Luglio 2013
Parental Guidance - di Andy Fickman con Billy Crystal, Bette Midler, Marisa Tomei,
Tom Everett, Bailee Madison **
Se i due attori protagonisti non fossero Billy Crystal e Bette Midler - nonchè Marisa Tomei nel ruolo della loro figlia - non ci sarebbe granchè da dire di una commedia nata stanca, e anche un po' vecchia, ma la presenza di due attori amati dal pubblico con un passato brillantissimo non può che peggiorare le cose, perchè la necessità della sceneggiatura di ritagliare spazi per monologhi comici per i due- soprattutto per Crystal anche produttore del film - non fa che dilatare i dialoghi e fornire spunti non per divertenti parentesi attoriali, ma per imbarazzanti battute fuori luogo, stanche performance che sembrano uscite dal repertorio di qualche comico a fine carriera che ricicla se stesso gelando il pubblico. Peccato perchè i due nonni alle prese con tre nipoti - senza maggiordomo ma alle con due genitori talmente maniaci delle regole del "buon genitore" da aver sbagliato tutto - avrebbe potuto essere terreno fertile per dialoghi veramente brillanti, tanto più che i tre bambini sono simpatici e bravi e che lo sviluppo sentimentale della trama è gradevole nonostante l'appesantimento forzato di scene talmente inutili da risultare posticce. Non manca un numero musicale per dar modo a Bette di sfoggiare la sua voce e non serve dire che dopo liti, incomprensioni, errori e ripensamenti, la famigliola felice si avvia verso l'happy end e noi con loro, felici che il ricordo di Billy Crystal e Bette Midler sia legato a ben altre performance.
Alex Cross - di Rob Cohen con Tyler Perry, Edward Burns, Matthew Perry, Giancarlo Esposito, Jean Reno, Rachel Nichols **
Torna il detective profiler Alex Cross nato dalla penna di James Patterson e portato sullo schermo già due volte da Morgan Freeman che questa volta passa la mano, forse per sopraggiunti limiti di età, a Tyler Perry, roccioso quanto basta per impersonare un detective pensante ma ben disposto a sporcarsi le mani quando il gioco si fa duro. E qui il gioco si fa duro fin dalle prime scene, quando Sullivan - un magrissimo e allucinato Matthew Perry - killer freddo e spietato, ma anche dedito al piacere della tortura, uccide una giovane donna d'affari asiatica. Alex Cross e il suo collega Tommy Kane iniziano una caccia serrata in cui a volte inseguono e a volte sono inseguiti dal killer che semina indizi, si fa avvicinare per poi scomparire, colpisce a tradimento e li coinvolge in una lotta che si fa anche personale dalla sera in cui, mentre è al telefono con Cross gli uccide a bruciapelo la giovane moglie incinta. L'analisi psicologica del killer porta Cross ad identificare una ben più estesa trama del crimine e senza svelare troppo diciamo che i nomi di richiamo del cast saranno coinvolti ovviamente nei colpi di scena finali. Il film però resta un onesto thriller e nulla più, con alcune belle scene, con spunti interessanti ma per nulla originali e una sceneggiatura stanca e svogliata che affida al confronto Bene-Male tutto il peso della suspance, riuscendo a creare quel minimo di tensione necessario, ma senza andare mai oltre, senza veramente sorprendere e senza creare personaggi indimenticabili. Peccato, perchè il detective creato da Patterson, se accompagnato da dialoghi più serrati e scelte registiche meno tradizionali, può ancora dire la sua nel cinema psico poliziesco.
Pacific Rim - di Guillermo Del Toro con Idris Elba, Charlie Hunnam, Ron Perlman,
Charlie Day ***
Fantascienza originale, ben sceneggiata e ben diretta da Guillermo del Toro che regala al pubblico due ore spettacolari ma capaci anche di introspezione e approfondimento psicologico dei personaggi. Si prende il suo tempo Dell Toro per raccontare di una terra messa in ginocchio da un attacco alieno causato da una faglia sotto l'Oceano Pacifico e che dopo anni di guerra cruenta contro i terribili mostri ha messo a punto dei giganteschi robot - i Jaeger - che per funzionare hanno bisogno di due piloti, che devono essere in assoluta sintonia fisica e psicologica perchè solo il collegamento neurale fra i due cervelli umani può azionare il robot. Ed è proprio durante un'azione di guerra che uno dei Jaeger viene abbattuto e uno dei piloti muore. L'altro, Raleigh Becket, fratello del morto e scioccato per quanto accaduto si ritira dai combattimenti ma quando anni dopo il suo comandante lo richiama in servizio perchè la guerra sta per essere definitivamente persa torna a pilotare il suo vecchio Jaeger, in compagnia di Mako, una scienziata di altissimo livello, ma profondamente segnata dall'attacco alieno che ha sterminato la sua famiglia. Al di là delle tante scene spettacolari tipiche di un film del genere - e di genere - gli scontri fra robot e alieni, le fughe, le catture e le incursioni nei quartieri malfamati dove si vendono sottobanco resti di alieni ricchi di fosforo e altri elementi preziosi, è l'atmosfera crepuscolare del film ad affascinare, a rendere i confronti fra piloti meno stereotipati di quello che in realtà sono - il giovane pilota ribelle che non rispetta il vecchio eroe fin quando non gli salva la vita - e a tratteggiare una caduta degli dei - umani - molto etica e meno epica. La bambina giapponese con la sua scarpetta rossa in mano fa pensare al cappottino rosso di Shlindler's list ovviamente, all'infanzia violata dalla guerra quale che sia il luogo o il tempo, il fatto che l'ultimo Jaeger in grado di salvare il mondo sia l'ultimo di tipo analogico quando tutti quelli digitali sono stati neutralizzati dai terribili alieni Kaiju è un monito alla estrema digitalizzazione del mondo e dell'umanità, i sempre delicati equilibri emotivi di chi è sopravvissuto fanno pensare alla difficoltà quotidiana di chi sopravvive oggi, alla crisi, alle difficoltà familiari o lavorative, alla solitudine affettiva e la necessità di connettere neuroni con neuroni per poter vincere è metafora scopertissima del bisogno di relazionarsi agli altri, entrare appunto in contatto per poter affrontare gli ostacoli della vita. E' un connubio di divertimento e riflessione Pacific Rim, un binomio in cui azione e malinconia si tengono per mano e avanzano di pari passo, in congiunzione neurale si potrebbe dire, perchè, sembra dire del Toro, non è un dogma il fatto che nei film tutta avventura ed effetti speciali non ci possa essere ogni tanto qualche minuto per scene intimistiche e per fermarsi a pensare a dove stiamo andando fra tecnologia estrema e solitudine esasperata - sia personale che di nazioni: Quel tempo basta prenderselo e lui per nostra fortuna di spettatori lo fa.
Now you see me - I maghi del crimine - di Louis Leterrier con Woody Harrelson, Jesse Eisenberg, Michael Caine, Morgan Freeman, Mark Ruffalo, Mèlanie Laurent, Isla Fisher ***
Che cosa è la magia? chiede ripetutamente Daniel Atlas il personaggio interpretato da Jesse Eisenberg, uno dei maghi Robin Hood del nuovo film di Leterrier, una girandola di trucchi, effetti speciali ed colpi spettacolari che partono da un palcoscenico di Las Vegas per avventurarsi nei caveau di una banca di Parigi, sule strade di New York e dovunque ci sia la possibilità di mettere a segno uno show strabiliante e un rocambolesco furto. Eh sì, perchè i quattro illusionisti, i Quattro Cavalieri anzi, dopo aver ricevuto un misterioso invito, si trovano uniti in un progetto che miscela spettacolo, magia e truffa, sempre ai danni di grandi compagnie assicuratrici, banche e altre società non proprio immacolate. L'Fbi mette sulle loro tracce l'agente Dylan Hobbs, affiancato da una giovane agente francese dell'Interpol Alma Dray. E sarà una partita a scacchi senza limiti, con mosse, contromosse, finte e colpi di scena a non finire. Senza svelare niente di più di una trama avvincente e divertente diciamo che il progetto ha molti debiti nei confronti di una serie storica della BBC come "The Hustle" e di quella americana "Leverage", dei vari "Ocean" come di "Tower heist" o "40 carati" senza neanche citare il capostipite del genere "La Stangata", ma questo non toglie nulla alla freschezza e al ritmo della pellicola interpretata da un cast all star - da Michael Cain a Morgan Freeman, da Woody Harrelson a Mark Ruffalo a Jesse Eisenberg - che grazie ad una sceneggiatura tiratissima e priva di sbavature ci fa assistere a quei prodigi liberatori come svuotare il conto in banca di un miliardario che ha truffato migliaia di persone dopo l'uragano Katrina o banche colpevoli di... beh di qualunque misfatto come ben si sa. Perfetta sintesi di film d'azione e di truffa si ritaglia anche lo spazio per una parenesi sentimentale fra Hobbs e la Dray e dopo quasi due ore di sospetti, doppi giochi e tripli voltafaccia di regala un superbo colpo di scena in sottofinale e un romantico ponte di Parigi come location per chiudere i giochi, cosa chiedere di più ad un film di ottimo intrattenimento?
The Lone Ranger - di Gore Verbinski con Johnny Depp, Ruth Wilson, Armie Hammer, Tom Wilkinson, Helena Boham Carter ***
Johnny Depp passa con disinvoltura dal pirata all'indiano svampito, con lo stesso stupore nel volto e lo stesso divertimento per lui e per il target Disney cui il nuovo film di Verbinski è destinato, e cioè il pubblico preadolescenziale, ma questo non significa che il mix avventura divertimento sentimento e atmosfera d'altri tempi non catturi anche gli adulti alla ricerca di una spensierata cavalcata nel vecchio west, fra personaggi tutti d'un pezzo e stravaganti outsider, fra una prostituta con gamba artificiale e un ranger eroe per caso, fra un indiano con senso di colpa per aver fatto sterminare la sua tribù fidandosi dell'uomo bianco e un vecchio amore che sopravvive alla lontananza e al tempo. L'integerrimo uomo di legge John Reid si incontra-scontra con l'indiano Tonto su un treno in cui finiranno ammanettati fra loro dalla banda di Butch Cavendish, villain costruito sulla misura dei tanti fuorilegge del selvaggio west costruiti dell'immaginario cinematografico, e da lì in poi tutto cambia per i due protagonisti diversi che più diversi non si può, ma uniti dalla volontà di vendicarsi di Cavendish, responsabile tra l'altro della morte del fratello di Reid. Non manca la costruzione della ferrovia, non manca un vecchio potente che tira le fila oltrepassando la legalità, non manca una giovane vedova orgogliosa e ancora legata al suo primo amore, non manca il destino degli indiani, ingannati come sempre dai bianchi. La trama a ben vedere contiene tutti i topoi indispensabili a costruire un western vecchio stampo, ma la figura di Tonto - istintivo quanto tardo, inconsapevolmente comico ed eternamente guardingo - prende il sopravvento sull'ingenuo ranger, che indossa la maschera, finisce sotterrato insieme all'indiano e affronta la morte spavaldamente non perchè sia coraggioso, ma perchè Tonto gli ha fatto credere di essere immortale (e questo la dice lunga su quanto sia sprovveduto e credulone). Le smorfie di Depp non sono una novità per gli appassionati del pirata Jack Sparrow, ma sono sempre un valore aggiunto ad una qualunque scena brillante, regalando quel tocco stralunato caratteristico del grande attore americano che confessiamo vorremmo vedere anche in ruoli meno stravaganti ma che finchè si diverte e ci diverte con prodotti così ben confezionati non possiamo che ringraziare sedendoci volentieri nel buio della sala per tornare bambini come il giovane che apre il film visitando un museo e trovando nell'area dedicata al mito del west il vecchio Tonto che gli chiede di assaggiare le patatine.
World War Z - di Marc Forster con Brad Pitt, Mirelle Enos, Eric West, Matthew Fox, David Morse,Pierfrancesco Favino ***
Gli zombi diventano virali nel nuovo film di Brad Pitt e contagiano il mondo con la loro follia, rendendolo una landa in cui vige la legge del più forte e in cui rispetto e legalità vengono regolarmente calpestati. Metafora non così criptica a ben vedere, ma il fulcro su cui ruota il film di Foster non è un'analisi filosofica e metafisica sulla deriva della natura umana, bensì una trama ricca di effetti speciali, colpi di scena, avventura, sparatorie e inseguimenti al cardiopalma fra uno sparuto gruppo di umani e ben più nutrito gruppo di zombi, dai visi sconvolti e dalle voci stridule, che assalgono chiunque sul loro cammino, tranne le persone malate. E proprio da questa considerazione parta l'avventura di Brad Pitt-Gerry Lane, ex collaboratore delle Nazioni Unite ritiratosi a vita privata per passare più tempo con la sua famiglia, famiglia che sarà invece costretto ad abbandonare temporaneamente in uno dei rifugi messi a disposizione dall'esercito per andare a caccia di zombi. Le scene iniziali in cui si diffonde il contagio e quindi il panico sono di grande impatto, il resto è un po' routine, e cioè esattamente quello che ci si aspetta da un film del genere, aerei che precipitano e al cui incidente sopravvivono solo l'eroe e la sua pretegée, uomini al comando cinici e privi di tatto, capaci di mandar via dalla nave la famiglia di Lane non appena pensano che lui sia morto - azione suspance e trionfo dell'eroe buono sui pveri zombi - poveri perchè incolpevoli di ogni loro gesto, dettato dalla follia che assale chiunque venga contagiato dal morso di un altro zombie. Non si può certo giudicare negativamente un film estremamente curato, professionale, con personaggi stereotipati ma gradevoli ed attori in parte, però un costante senso di dejavu pur all'interno di una trama a tratti originale inevitabilmente assale, però i blockbuster estivi questo sono, giocattoloni scacciapensieri in cui si peregrina dietro l'eroe di turno a caccia di cattivi da sconfiggere e si esce dalla sala soddisfatti per il lavoro compiuto. E se questo avviene con la solita grande professionalità statunitense non si può chiedere di più a questa produzione voluta di Pitt e realizzata con grandi mezzi produttivi - anche se uno sforzo maggiore si doveva farlo nel realizzare le maschere degli zombi creando qualcosa di più originale dei soliti volti scarnificati e sconvolti.
Dino e la macchina del tempo - di John Kafka e Yoon suk-Choi - Animazione ***
Animazione per i più piccoli, ma che piacerà anche ai nostalgici dei cartoni animati tradizionali, meno adrenalinico di altri prodotti più recenti si concentra sui buoni sentimenti e sull'avventura, anche se non manca di azione ed ironia. Dino vive in una cittadina legata al suo museo più famoso, dedicato ai dinosauri. E' disobbediente, litiga con la sorellina, ama lo skateboard e andare alla scoperta dei tesori nascosti al museo. Ha per amico Max, meno intraprendente di lui, occhialoni sul naso e padre geniale inventore sempre chiuso nel suo garage a sperimentare macchine folli - e se state pensando a Doc Emmett di "Ritorno al futuro" non siete lontani visto che anche qui l'invenzione su cui si concentra il film è una macchina del tempo. E infatti Dino, e Max e la sorellina di Dino Julia avviano inavvertitamente la macchina capace di trasportarli nel passato e atterrano proprio fra i dinosauri, accolti da un T Rex niente affatto spaventoso come riportano i libri di storia ma anzi, rosa, con lunghe ciglia femminili e una gran voglia di fare da mamma ai tre strani cuccioli capitati nella sua tana. Naturalmente i tre ragazzini saranno catapultati in una realtà che li atterrisce e li affascina allo stesso tempo, mentre la comunità di dinosauri è vessata da cattivissimi coccodrilli giganti che hanno come scagnozzi tre buffi uccelli che divertiranno moltissimo i bambini con i loro versi scatologici. Nel frattempo nel tempo presente il papà di Max e la mamma di Dino si alleano - loro che più diversi non potrebbero essere, lei manica delle regole e della disciplina lui scienziato pazzo con tutte le caratteristiche dell'inventore che abbiamo imparato a conoscere in dozzine di film - per andare a riprendere i ragazzi. Le mille avventure che riuniranno le generazioni e lo scambio "culturale" fra dinosauri ed esseri umani è l carta vincente di un film delicato, garbato, forse per qualcuno fin troppo semplice, ma che ha un'anima gentile e personaggi simpatici quanto basta per tenere compagnia in modo gradevole.
Uomini di Parola - di Fischer Stevens con Al Pacino, Christopher Walken,
Julianna Margulies, Alan Arkin **
Vecchietti irresistibili (e irresponsabili) alla riscossa, grandissimi attori in libera uscita e trama sbilenca a dir poco - con scene tendenti all'imbarazzante per il grande Pacino finito in ospedale per overdose di viagra con conseguente priapismo - per il nuovo film di Stevens che si assesta su un genere più che collaudato - i vecchi gangster simpatici e sbruffoni - e lascia campo libero ad interpreti che pur sapendo il fatto loro girano a vuoto per gran parte del film senza coinvolgere nè divertire. Val esce dal carcere dopo 28 anni, scontati per una rapina di cui è accollato tutte le colpe salvando così i complici, Doc lo va a prendere, lo abbraccia e lo porta a casa sua ma ha l'incarico di ucciderlo da parte di un boss rancoroso e pronto a vendicarsi su di lui se fallirà l'impresa e Richard Hirsch langue in un ospizio per anziani. Passeranno insieme una notte fatta di eccessi, ricordi, propositi pericolosi quanto improbabili e confessioni tenute in serbo per anni. La scena finale in stile Butch Cassidy, riveduta e corretta per gli arzilli vecchietti alle prese con ossigeno e pillole per la pressione, strappa un sorriso, ma di sicuro da un cast stellare del genere si poteva e si doveva ottenere di più, osando con una sceneggiatura che non facesse il verso alle più trite battute sul mondo gangsteristico o sulla vecchiaia, costruendo scene sinceramente malinconiche nelle corde dei tre interpreti e sfruttando la poliedricità dei grandi vecchi per fare un salto triplo dal comico al drammatico e viceversa. Invece si è costretti ad accontentarsi - se avete almeno la fortuna di vedere il film in originale - della voce sporca di Pacino e della citazione di Julianna Margulies in veste di infermiera, omaggio al famosissimo personaggio che interpretato per anni in ER. Davvero troppo poco per divertirsi, appassionarsi, o anche solo interessarsi alle peripezie di questi gangster arruffoni che potrebbero anche far tenerezza se non irritassero con battute al limite del volgare e del patetico.
To the Wonder - di Terrence Malick con Rachel McAdams, Ben Affleck, Olga Kurylenko, Javier Bardem **
La meraviglia, lo stupore - the wonder appunto - del nuovo film di Malick resta sospeso nelle immagini impalpabili, veleggia lieve con il vento che muove le foglie e scivola placido con le acque limpide dei ruscelli, ma fondamentalmente manca di pathos reale, relegando le emozioni ad un susseguirsi di immagini patinate finchè si vuole ma anche un po' ripetitive - non solo nel contesto del film ma anche nel complesso della filmografia malickiana. La trama è talmente semplice da risultare superflua - forse lo è anche nelle intenzioni del regista - che affida alle voci fuori campo quasi l'intera narrazione della storia d'amore fra Marina, francese, separata con una figlia di dieci anni, e Neil, americano in trasferta, che si incontrano fra i viali di Parigi, amoreggiano nel chiostro di Mont Saint Michel, si trasferiscono in America e dopo gesti teneri, ralenty e abiti che volano nel vento fra sorrisi e carezze, si lasciano - forse perchè lui non la vuole sposare, forse perchè la bambina non si è ambientata bene, forse per quella stanchezza del vivere che sopraggiunge senza un perchè - salvo poi ritrovarsi dopo che lui ha incontrato un'altra donna e ha rifiutato di sposare anche lei perdersi di nuovo dopo un tradimento di lei - ciclotimica attonita che passa da abissi di tristezza a danze sfrenate nei corridoi del supermercato - ritrovarsi ancora brevemente e perdersi definitivamente - forse. Parabola amara su un uomo indeciso, ritratto di donna in perenne confusione emotiva, anatomia di un amore descritto nello stile di una natura morta o ermetismo sentimentale fatto di inquietudine e incomprensione? Di tutto un po', ma più di tutto un film che è un esercizio stilistico - se non manieristico - fatto di tutto ciò che di Malick altrove abbiamo amato ma che qui risulta ridondante e forzato, senza mai emozionare sinceramente - non aiuta la totale inespressività di Ben Affleck, nè l'atteggiamento sperduto di Javier Bardem, sacerdote in crisi spirituale decisamente corpo estraneo del film nè la partecipazione felliniana forse nelle intenzioni del regista ma quasi risibile nei risultati di una Romina Monello profetica e delirante - e non basta la bellezza della giovane protagonista, non bastano i suoi capelli mossi dal vento, il suo corpo esile, la sua fragilità e la sua impalpabilità, a dare un corpo armonioso al film. Le scene di natura sono ormai un marchio di fabbrica più che un'esigenza narrativa o una metafora elegante - perfino il tatuaggio sulla spalla di Affleck è un tripudio di fiori e foglie - e frasi tipo "dove siamo quando siamo lì?" o "perchè non sempre?" o "quale è la verità?" pronunciate come perle di saggezza sono in realtà banalità per film tratti da best seller di Nicholas Sparks e non fanno che appiattire ulteriormente la dimensione onirica del film. Cercate almeno di vedere la versione originale in cui ogni attore recita nella propria lingua, spesso incompresa dagli altri, simbolo di una mancanza di comunicazione - e di ascolto reciproco- che porta ad allontanarsi gli uni dagli altri, persi ognuno nei propri flussi di pensiero, che scorrono disordinati e discontinui proprio come le immagini del film, stream of consciousness stanco e pigro per sentimenti mai davvero urgenti o deflagranti. Forse Malick dovrebbe tornare ai tempi lunghi - o lunghissimi di intervallo fra un film e l'altro per ritrovare quella scintilla originale e selvaggia che ne ha fatto un grande regista.
This Is 40 - di Judd Apatow con Paul Rudd, Leslie Mann, Megan Fox, John Lithgow, Melissa McCarthy, Albert Brooks, Robert Smige **
Difficile definire "This is 40" una commedia tout court, perchè la realtà irrompe nelle vicende quotidiane dei protagonisti con tutte le tinte fosche che ogni coppia insieme da vent'anni ben conosce, rendendo il nuovo film di Apatow un concentrato di gioie e dolori, meschinità e slanci, umori e rumori, perchè l'intimità vera è fatta di situazioni che di solito il cinema non affronta ma che il regista di "Molto incinta" non ha paura di mostrare - pur rischiando di risultare talvolta sgradevole ai più "idealisti", a coloro che pensano che l'amore sia solo fiori e tenerezze. Ma tutti coloro che conoscono la vera essenza dell'amore matrimoniale non rimarranno sconcertati dalle ispezioni corporali come dai litigi fondati sul niente, e apprezzeranno la schiettezza con cui Debbie, quarantenne che dichiara due anni di meno perchè non è ancora pronta per i quaranta e Pete, in difficoltà economiche ed emotive rispetto ad una maturità imposta dalla realtà, affrontano crisi e riconciliazioni, e anche se alcune scene risultano particolarmente lunghe e talvolta tendenti al demenziale nel complesso le vicende di questa famiglia sono un concentrato di umani sentimenti, dai più nobili ai più abbietti, e il pur scontato lieto fine non è stucchevole, forse perchè il terreno preparato fin lì non abbonda in scivoloso zucchero. Paul Rudd e Leslie Mann si muovono a loro agio nei panni di un uomo e una donna alle prese con il più faticoso dei mestieri, vivere, e i due vecchi padri, interpretati da Albert Brooks e John Lithgow sono paradigmi perfetti per spiegare le difficoltà di crescere che hanno i loro figli, messaggio veicolato con il sorriso, ma che colpisce duro.