Grandi Film 1991- 2000
Pulp Fiction - 1994 - di Quentin Tarantino con John Travolta, Samuel Jackson, Bruce Willis
Il film che ha fatto conoscere Tarantino al grande pubblico. Il film che ha dato il via al cinema tarantiniano, inteso come storie hardboiled, come ironia e sarcasmo mescolato a sentimenti profondi e sinceri, a dialoghi surreali e metaforici di personaggi caricaturali al punto da apparire autentici. In un continuo salto avanti ed indietro nel tempo si intrecciano le storie di due gangster, di un pugile suonato e della pupa del boss selvaggia ed indomabile. La rinascita di John Travolta (nel mitico twist con Uma Thurman ha fatto epoca) una Palma d'Oro a Cannes e un'Oscar per la sceneggiatura sono il segno di un capolavoro personale e unico, che solo Tarantino poteva inventare.
Schindler's List - 1993 - di Steven Spielberg con Ben Kingsley, Ralph Fiennes, Liam Neeson
Raccontare l'inferno della Shoa e condurci per mano fino al nocciolo duro degli orrori che la Seconda Guerra Mondiale ha significato per il popolo ebraico era per Spielberg una sfida con se stesso, perchè la retorica in casi del genere è sempre dietro l'angolo e perchè il film strappalacrime è una tentazione fortissima. Ma il grande cineasta americano riesce ad evitare entrambi gli ostacoli facendoci partecipi della coraggiosa scelta fatta dall'industriale tedesco Oskar Schindler che pur collaborando con i nazisti, riuscì a salvare più di 1100 ebrei dalle camere a gas. I personaggi sono tutti misurati e mai caricaturali (il nazista di Ralph Fiennes ne è il perfetto esempio) il bianco e nero, rotto solo dalla macchia di rosso di un cappottino perduto fra altre migliaia di indumenti, è quanto di pù sobrio ed intenso allo stesso tempo possa esserci per raccontare lo spazio grigio vissuto dall'umanità in quegli anni e la commozione che il film comunica è autentica, profonda e partecipe come solo delle immagini tanto potenti e toccanti sanno evocare. Mai pioggia di Oscar fu più giusta.
Il Silenzio degli Innocenti - 1991 - di Jonatham Demme con Jodie Foster, Anthony Hopkins
Due personaggi indimenticabili, la Clarice Sterling di Jodie Foster e il professor Hannibal Lecter di Anthony Hopkins sono il perno di questo grande thriller, teso e agghiacciante che tra l'altro è stato il primo di una lunga serie incentrata sul professor Lecter, psichiatra di talento elegante e raffinato che ha un unico, non trascurabile, difetto, è un serial killer che ama mangiare le proprie vittime. Ma è anche l'unico che porà aiutare la giovane agente dell'FBI interpretata dalla Foster a catturare un altro serial killer, di cui lo psichiatra sa più di quel che sembra. La fatale e seducente partita a scacchi che i due personaggi conducono è una danza macabra, sempre sul filo della tortura psicologica e della seduzione, un incontro scontro che porterà entrambi sull'orlo della disperazione. Naturalmente l'impianto giallistico ha la sua importanza ed il thriller è solido e ben costruito, ma quel che resta di questo sorprendente film è la grande capacità di Demme di dar vita a due anime tormentate che viaggiano parallele sui binari del dolore. Non per niente il film vinse cinque premi Oscar.
Forrest Gump - 1994 - Di Robert Zemeckis con Tom Hanks, Robin Right Penn, Gary Sinise
Trent'anni della Storia Americana visti con gli occhi di un idiot savant, un ragazzo autistico e gentile, che attraversa la vita con piccoli proverbi e grandi verità, sfiorando le tragedie del recente passato come la Guerra del Vietnam o l'inizio ell'epidemia di Aids, con una levità ed un'innocenza che ne fanno un eroe vero, senza strategie e senza furbizie. Corre Forrest, corre apparentemente senza un perchè e senza una meta, e nel correre ci ricorda che la purezza di cuore può far arrivare ovunque desideriamo, anche se le gambe sono imbrigliate in tutori metallici. Un personaggio tenero, divertente ma profondo, mai macchiettistico, che Hanks tratteggia con poesia e che vola leggero come la piuma che apre e chiude un film fatto di sfumature e di sottovoce. Oscar tra gli altri a Hanks, al film, a Zemeckis per la regia, e agli effetti speciali che fanno comparire Forrest, attonito e spaesato, accanto ai più grandi personaggi della storia come Nixon, Kennedy e Johnson.
American Beauty - 1999 - di Sam Mendes con Annette Bening, Kevin Spacey, Mena Suvar
La crisi di mezz'età senza sconti nè alibi. La frustrazione e la delusione di un'esistenza non possono essere pareggiate da una fantasia, sia pure potente e ipnotica. Il Lester Burnham di Spacey, family man della middle class che fantastica sull'adolscente amica della figlia mentre la moglie, donna in carriera, flirta con un collega, sono il ritratto perfetto della confusione generazionale, dell'incapacità di prendere in mano la propria vita e anche i vicini di casa che interagiscono, in modo ambiguo e contraddittorio con i Burnham, non fanno che amplificare il malessere che circonda la società americana e che tanto contrasta con la vasca piena di petali di rosa in cui Lester immagina immersa la giovane di cui è invaghito. Quell'american beauty da cui il titolo è ormai possibile solo nelle fantasie e il finale del film, amaro e dolente , ce lo conferma con voce potente e ferma. Un film maturo, sincero, capace di guardare in faccia i fallimenti e di chiamarli per nome, un film che ha commosso e fatto discutere, perchè è un paradigma intelligente della società borghese, ed è sincero e brutale come la vita. Oscar al film, al regista Sam Mendes, a Kevin Spacey e alla sceneggiatura di Alan Bell.
La Vita è Bella - 1999 - di Roberto Benigni con Horst Buchholz, Roberto Benigni, Giustino Durano, Nicoletta Braschi
Si può raccontare l'orrore della guerra come se fosse una favola? Si può sorridere e far sorridere quando il dolore e la paura attanagliano l'anima? Si può regalare agli spettaori la lievità di un batuffolo d'ovatta se dentro si annida il piombo freddo di un proiettile? Si può se si ha il telento, il coraggio e la fantasia di Roberto Benigni, che racconta la storia della famiglia di Guido, Dora e del loro figlio Giosuè con allegra partecipazione e colori brillanti fino al giorno in cui vengono imprigionati perchè ebrei e con grazia e pathos sincero da quel momento in avanti. Guido farà di tutto perchè il figlio non conosca - non riconosca - negli aguzzini il Male che invece incarnano e inventerà per lui una favola leggera, un sogno in cui cullarsi per non dover affrontare quell'incubo disumano che gli sottrarrebbe il diritto all'infanzia. Morire con il sorriso sulle labbra, atto di generosità estrema di un uomo mite e anche fisicamente esile, lo fa diventare un gigante di coraggio e amore, perchè solo l'amore può spingerci a inventarci una vita, e una morte, dolcissime per non far soffrire chi amiamo. Un capolavoro assoluto per equilibrio, per armonia di gesti e sguardi, una partitura perfetta in cui ogni nota è melodia assoluta. Oscar di grande peso per un film non in lingua inglese, forse perchè uno sguardo d'amore non ha bisgono di essere tradotto per arrivare al cuore di chiunque.
Il Sesto Senso - 1999 - di M. Night Shyamalan con Bruce Willis, Haley Joel Osment, Toni Collette , Olivia Williams
L'atmosfera in un fim di genere paranormale è di primaria importanza. Si passa dalle ambientazioni splatter con vagonate di sangue a quelle fintamente inquetati in cui però tutto è pressochè prevedibile. E invece il pregio del Sesto Senso è proprio quello di aver saputo costruire un film non solo teso e avvincente, ma anche dolente e malinconico pieno di pathos e di emozione, di sofferenza reale e partecipazione sincera. Lo psichiatra interpretato da Bruce Willis che cerca di aiutare un bambino che dice di parlare con le persone morte è di quei personaggi mesti che si impongono per sottrazione e non per spavalderia e il bambino, un sorprendente Haley Joel Osment ha la capacità di farci partecipi dei suoi turbamenti. Senza effetti speciali da salti sulla sedia la suspance è invece affidata a piccol passaggi psicologici che man mano svelano la trama e avvolgono nell'angoscia e la capacità d sorprendere è tutta affidata all'eleganza delle scene e dei dialoghi dietro cui Shyamalan lascia intuire la disperazione e il dolore di chi resta.
Lanterne Rosse - 1991 - di Zhang Yimou con Gong Li, He Caifei, Cao Cuifeng, Jin Shuyuan
Capolavoro stilistico oltre che narrativo, Lanterne Rosse racconta con raffinatezza l'universo femminile nella Cina degli Anni Venti. Una giovane in difficoltà economica interrompe gli studi ed accetta di diventare la quinta moglie di un signorotto. Verrà accolta nell'harem, imparerà ad amare ed odiare, conoscerà le umiliazioni e la solidarietà. L'asciuttezza del racconto si sposa con la profonda analisi di una società antica e remota, e la compostezza formale nasconde un universo femminile imploso e complesso che irrompe dallo schermo pur nel silenzio di un luogo misterioso e chiuso. La grande regia di Yimou ha il pregio di dipingere con un pennello a punta sottile una realtà dolorosa e difficile, e di farci partecipi di un mistero senza fine, il fascino discreto ed eterno del mondo femminile.
Trainspotting - 1996 - di Danny Boyle con Ewan Mc Gregor, Robert Carlyle
Un film disturbante e disturbato, visionario ed originalissimo, che ha il coraggio di mostrare il lato peggiore del vivere al limite, che non cerca il consenso, che non dipinge di fascino chi fascino non può avere e che distribuisce disgusto e degrado senza paura di disorientare lo spettatore. Perchè la vita dei giovani emarginati di Edimburgo, fatta di droga, violenza, solitudine e disperazione è narrata con disinvoltura e senza vergogna, come solo chi ha sceso tutti i gradini della vita può aver il coraggio di fare. Ed infatti è il loro punto di vista che Boyle, prendendo come solido testo su cui basarsi il libro di Irvine Welsh, vuole farci conoscere, la loro inconsistente prospettiva, la loro quotidianità più sconvolgente. La musica accompagna ogni scena con i toni duri dell' hard rock e del pop, e la scenografia e la fotografia sono ispirate ai quadri visionari di Francis Bacon. Il tutto fa del film di Boyle un'icona dura e potente, un ritratto pieno di ombre e di colori cupi che non si dimentica, un film unico e irripetibile per originalità e sincerità.
The Truman Show - 1998 - di Peter Weir con Jim Carrey, Ed Harris, Laura Linney, Noah Emmerich
Una vita semplice e tranquilla, un quartiere armonioso e sicuro, un lavoro, una famiglia, degli amici. Truman Burbank ha tutto questo e non potrebbe desiderare di più. In realtà tutto quello che lui ha, o meglio crede di avere, è solo una gigantesca messa in scena per un reality show che ha la durata di tutta la sua esistenza, e niente e nessuno intorno a lui è reale. Un incubo paradossale e iperbolico sta alla base di una denuncia e di un allarme reale, che la nostra vita diventi sempre più una microscopica pedina in un gioco immenso, fatto di "Grandi Fratelli" e suggeritori occulti. Lo spaseamento surreale di Jim Carrey da' al film un tono da commedia nera, ma c'è una profonda malinconia nel suo sguardo sperduto, e c'è una violenza silenziosa e maligna nelle immagini finte e patinate che dovrebbero comporre la vera vita di un individuo. La libertà negata, seppur sostituita da dosi abbondanti di felicità e soddisfazione, è quanto di più importante per chinque, in qualunque epoca, in qualunque contesto. E la aberrante condizione in cui Truman si viene a trovare è un grido lacerante e metaforico che Weir ci consegna, lasciando che il dubbio e l'amarezza scavi un tunnel verso la fuga da qualunque vita che non sia vera.