Marzo 2013
Come Pietra Paziente - di Atiq Rahimi con Golshifteh Farahani, Hamid Djavadan,
Massi Mrowat, Hassina Burgan ****
La pietra paziente, narra la leggenda, è una pietra magica cui confidare le proprie sofferenze e i propri segreti: lei li assorbirà e un giorno si frantumerà, liberandoti da tutta la pena e il dolore. E sulla base di questa potente metafora Atiq Rahimi costruisce un magnifico film simbolico, introspettivo, dolente, eppure calato nella realtà più cruda senza che questo intacchi minimamente lo stream of consciousness della protagonista. La storia si svolge a Kabul, con i bombardamenti che distruggono case e speranze, con il futuro che si sbriciola come le mura di quella che una volta era la città. In una di queste case si trova una famiglia lacerata: il marito, ex eroe di guerra è stato ferito durante una lite con un compagno e giace in coma, la giovane moglie lo accudisce come può, alimentandolo con una flebo fatta da lei con acqua sale e zucchero perchè non ha soldi per comprare le medicine. Corre per la città in cerca di aiuto per sè e per le due bambine piccole, finchè finalmente trova una zia cui affidare le figlie mentre lei ritorna ogni giorno a lavare ed accudire quel corpo inerme. Nelle lunghe ore silenziose c'è solo la disperazione a farle compagnia, l'eco dei combattimenti e la sensazione che tutto stia per finire. E così inizia a parlare a quel marito che ha sposato mentre lui era al fronte, che ha conosciuto pochissimo ed amato ancora meno perchè sempre brusco, sempre disinteressato ai suoi bisogni, sempre violento. Inizia così il racconto di una vita fatta di privazioni, violenze fisiche e psicologiche, dal padre prima, dalla suocera poi che la incolpava di essere sterile, e inizia la presa di coscienza che quella vita è stata un sacrificio, un'umiliazione, un giogo, e che la felicità non le è mai stata concessa. Quel marito inerme diventa così la sua pietra paziente, cui confidare la sua rabbia, il suo rancore, il dolore e la frustrazione, la paura del futuro e la voglia di abbandonarlo al suo destino. L'incontro con un giovane soldato balbuziente che per un equivoco la crede una prostituta le concederà quella tenerezza che non ha mai avuto in dieci anni di matrimonio e il confronto finale con il marito ha il sapore di una liberazione assoluta, di una catarsi fisica e morale. Scene perfette, in equilibrio sobrio ed emozionante fra dramma reale e dramma interiore, primi piani intensi sul bellissimo viso di Golshifteh Farahani che esprimono tutto lo strazio di chi vive rinchiuso in una prigione fatta di burqua, di silenzi e di solitudine e la scelta d mantenere quasi sempre la scena in quella stanza bombardata, nuda e disadorna, dove un corpo giace nella prigionia del coma e un altro tenta di liberarsi dalla prigionia della cultura in cui è costretta a vivere è un confronto potente e indimenticabile.
Marsupilami - di Alain Chabat con Jamel Debbouze, Alain Chabat, Fred Testot,
Lambert Wilson ***
Divertimento assoluto, questo deve essere stato il motto che ha ispirato autori, sceneggiatori, produttori ed interpreti di questa strampalata, esagerata, a suo modo geniale ed originale creazione francese. C'è davvero di tutto nella sarabanda ambientata in un immaginario paese del Sudamerica dove un reporter francese sull'orlo del licenziamento e un veterinario sommerso dai debiti partono alla ricerca del mitico Marsupilami, animale magico quasi estinto. Si passa con disinvoltura - e a volte anche esagerando - dalla farsa esilarante al film demenziale puro, da gag divertenti ad altre che fanno rimpiangere l'avanspettacolo, da un omaggio al musical - la scena più riuscita del film con il dittatore interpretato da Lambert Wilson che interpreta Celine Dion e che ricorda moltissimo il Freddy Mercury truccato da casalinga disperata nel video di " I Want To Break Free" - al cartone animato tenero e simpatico. Naturalmente c'è anche uno scienziato pazzo, la parodia della pubblicità e il momento sentimentale con la nascita dei piccoli marsupilami, ma c' soprattutto la voglia di divertire, sorprendere, sconcertare con scarti narrativi repentini e grotteschi e la dichiarata intenzione di fare un film onnivoro, dove ci sia spazio per magnifici affreschi naturali nella giungla, per protagonisti goffi e imbranati come da copione in commedie del genere, per un messaggio ecologista, per la satira politica, per animali e bambini e anche per profezie, magie e incantesimi. Talmente tanto che si sentirebbe il desiderio di sottrarre per arrivare ad una asciuttezza narrativa che consenta di apprezzare i momenti topici senza fare indigestione di scene superflue e anche volgari talvolta, ma evidentemente gli autori volevano creare un Hellzapoppin moderno e multiforme, con umani-cartoni e cartoni-umani, senza andare troppo per il sottile, il che è un peccato, perchè inutile negare che ci si diverte molto, ma in alcuni momenti si rimane anche infastiditi dall'esagerazione demente più che demenziale e si apprezza meno il tutto. Citazione a parte il bravissimo interprete sui titoli di coda di una danza tribale fatta solo con mani, braccia e viso, talmente bravo che al termine della sua esibizione dal cast presente alle registrazioni parte un applauso spontaneo e il regista ha fatto benissimo a non tagliarlo perchè ci siamo uniti anche noi.
Il Cacciatore di Giganti - di Bryan Singer con Ian McShane, Nicholas Hoult, Ewan McGregor, Stanley Tucci ***
Nell'ultima stagione ad Hollywood vanno di moda i cacciatori: ha iniziato il buon vecchio Lincoln alla caccia di vampiri, stanno per arrivare anche in Italia Hansel e Gretel cresciuti ed armati a caccia di streghe (entrambi colossali delusioni) e per Pasqua i distributori hanno scelto di divertire grandi e piccini con il giovane contadino Jack a caccia di giganti. Nettamente migliore dei primi due il fantasy liberamente ispirato alla leggenda di Jack e i fagioli magici è una favola divertente e ricca di avventura che non brilla per originalità - ormai effetti speciali e 3D non possono più essere citati fra i motivi di stupore di una pellicola - ma che ha una trama a uno svolgimento avvincente, con personaggi simpatici e un'ambientazione dark quanto basta per intrigare gli spettatori. Jack ed Isabel sono due bambini appassionati di favole, soprattutto quella che narra la lotta fra il popolo dei giganti ed il re Erik che riuscì a sottometterli e ad esiliarli in un regno oltre le nuvole. Una volta cresciuti i due bambini, un povero contadino lui, nientemeno che la principessa lei, si incontrano casualmente in paese e da lì ha inizio un'avventura incredibile che parte con un sacchettino contenente i fagioli magici custoditi nei secoli dai monaci, continua con la scalata della immensa pianta che li porterà nel regno dei giganti e termina con una scenografica lotta fra giganti ed umani - la forza bruta contro l'intelligenza - e atri bambini incantati dalla fiaba dei fagioli e dei giganti. Il fascino principale di una storia simile sta nel seguire diligentemente gli stilemi della favola, con un eroe impacciato e povero (Jack ha paura dell'altezza ma sfida la pianta di fagioli per amore di Isabel) una principessa ribelle e coraggiosa, mostri buffi, scatologici e divertenti, un serrato confronto fra buoni e cattivi - dove i cattivi non necessariamente sono i giganti - e una storia d'amore delicata e destinata a passare attraverso innumerevoli percoli prima di poter trionfare. Bryan Singer, decisamente lontanissimo qui per tematiche dal suo capolavoro "I Soliti Sospetti" gira con mano capace e con senso dell'ironia le scene d'azione, si sofferma quanto basta nei momenti intimi per dar respiro alla trama e anche se il lieto fine è d'ordinanza lo condisce con professionale spettacolarità. Il cast partecipa con divertimento e slancio - il cattivo Stanley Tucci e il suo assistente fanno perfettamente eco alle tante coppie di villain e fool al seguito della storia del cinema e della letteratura - Ewan mc Gregor è un perfetto capo delle guardie, il re di Ian Mc Shane è amorevole e autoritario e i due giovani protagonisti sono freschi e spontanei. Merita una menzione a parte il gigante a due teste, mix ironico e tenero fa il capo della resistenza di Total Recall - prima versione naturalmente - e il buon gollum Smeagol del Signore degli Anelli.
Dead Man Down - di Niels Arden Oplev con Noomi Rapace, Colin Farrell, Isabelle Huppert, Dominic Cooper, Terrence Howard **
Thriller originale nell'impostazione di fondo ma piuttosto didascalico nell'esecuzione, specie nelle scene d'azione e nella resa dei conti finale, fardello inutile in un contesto che, forte di una sotto trama psicologica, avrebbe potuto fare a meno di spargimenti di sangue e torture. Victor, nome di copertura dell'ingegnere ungherese Laszlo, si è infiltrato nella banda di malviventi che gestisce gli affitti in una zona popolare di New York per vendicare la morte della moglie e della figlia uccise dai sicari del capo Alphonse e sta lentamente eliminando uno ad uno i membri della gang. La sua vicina di casa Béatrice è stata investita, ha delle brutte cicatrici sul viso e porta un sordo rancore per il suo investitore che ha subito al processo una lievissima condanna. Dopo aver assistito per caso ad uno degli omicidi di Victor, Béatrice si mette in contatto con lui proponendogli un patto, o forse un ricatto: rinuncerà a denunciare ciò che ha visto se Victor ucciderà per lei l'uomo che l'ha deturpata. L'approccio fra due è inevitabilmente brusco, guardingo, senza orpelli dialettici o sociali, due anime dolenti, solitarie, affamate di vendetta e di giustizia. Ma col passare dei giorni i rapporti inevitabilmente cambiano, cambiando anche i desideri e le aspettative di Béatrice e di Victor che iniziano a vedere altro oltre il proprio passato, primo inevitabile passo per ritrovare se stessi e la pietas persa dentro le lacrime di un passato impossibile da dimenticare. E' sicuramente la parte migliore del film , quella lenta presa di coscienza che la vendetta potrebbe non essere la strada per uscire dal tunnel della disperazione, anche se poi si compirà ugualmente, perchè la componente d'azione del film deve essere appagata e così l'ultimo quarto d'ora si trasforma in un Ok Corrall metropolitano decisamente ridondante. Peccato, perchè certi passaggi più intimistici potevano essere sfruttati per far sterzare il film in qualcosa di più maturo e corposo, e per scivolare lentamente fuori dal pantano del giustiziere armato fino ai denti. Colin Farrell e Naomi Rapace sono perfettamente credibili e tutto sommato contenuti nella recitazione quanto basta a far intuire il vero profondo dolore che non è mai esibito o plateale, decisamente sprecata Isabelle Huppert nel ruolo della madre quasi sorda di Béatrice, ruolo sacrificato e che avrebbe potuto essere motore di dinamiche familiari più complesse e intriganti. Ma sarebbe stato un altro film, questo è un ibrido incerto se compiacere la platea che segue volentieri i film d'azione o se soddisfare i palati più sofisticati alla ricerca di motivazioni psicologiche, rapporti interpersonali complessi e trame raffinate, finendo forse per accontentare un po' tutti, e allo stesso tempo scontentare un po' tutti.
I Croods - di Chris Sanders, Kirk De Micco - Animazione ***
Che meravigliosa avventura la preistoria della Dreamworks! La famiglia Croods vive all'interno di una caverna sicura dove si ritira la notte in formazione compatta per sfuggire i pericoli e raramente si avventura lontano dal proprio rifugio. Ma Hip, adolescente inquieta e refrattaria alle regole del prudentissimo padre Grug una notte esce ed incontra un ragazzo solitario, Guy, la cui unica compagnia è un piccolo ironico bradipo, Laccio. E' lui a raccontarle le meraviglie del creato e a metterla al corrente di un imminente terremoto che sconvolgerà le loro abitudini e certezze, costringendoli ad abbandonare la terra conosciuta per andare verso il sole. Naturalmente la notizia viene vissuta da Grug come un pericolo da non affrontare per nessun motivo al mondo ma il crollo della caverna costringerà lui, la moglie Ugga, la odiata suocera , il figlio Tonco e la piccola selvaggia Sandy ad unirsi ad Hip e Guy e partire alla scoperta della vita. Scoperta che li porterà ad attraversare mondi fantastici, a scontrarsi e poi allearsi con animali dalle forme e dai colori incredibili, a fare invenzioni strabilianti per chi fino a pochi giorni prima desiderava solo starsene rintanato al sicuro nella grotta a disegnare murales. Il motore dell'azione, la giovane e avventurosa Hip, è chiaramente lo spirito ribelle di ogni adolescente, e la prudenza di Grug ricorda quella di tutti i padri apprensivi - e gelosi del ragazzo intraprendente e geniale ammirato dalla figlia - ma l'ironia e l'entusiasmo che accompagna ogni scena della pellicola di Chris Sanders sgombra il campo da ogni possibile rischio stereotipo, e i protagonisti tutti, compresi i comprimari sono semplicemente irresistibili nel creare situazioni di volta in volta buffe e romantiche. La metafora lampante è che solo aprendosi al nuovo, al diverso, all'avventura della vita, si può scoprire la bellezza del mondo ma all'interno del messaggio c'è un cuore pulsante e divertente che non ha paura di prendere il sopravvento e farci sorridere delle battute, degli sguardi preistorici, dei comportamenti universali - dall'antipatia di Grug per la suocera alla magia del primo innamoramento - riuscendo a creare una magia fatta di sentimenti, emozioni forti, valori come la famiglia e la sicurezza e soprattutto simpatia istintiva per questa famiglia nei tratti ancora vicino all'homo sapiens - fronti basse, sopracciglia unite, corpi tozzi - ma nelle difficoltà di relazionarsi, di aprirsi ai sentimenti e di lanciare il cuore oltre le certezze del conosciuto molto molto contemporanei. E se nel prossimo episodio i Croods dovessero incappare in Manny, Syd, Scrat & Co non sarebbe un incontro scontro ad altissimo livello?
Il Figlio dell'Altra - di Lorraine Lévy con Emmanuelle Devos, Jules Sitruk, Pascal Elbé, Bruno Podalydès ****
Joseph ha diciotto anni, vive in Israele, ama suonare la chitarra, portare i capelli come il giovane Dylan ed è in procinto di partire per fare il militare, orgoglioso figlio di un colonnello dell'esercito. Ma durante i controlli medici un'irregolarità sul gruppo sanguigno insospettisce la famiglia, quel ragazzo che hanno cresciuto con amore non è il loro figlio, è stato scambiato all'Ospedale di Haifa la notte in cui è nato, nella confusione seguita ad un bombardamento. Lo sconcerto iniziale si trasforma in orrore per la famiglia di Joseph quando apprendono che il loro vero figlio è stato affidato ad una famiglia di palestinesi che vive nei territori occupati, si chiama Yacine e studia a Parigi per diventare medico. La stessa reazione la avranno i membri della famiglia di Yacine, sconvolti all'idea che il loro figlio sia stato cresciuto da una famiglia ebrea. L'odio atavico fra i due popoli è l'ostacolo principale che i due ragazzi dovranno affrontare, ma non meno devastante è l'impatto emotivo che una notizia del genere porta con sè. I primi impacciati incontri fra le due famiglie - cui non partecipa il fratello maggiore di Yacine che odia visceralmente gli ebrei- sono impacciate, piene di sospetti e pregiudizi, specie da parte dei padri dei due ragazzi, ma Joseph e Yacine con il passare dei mesi scoprono il desiderio di conoscersi, di superare la barriera dell'ostilità e del rancore per sostituirla con la curiosità, con il dialogo, con l'inizio di un percorso che durerà tutta la vita, perchè dovranno imparare a conoscere le loro origini, la loro cultura, i contesti familiari, e con quelli imparare a convivere, compatibilmente con l'educazione ricevuta. Le figure materne sono dolenti, eppure colme di amore per il nuovo figli, un amore però trattenuto per paura di ferire i sentimenti del ragazzo che hanno cresciuto, un amore senza confini, senza barrire, fisiche e mentali. Barriere fisiche che la regista Levy ci mostra chiaramente nelle scene al check-point, dove quasi quotidianamente a Joseph e Yacine viene chiesto perchè vogliono passare di qua o di là e dove la loro storia diventa una sorta di barzelletta per i militari. Il confronto fra i vari protagonisti brilla di semplicità, di emozione sincera, di smagliante verità, e alza la posta in gioco: non c'è solo Israele e la Palestina, non c'è solo il dramma personale di due famiglie, c'è il confronto eterno fra noi e gli altri, e fra noi e l'immagine di noi stessi all'interno dei confini in cui siamo cresciuti - magnifico il risentimento di Joseph verso l'ottuso rabbino che considera Yacine più ebreo di lui solo perchè "lo è nel sangue" vanificando anni di studi e di impegno - e di incredibile potenza il percorso più ostico di tutti, quello che compie Bilal, il fratello di Yacine, che partendo da un odio sordo e millenario si apre alla conoscenza di chi credeva diverso e lo scopre uguale, con la stessa passione per la musica, per le ragazze, per la vita. Grande metafora questa famiglia allargatissima e imperfetta , grande messaggio di speranza e di apertura, sempre che ci sia il cuore colmo d'amore per comprenderlo e la mente libera da pregiudizi, meta che si può raggiungere solo andando verso l'altro, proprio come fanno Joseph e Yacine, che a piedi, sotto il sole di una spiaggia, o arrampicandosi su una collina, sanno prendere in mano la propria vita e sanno farla diventare un dono prezioso per sè e per coloro che amano.
La Scelta di Barbara - di Christian Petzold con Nina Hoss, Ronald Zehrfeld, Rainer Bock, Christina Hecke ***
Una prigione fisica e morale quella della Germania dell'Est Anni 80 descritta da Christian Petzold, che sceglie un percorso narrativo metaforico, fatto di sottintesi, di silenzi e sguardi più che denunce e accuse, e per farlo sceglie come protagonista una donna colta, elegante, coraggiosa, medico pediatra di professione che ha come unica colpa il volersi trasferire all'Ovest e per questo viene confinata in un piccolo paese di campagna, in una casa squallida e disadorna, a lavorare in un ospedale dove manca quasi tutto e sottoposta ad umilianti perquisizioni corporali se si assenta per qualche ora. La vita per Barbara è talmente arida così costretta in limiti fisici, sociali, culturali ed emotivi che lei stessa si chiude, si isola, evita qualunque contatto anche con i colleghi, anche se Andre, medico appassionato e scrupoloso, anche lui a suo modo esiliato dal grande circuito ospedaliero di Berlino per un vecchio errore, tenta in ogni modo di instaurare un rapporto con lei, umano e professionale. Sarà l'arrivo di Stella, adolescente incinta scappata da una casa correzionale a fungere da tramite fra i due, facendo riemergere l'umanità di Barbara che prende a cuore le vicende della ragazzina inorridita dal luogo dove è detenuta. Ma Barbara sta preparando insieme al suo compagno - che di nascosto ogni tanto la raggiunge da Berlino - la fuga verso la Danimarca, su una piccola barca di notte e proprio il giorno della fuga Stella si presenta a casa di Barbara dopo essere scappata per l'ennesima volta, e un ragazzo attende che lei gli pratichi l'anestesia per un intervento delicato, e Andre le dimostra i suoi sentimenti con un bacio e tutto viene rimesso in discussione... diciamo subito che la "scelta di Barbara" si intuisce molto prima di quando la stessa protagonista la metterà in atto, non è quindi della suspence che Petzold andava in cerca, ma di un'atmosfera inquieta pur nell'idilliaca campagna, di una disillusione e di una rabbia esistenziale che si sciolgono di fronte alle umane sofferenze e alla riscoperta di legami e confronti umani semplici che forse il suo compagno non offre più a Barbara, di un percorso umano più che politico, di una scelta fin troppo scontata pur nell'algido silenzio in cui matura. Non si può dire che il film deluda, ha un percorso emotivo delicato e intimo che sia pure con pudore denuncia lo stato di terrore in cui una persona controllata dalla Stasi viveva quotidianamente, ma di sicuro una certa lentezza appesantisce la trama e alcune scene sono poco risolte o poco riuscite al di là della recitazione e della sceneggiatura. Un film sottovoce si potrebbe dire, in cui sentimenti personali, verità storiche e considerazioni etiche restano gradevoli bozzetti invece di divenire un'opera limata e illuminata.
La Frode (Arbitrage) - di Nicholas Jarecki con Richard Gere, Tim Roth, Susan Sarandon, laetitia Casta, Monica Raymund ***
Solido thriller old style, che mescola legami familiari, denaro, transazioni finanziarie al limite del lecito e amori clandestini, e che lo fa con un'eleganza antica, prendendosi i suoi tempi e inseguendo i protagonisti con un pressing emotivo in perfetto equilibrio con la suspance poliziesca. Robert Miller è un uomo di successo, ha una società di investimenti, conti off shore ovviamente e in apertura di film lo vediamo festeggiare con la moglie e i figli il suo sessantesimo compleanno, salvo poi correre dall'amante, una ragazza francese a cui ha intestato una galleria d'arte. Ma sotto l'apparente perfezione di una vita brillante in cui ogni desiderio viene esaudito senza difficoltà si nasconde un buco finanziario che rischia di mandare in rovina la sua azienda, un investimento sbagliato che Miller tenta di nascondere vendendo la compagnia prima che lo scandalo esploda. Nei concitati giorni della vendita accade però un imprevisto, un mortale incidente di macchina in cui Miller non può essere coinvolto, pena un'inchiesta che rallenterebbe la vendita della società e di conseguenza rischierebbe di far precipitare la situazione. Abituato a gestire ogni situazione Miller cerca di tamponare con le sue conoscenze una bomba pronta a travolgerlo, ma un detective della Squadra Omicidi, tenace e per nulla intimorito dal potere di Miller, continua a scavare, stringendo un assedio intorno alle mura del fortino che il magnate ha costruito per proteggersi. Non è il caso di svelare oltre, perchè la trama è di quelle che vanno godute scena per scena, scene che si susseguono con cadenza precisa, passando dai confronti intimi - primo fra tutti quelli fra Miller e la figlia, erede designata che scopre i traffici del padre e non sa come comportarsi - a quelli tipici dell'accerchiamento del sospettato da parte del poliziotto esperto, che si concretizza in dialoghi secchi e ponderati, mosse speculari in una partita a scacchi fra maestri della simulazione e della strategia. Ottimi gli interpreti - Richard Gere perfettamente a suo agio nel ruolo, Susan Sarandon un po' sacrificata durante tutto il film ma che si prende una bella rivincita nel finale e Tim Roth detective imperscrutabile e guardingo - che con la loro classe contribuiscono a creare un'atmosfera inquietante e strisciante, in cui ogni decisione può essere quella che porterà alla salvezza o alla dannazione.
Il Grande e Potente Oz - di Sam Raimi con James Franco, Mila Kunis, Rachel Weisz, Michelle Williams
Come rendere un prequel autonomo, divertente, magico e spettacolare senza minimamente intaccare la poesia dell'originale di Fleming e senza dimenticare che gli effetti speciali, spesso abusati, in film del genere diventano padroni del campo concedendoci un fiorire di colori e animazioni deliziose. Siamo in Texas, come da copione, siamo in bianco e nero e siamo in formato 4:3 per omaggiare meglio Dorothy & co ma il personaggio al centro della scena, Oscar Diggs, in arte Mago di Oz, è un cialtrone da fiera, codardo e imbroglione da par suo e per scappare ad un marito geloso, dopo aver appreso che la fidanzatina sta per sposarsi con un ragazzo con i piedi per terra e non giramondo sciupafemmine come lui, prende letteralmente il volo con una mongolfiera che finisce con l'impattare una tromba d'aria e approdare, vorticando vorticando, nel coloratissimo - e 16:9 - paese di Oz, dove tutto è apparentemente magnifico, dove l'accoglienza è degna di un re - la profezia annunciava l'arrivo di un certo mago Oz che avrebbe salvato il paese dalle streghe malvagie - e Oscar non crede ai propri occhi quando vede la montagna di dobloni d'oro custoditi nel palazzo reale, regalandoci una simpatica imitazione di Paperon de Paperoni che si rotola nelle monete d'oro. Ma naturalmente come dice il detto "magic always comes with a prize", la magia ha sempre un prezzo, e il prezzo è l'incontro con Teodora, strega inizialmente buona ma che la gelosia trasforma in megera malefica, e con Glinda, la strega buona che costringerà Oz ad abbandonare il proprio cinismo e ad impegnarsi - trucchi ed effetti speciali tirati fuori dal borsone che novello Mary Poppins si trascina sempre dietro - a diventare il leader che tutti i dolcissimi abitanti di Oz credono lui sia. I personaggi di contorno sono semplicemente deliziosi, la bambola di porcellana su tutti, ma anche il burbero ambasciatore di corte, la scimia volante e le varie squadre di Quadrangoli, Stagnini e Minutoli, i dialoghi e gli spunti comici hanno tempi perfetti, la trasformazione di Oscar da millantatore a guida carismatica gli regala quello spessore romantico eroico che ogni grande trascinatore deve avere. Se Oz è il protagonista un po' ingenuo un po' truffaldino, un po' cialtrone un po' cuore d'oro le tre streghe sono ben salde nel loro fascino, che sia etereo e dolce come quello di Glinda, o rabbioso e rancoroso come quello di Teodora, e le tre bellezze del cinema americano contemporaneo sono perfettamente a proprio agio nel vestire i regali panni della seduzione femminile, anche se le famose "arti subdole" di cui parlava Brontolo quando voleva mettere in guardia i compagni dalle capacità delle donne di imbrogliare gli uomini con moine e lacrime di coccodrillo, le mette in scena l'irresistibile bambolina di porcellana, voce di velluto e lacrime inconsolabili, quando si aggrappa alla gamba di Oz per non essere abbandonata, vedere per credere come il povero grande e potente Oz capitola di fronte alla tenerezza della creaturina. Speriamo che ci sia presto un sequel del prequel pechè un sano intrattenimento targato Disney è sempre garanzia di magia, poesia, grazia e divertimento.
La Cuoca del Presidente - di Christian Vincent con Catherine Frot, Jean d'Ormesson, Hippolyte Girardot, Arthur Dupont **
Il cinema da sempre entra in cucina con grazia e passione ("Il Pranzo di Babette", Mangiare Bere Uomo Donna" e tanti altri) ma in questo caso la grazia sconfina nell'inconsistenza e la passione si trasforma in manierismo confinando il film di Vincent nell'ambito del compitino ben eseguito ma privo di emozione e di calore, tangente al film di contenuto ma sempre algido e mai compiuto nonostante le magnifiche pietanze che vengono inquadrate con sapienza ed eleganza. La storia di Hortense Laborie - ispirata alla vera avventura vissuta da Danièle Delpeuch - è quella di una entusiasta cuoca in un agriturismo nel Perigord che viene improvvisamente chiamata a Parigi dall'entourage del presidente Mitterand per diventare la cuoca privata dell'inquilino dell'Eliseo, in aggiunta allo chef ufficiale che lavora per tutti gli altri impiegati, che fa subito sentire la sua autorità e l'anzianità di servizio e che cercherà in ogni modo di far capire ad Hortense la sua ostilità e la sua invidia. Lei va dritta per la sua strada, sceglie i fornitori, instaura un rapporto amichevole con il Presidente fatto di dialoghi a base di ricordi e arte culinaria, ma dopo due anni di gelosie professionali, sabotaggi e gesti meschini da parte dei colleghi cederà le armi, rifugiandosi in una base scientifica in Antartide, salvo andarsene anche da lì un anno dopo, alla volta di una nuova avventura in Nuova Zelanda dove realizzare il sogno di impiantare una tartufaia. Catherine Frot entra con misura e simpatia nel personaggio, le ambientazioni sono molto curate e anche alcuni personaggi di contorno risultano simpatici, ma il plot resta imbalsamato, senza pathos e senza brividi, su tutto i dialoghi fra Hortance ed il vecchio Mitterand - caricaturale e macchiettistico oltre ogni immaginazione - che nelle intenzioni del regista avrebbero dovuto essere l'anima calda e naif del film e invece risultano inconcludenti (i sapori del passato, i ricordi dell'infanzia, ma a ben vedere niente di simbolico, di metaforico o di toccante) e la sensazione generale è che il film navighi sempre in una calma piatta che non giova all'insieme e che paradossalmente, in una pellicola dove i sapori abbondano, lascia con l'amaro in bocca, una pietanza tiepida che mai si fa flambè, e che mai accende l'empatia oltre una timida condiscendenza.
Il Lato Positivo - Silver Linings Playbook - di David O. Russell con Bradley Cooper, Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Jackie Weaver ****
Due cuori - folli - e il bisogno di vivere nonostante il disagio psicologico, l'amore quasi come una sfida e una minaccia, il dramma che come un cielo in primavera si apre improvvisamente e fa intravedere il sereno, l'equilibrio magico di alcune pellicole americane che non hanno paura di sterzare dagli ospedali psichiatrici alle sale da ballo, riuscendo a commuovere senza spingere sul pedale del sentimentalismo bieco, ma regalando emozioni sincere. "Il lato positivo" è un concentrato di stili e di generi, con partenza cupa e dolente perchè il protagonista Pat ha passato gli ultimi otto mesi in un istituto psichiatrico per aver massacrato di botte l'amante della moglie. Ha problemi a controllare la rabbia, è affetto da disturbo bipolare e ha un'ossessione per l'ex moglie Nikki che vuole a tutti i costi riconquistare. In queste condizioni torna a casa dai genitori che assistono alle sue scenate maniacali notturne con dolore e disagio, cercando di aiutarlo ma trovandosi impreparati ad arginare un fiume di dolore così tangibile e incrollabile. Corre Pat, corre per dimenticare la scena che ha mandato in frantumi la sua vita corre per riconquistare la forma fisica e tornare a corteggiare Nikki, corre per scappare dalla paura di tornare a vivere, paura che si concretizza nella conoscenza con Tiffany, sorella di un'amica, rimasta vedova da poco, arrabbiata con il mondo e con se stessa, reduce anche lei da un percorso psichiatrico dopo che aveva tentato di superare la morte del marito con ripetute avventure sessuali. Si incontrano e si scontrano Pat e Tiffany, lui trincerato dietro il suo mantra "Io sono sposato", lei nascosta dietro la rabbia che riserva a tutto e tutti. Fanno un patto però: lei consegnerà a Nikki una lettera di Pat se lui la aiuterà a partecipare ad una gara di ballo. E così inizia una fase di conoscenza più sincera, in cui interagiscono fratelli, padri, amici dell'ospedale psichiatrico e psichiatri tifosi di football, in una sarabanda divertente e romantica che si conclude con una girandola di passi di danza, lettere false e lettere vere e una vita che torna a vivere, con i dolori e le gioie di ogni vita, finalmente libera dal passato. Lieve in alcuni passaggi familiari, dolente e sincero nel maneggiare la tematica del disagio psichico senza retorica, romantico venato di brillante nei duetti Pat-Tiffany (nella sala da ballo si accorgono di essersi presi per mano e uno "accusa" l'altra di averlo fatto per primo, incapaci di manifestare i propri sentimenti anche a se stessi tanto l'amore è stato devastante per loro fino a quel momento) il film di Russell ha i tempi giusti, gli interpreti perfetti, - candidati all'Oscar sia Brdley Cooper che la bellissima Jennifer Lawrence - gioca a carte scoperte con i sentimenti e non ha paura di iniziare con un pugno nello stomaco per poi finire con una carezza mostrando un equilibrio di emozioni e timbri recitativi che solo pochi film hanno. Due parole a parte merita Robert De Niro - candidato agli Oscar dopo miriade di film inutili - che ha per gran parte del film un ruolo caricaturale ma che in due tre scene tira fuori sguardi e gesti che ci ricordano il grande attore che è.