutto va come deve andare dalla prima all'ultima scena? Forse, ma talmente ben recitato, ben portato avanti fra una lacrima e una risata e ben orchestrato nei caratteri che incanta nella sua delicatezza, commuove nella sua aderenza alla realtà - la malattia, la perdita, la difficoltà di dialogo padri fili - e fa riconciliare con quel cinema semplice, senza effetti speciali, fatto di storie toccanti interpretate da grandi attori, che una volta era la regola sul grande schermo ed oggi è un'eccezione guardata per giunta da qualcuno con sospetto, temendo sia cinema ricattatorio. Non è così, è cinema vero questo, e commuoversi non è mai stato un reato davanti a un sorriso come quello di Vanessa Redgrave o di Terence Stamp.
A Royal Affair - di Nikolaj Arcel con Mads Mikkelsen, Alicia Mikander, Mikkel Folsgaard, David Dencik, Trine Dyrholm, Soren Malling, William Johnk Nielsen ***
Premio alla Miglior Sceneggiatura e alla Miglior Interpretazione Maschile al Festival di Berlino, nomination ai Golden Globes fra i Miglior Film Stranieri e probabile candidatura agli Oscar nella stessa categoria "A royal affair" si presenta con ottime credenziali ed in effetti la coproduzione danese svedese cecoslovacca e tedesca è un sontuoso affresco d'epoca che gioca le carte dell'amore, della follia, dell'ideologia e degli intrighi di corte con grande sapienza, trascinando in un vortice di passioni e pulsioni, di tradimenti e di riscatti, di torture e di confessioni. L'ambientazione è la corte danese, nel 1700, quando il re Christian VII sposa la giovanissima cugina Caroline Mathilda. La vicenda viene narrata dalla stessa Caroline, anni dopo, in una lettera ai figli che non ha potuto crescere e a cui vuole raccontare la vera storia della sua vita. Giunta a corte Caroline si rende conto che Christian è mentalmente disturbato, viziato, infantile e incapace di sentimento o rispetto per lei. Dopo la nascita del primo figlio il re parte per un giro in Europa ed incontra un medico tedesco, Johann Friedrich Struensee, appassionato alle idee di Voltaire e lui stesso autore di opere ispirate all'Illuminismo. Lo porta con sè in Danimarca e si lascia convincere dal dottor Struensee a promulgare una serie di nuove leggi che faranno della Danimarca un paese all'avanguardia in Europa. Ma naturalmente le trame dei ministri e dei nobili che sentono venir meno il loro potere darà il via ad una vendetta crudele e spietata, coinvolgendo anche Caroline che nel frattempo è divenuta l'amante di Struensee e ha avuto da lui una figlia. Saranno i figli di Caroline, divenuti adulti, a compiere un colpo di stato e a riportare in auge i principi illuministici che invano il folle padre aveva tentato di mettere in atto su suggerimento di Struensee. Capace di coniugare storia e sentimenti, di tratteggiare figure ambigue senza mai scadere neil giudizio e di raccontare con pari empatia la passione d'amore come la passione per le nuove idee politiche il film di Arcel ha il grande merito di saper coinvolgere, interessare, appassionare e incuriosire, ricreando perfettamente un'ambiente ed un'epoca, grazie anche ad una perfetta messa in scena fatta di costumi, luci, scenografie e musiche. Il re folle interpretato da Mikkel Fosgard per cui ha vinto l'Orso d'oro a Berlino, il medico idealista e romantico, la regina innamorata e combattiva sono naturalmente i perni intorno a cui si svolge la storia, ma i comprimari sono altrettanto bravi, e altrettanto importanti nel millimetrico schema di tradimenti ed imbrogli di cui è intessuta la corte. Del resto, come già diceva Shakespeare, "C'è del marcio in Danimarca". Ma il film di Arcel lo rende di grande pregio ed elegante fascino.
Monsters University - di Dan Scanlon - Animazione ***
Un perfetto romanzo di formazione questo prequel del successo Pixar, con i protagonisti impegnati nell'impervio cammino che li porterà a laurearsi alla Monsters University. Mike fin da bambino ha sognato di diventare un mostro di serie A, di quelli che terrorizzano i bambini, e quando finalmente si iscrive alla facoltà di Spaventologia i suoi sogni sembrano avverarsi, ma non ha fatto i conti con la terribile rettore Tritamarmo, con un nemico-amico come J. Sullivan, erede di una famiglia di mitici mostri e soprattutto con la sua "diversità", un musetto simpatico e un carattere bonario che non fa di lui propriamente il prototipo del mostro. Ma le Olimpiadi dello Spavento saranno per Mike e Sully il banco di prova non solo delle loro capacità di spaventare i bambini ma anche di cementare quella che diventerà una perfetta amicizia. I sipari comici sono perfettamente sceneggiati e contestualizzati, i personaggi di contorno deliziosamente simpatici e "in parte", Mike ha uno spessore emotivo e psicologico che lo fa assurgere a protagonista a tutto tondo del disagio giovanile di chi è in qualche modo lontano dagli stereotipi proposti dalla società, e Sully sprigiona fragilità dietro le sue spacconate, come i teenagers di tutti i tempi. Una coppia che aveva conquistato già al suo primo apparire ma che con questo prequel ci intenerisce e ci fa simpatia ancora di più, divertendo con ironia e intelligenza, tratteggiando caratteri e situazioni universali e garantendo un piacevolissimo intrattenimento spensierato ma mai superficiale, garbato e graffiante, perfettamente sceneggiato, diretto e interpretato, parola che apparentemente poco si adatta ad un film di animazione, ma che in questo caso premia un "cast" davvero superlativo!
Se sposti un posto a tavola - di Christelle Raynal con Elsa Zylberstein, Franck Dubosc, Audrey Lamy, Arié Elmaleh ***
Uno sliding doors alla francese questo film corale che rimescola le carte del destino di una manciata di personaggi che siedono casualmente insieme ad uno dei tavoli di un banchetto nuziale. C'è la coppia - forse - in crisi perchè non riesce ad avere figli, quella altrettanto in bilico perchè il marito è un dongiovanni e la moglie una insicura patologica, c'è la sorella zitella della sposa che fantastica grandi amori con ogni uomo che le rivolge un sorriso e un fotografo in cerca di fama e conferme, ma c'è soprattutto l'ex fidanzato della sposa, ancora innamorato di lei - ricambiato con passione fra l'altro - che mescolando i segnaposto rivoluziona per ben tre volte le vite degli ospiti prima di riuscire a comporre un puzzle soddisfacente. Leggero, leggero fin troppo in alcuni momenti, ma garbato, capace di ruotare intorno ad ogni protagonista facendolo di volta in volta brillare di luce propria o precipitare nella penombra del fallimento, capace soprattutto di farci scorgere tutte le mille variabili della vita, ricordando che "si può sempre scegliere" come viene ripetuto varie volte in sottofinale quando tutto potrebbe precipitare o andare ad incastrarsi nella perfetta felicità, questione di un attimo, di un sì o un no, di un passo avanti o indietro. Attori decisamente azzeccati e capaci di reinterpretare se stessi con grande ironia e divertimento, cambiando espressione e partner con incantevole disinvoltura francese e in grado di arrivare al lieto fine finale senza farsi mai stritolare dal meccanismo del "what if", della ripetizione del ruolo nel gioco del destino. Sicuramente abbiamo assistito a commedie francesi ben più intriganti e capaci di far riflettere ed emozionare, ma la commedia di Raynal non è un puro esercizio di stile recitativo nè un mero brillante labirinto di sceneggiatura, è anche una sensibile analisi di quanto sia difficile trovare se stessi all'interno di quel caos casuale, terribile e meraviglioso che è la vita.
La Notte del Giudizio - di James DeMonaco con Lena Headey, Ethan Hawke,
Edwin Hodge, Max Burkholder **
Al di là dell'idea iniziale - discutibile, opinabile e tutta da verificare - che lasciare gli americani, una notte all'anno, liberi di sfogare odio e violenza uccidendosi e massacrandosi senza conseguenze penali in nome della pace e dello scarso numero di reati che regnerà nei giorni e mesi successivi - ma la domanda che nasce spontanea fin dalle prime scene del film è perchè mai chi ha tanta aggressività dentro di sè dovrebbe limitarsi ad esprimerla solo quando è permessa per legge? - lo sviluppo del film è sovrapponibile in buona parte alle tante pellicole di tensione e paura ambientate in una casa super borghese dove improvvisamente piomba la violenza ad opera di un gruppo di sconosciuti che tiene in ostaggio la famiglia proprietaria della casa obbligandola ad ingegnarsi in ogni modo - lecito e non - per sopravvivere. Il povero homeless che chiede aiuto dalla strada - cadenza d'inganno che spinge lo spettatore ad identificarlo con il villain salvo poi recuperarlo come vera vittima - è il perno che innesca pietà e crudeltà, senso di colpa e senso di vendetta, egoismo e generosità, pedina inconsapevole che porta a galla gli istinti peggiori e anche quelli nobili, di cui quasi nessuno dei protagonisti pensa di possedere. Ethan Hawke lavora di mestiere, ma neanche questo lo salva dallo stereotipo recitativo, figli e moglie gli stanno dietro come possono, ma è la sceneggiatura tutta che passa con troppa disinvoltura dalla tensione sottile e strisciante delle ore che precedono la "purge" - titolo originale del film che allude alla purificazione che segue lo spargimento di sangue legalizzato - alla carneficina e alla scelta registica semi horror di inquadrare maschere orribilmente ghignanti e subito dopo volti adolescenziali terrorizzati, come se fosse una novità...