Grandi Film 1971- 1980
Il Padrino I e II - 1972-1974 - di Francis Ford Coppola con Robert Duvall, James Caan,
Al Pacino, Marlon Brando, Robert De Niro
Il romanzo di Mario Puzo del 1969 era sicuramente materia degna di un gran film, ma quello che Francis Ford Coppola ha realizzato è un doppio capolavoro, unico ed irraggiungibile. La saga familiare di Don Corleone, fra legami di sangue, tradimenti, gestione del potere e responsabilità è un percorso doloroso e solitario che raggiunge vertici registici ed interpretativi rari, con scene che sono entrate nella storia del cinema. Marlon Brando , Al Pacino, Robert De Niro creano personaggi indimenticabili e l'atmosfera di questi due immensi film che avranno un seguito meno riuscito anni dopo è di un'intensità rara per un film di genere mafia &Co. Tanti Oscar, tutti meritatissimi.
Qualcuno volò sul nido del cuculo - 1975 - di Milos Forman con Jack Nicholson, Louise Fletcher, William Redfield, Sydney
Lassick,
Un gigantesco Jack Nicholson interpreta il ribelle Mc Murphy rinchiuso in un istituto psichiatrico che farà di tutto per sovvertire l'ordine rigido e castrante imposto dall'infermiera rigida e inflessibile interpretata da un Louise Fletcher in stato di grazia. Umanità disperata e impossibilità di uscire dalla prigione della malattia mentale quanto dall'istituzione che dovrebbe aiutare e invece svilisce sono tratteggiate con un pathos magistrale e Nicholson nel suo continuo tentativo di riportare umanità e dignità in quel reparto è semplicemente magnifico e più di una scena strappa una commozione profonda e vera. Prodotto dal giovanissimo Michael Douglas conquistò ben sei Oscar tra cui film , interpreti e sceneggiatura.
Apocalypse Now - 1979 - di Francis Ford Coppola con Marlon Brando, Martin Sheen, Robert Duvall
La Guerra de Vietnam più Cuore di tenebra di Conrad più Francis Ford Coppola. Ed ecco il film definitivo su ogni guerra, filosofico, metaforico, psicanalitico, e ad un tempo realistico e feroce, capace di scendere negli abissi dell'animo umano come pochi altre pellicole. Il colonnello Kurtz di Brando è lo stereotipo dell'umanità perduta, e le scene di battaglia, visionarie e potenti, sono una denuncia assoluta della guerra. La fotografia di Vittorio Storaro, premiato con l'Oscar, aggiunge pathos e forza ad un film che non racconta la storia di una guerra, ma la storia dell'umanità.
Taxi Driver - 1976 - di Martin Scorsese con Jodie Foster, Robert De Niro,
Cybill Shepherd, Peter
Boyle
Un film a tematica forte, fortissima per l'epoca, una prostituta bambina ed un taxista psicopatico in una New York ostile e livida. L'estetica perfetta di Martin Scorsese riesce a dare corpo ad una solitudine assoluta, ad una disperazione profonda e ad un rancore che sfocia in paranoia. L'eleganza stilistica non fa sconti agli abissi emotivi e comportamentali, e il disagio che si prova di fronte a certe scene è di quello che rimane a memoria di una pellicola che ha segnato il linguaggio cinematografico e visivo come poche altre. Palma d'Oro al Festival di Cannes, premio che da sempre sottolinea il coraggio, l'originalità e la genialità di un'opera, cosa quanto mai vera nel caso di questo dramma metropolitano che si muove a ritmo di jazz e incide le emozioni come la lama di un rasoio.
Arancia Meccanica - 1971 - di Stanley Kubrick con Malcolm McDowell, Patrick Magee, Adrienne Corri, Michael Bates
Una fantascienza pericolosamente vicina alla realtà - e oggi ancora di più - raggiunge vertici impensabili per un film di genere se non ci fosse alla regia il genio di Stanley Kubrick che costruisce una metafora di classe e fascino per raccontare l'orrore della violenza. Il giovane teppista interpretato da Malcom Mc Dowell che stupra ascoltando "Singing in the rain" e che viene rieducato costringendolo a vedere ad oltranza immagini di violenza è un personaggio figlio della società, ora come allora, e altrettanto feroce è il ritratto delle autorità, che quella società formano. Visionario e rivoluzionario, capace di provocare in modo profondo e mai fine a se stesso, Kubrick nel 1971 guarda molto avanti e vede ciò che la cronaca ha poi puntualmente registrato, e lo fa con una forza visiva quasi onirica che disturba al punto da catturare e far riflettere molto più di un saggio di sociologia.
La Stangata - 1973 - di George Roy Hill con Robert Redford, Robert Shaw, Paul Newman, Harold Gould
Raramente i film brillanti trovano posto negli elenchi dei "Migliori Film" ma in questo caso sono tutti concordi nel considerare "La Stangata" un grandissimo esempio di commedia d'autore, di grande classe e capace di dare spazio all'istrionismo della coppia Redford Newman. La trama semplice e complessa ad un tempo, con al centro la truffa che due imbroglioni di mezza tacca mettono in piedi per incastrare un gangster locale è di quelle che divertono per i continui colpi di scena e per le performance di due giganti capaci con uno sguardo di dominare una scena. Pioggia di Oscar, tra cui film, regia, sceneggiatura, per un film che ha il coraggio di coniugare la spensieratezza e la leggerezza con l'eleganza formale e dialoghi di ottima fattura.
Il Cacciatore - 1978 - di Michael Cimino con Christopher Walken, John Savage, Robert De Niro , Meryl Streep
L'altra faccia della guerra, quella che non si svolge sui campi di battaglia, quella che rimane marchiata a fuoco nella psiche dei soldati una volta tornati a casa. Una denuncia resa ancora più forte dall'atmosfera fintamente spensierata della prima parte del film messa a confronto con le menti devastate di chi ha attraversato l'inferno prima di tornare a casa irrimediabilmente segnato. Grandi attori come De Niro, Walken e Savage danno il meglio di loro diretti da un regista capace di indagare i picchi e gli abissi dell'animo umano come pochi altri.
Mitica la scena della roulette russa, di impatto provocatorio e coraggioso, e otto premi Oscar per un capolavoro
Quinto Potere - 1976 - di Sidney Lumet con Peter Finch, William Holden,
Faye Dunaway, Robert Duvall
Attuale come non mai ogni anno che passa, l'accusa al potere della televisione di Lumet suscitò una grandissima eco quando uscì nel 1976. Provocatorio nel progettare il suo suicidio in diretta tv il giornalista interpretato da Peter Finch è un perfetto esempio di chi è allo stesso tempo vittima della popolarità ed artefice di quella dipendenza del pubblico che va stigmatizzando. Le figure del direttore, della collega cinica e di tutto quel sottobosco di personaggi che sgomita per il proprio quarto d'ora di celebrità sono disegnate con cattiveria e sarcasmo, e gli Oscar a Finch e alla Dunaway sono testimonianza di quanto i grandi attori sappiano trasformare uno stereotipo in un carattere a tutto tondo.
Barry Lyndon - 1977 - di Stanley Kubrick con Marie Kean, Patrick Magee, Ryan O'Neal, Marisa Berenson
Ci sono registi che pur essendo dotati di gran talento, girano sempre lo stesso film, e registi, come Kubrick in questo caso, che sono sempre andati alla ricerca di qualcosa di innovativo, che spingesse un passo avanti il loro percorso creativo. Barry Lynon in questo senso ne è un esempio perfetto, perché è la trasposizione in pellicola di un romanzo dell'Ottocento di William Makepeace Thackeray e apparentemente la trama non offre spunti per voli pindarici, metafore o provocazioni. Le avventure di Barry sono una girandola di eventi sfortunati, di scelte sbagliate e di cadute rovinose, tipica trama di un romanzo d'epoca, ma il sottotesto è sempre presente e la vita intesa come un incontro col destino di cui spesso si è in balia è ciò che ogni gesto dei protagonisti comunica in silenzio. Ma Barry Lyndon ha un'altra caratteristica unica e cioè una scelta registica ardita e geniale da un punto di vista tecnico dato che Kubrick scelse di dare al film un'illuminazione quanto più possibile aderente all'epoca in cui si svolge l'azione e fatta quindi di sole candele che rende l'atmosfera patinata e soffice a contrasto con la crudezza del racconto - e usò per questo delle lenti speciali realizzate apposta dalla Carl Zeiss. Anche in un film apparentemente semplice, il tocco del genio che spiazza e mette tutto in discussione. Oscar per la fotografia, per i costumi e per la magnifica musica di Leonard Rosenmann.
Manhattan - 1979 - di Woody Allen con Woody Allen, Michael Murphy, Diane Keaton, Meryl Streep, Mariel Hemingway
Manhattan, ovvero la poesia fatta film. Woody Allen dedica alla sua città un'elegia fatta di emozioni piccole, sentimenti feriti e speranze timide, di gesti goffi e dialoghi impagabili. Sono figure indimenticabili quelle che dolorosamente cercano a felicità in una bianco e nero elegante e distante che partecipa al film sule note di Gershwin come un vento lieve che tutto scompiglia e niente distrugge. Woody Allen regala personaggi femminili talmente sinceri e veri che si fa fatica a credere che siano nati dalla penna di un uomo, e l'innamoramento un po tenero un po' struggente di Allen per la giovane Mariel Hemingway è di quelli che restano nella storia del cinema, come l'elenco delle cose per cui vale la pena vivere.