Settembre 2012
The five-year engagement - di Nicholas Stoller con Jason Segel, Emily Blunt, Alison Brie, Rhys Ifans **
La via della commedia romantica d'autore, quella capace di emozionare anche i meno sentimentali fra gli spettatori e al contempo mitragliare la platea di dialoghi fulminanti e battute al vetriolo (capostipite fra tutti ovviamente "Harry ti presento Sally" se non vogliamo andare indietro fino ai perfetti dialoghi di "Scrivimi fermo posta" di Lubitch) è un sentiero lastricato di insidie e tranelli perchè si rischia spesso di sbilanciarsi da un lato o dall'altro risultando troppo cinici o troppo melensi, scontentando un po' tutti. L'ultima pellicola statunitense che tenta la difficile alchimia, la nuova fatica di Nicholas Stoller, già autore di "Non mi scaricare" interpretato sempre da Jason Segel, manca però il bersaglio, forse proprio per non sbilanciarsi troppo, forse perchè tenta l'analisi sociale, psicologica e culturale oltre a mettere in campo le difficoltà dell'innamorarsi, del vivere insieme e del progettare il futuro, che sono già materia sufficiente per far ridere e piangere in egual misura. La storia di Violet e Tom , conosciutisi ad una festa di capodanno in maschera, goffo Bugs Bunny lui, impacciata Lady Diana lei, cresce nei sentimenti e nei progetti durante il primo anno del loro amore e così i due iniziano a progettare il matrimonio. I cinque anni seguenti li vedranno ancora insieme ma alternativamente frustrati, incapaci di trovare il momento giusto per coronare le nozze, alle prese con problemi lavorativi e personali - Tom è un famoso chef di San Francisco che rinuncia ad avere un proprio ristorante per seguire Violet che ha ricevuto l'incarico di insegnante di psicologia in un'università del Michigan - e che li porterà ad allontanarsi salvo poi ritrovarsi in finale, dopo due ore abbondanti di tira e molla, incomprensioni e riconciliazioni, dubbi e perplessità. Fanno loro da contorno, fortunatamente, una schiera di comprimari che hanno il compito di infestare il praticello romantico con qualche piantina di ortica, battute acide sulla religione, lei inglese cattolica lui ebreo con famiglia tradizionalista alle spalle, nonni che muoiono in sequenza, sarcasmo sull'ambiente universitario dove si inventano improbabili test, ma quello che manca è la magia della coppia, gli incontri fra i due sono sempre fiacchi, e non è colpa nè di Segel nè della sempre deliziosa Emily Blunt, non c'è chimica nei personaggi, e i dialoghi che dovrebbero essere brillanti strappano al massimo qualche sorriso. Troppo poco, troppo già visto, troppo algido per colpire ed affondare, sia chi vuole veder coronato il sogno d'amore sia chi vuole vederlo dissacrato dal vetriolo di contorno, perchè per far questo non basta qualche buffa scena di sesso nè qualche improbabile discorso dei testimoni di nozze. Harry, Sally, state tranquilli, Violet e Tom non vi hanno minimamente scalzato dal piedistallo della vera commedia romantica, piena di sentimenti, brillante e graffiante senza paura di esserlo.
L'era glaciale 4 - Continenti alla deriva - di Steve Martino, Mike Thurmeier - Animazione **
Che altro dire di una fortunatissima saga giunta al quarto capitolo con personaggi ormai entrati nel ristretto gruppo delle star dell'animazione contemporanea? Che non delude ma neanche sorprende, e non potrebbe essere altrimenti, perchè le dinamiche di interazione fra Sid, Manny e la Diego sono ormai talmente ben oliate che scivolano via senza intoppi, regalandoci battute deliziose come sempre e avventure mirabolanti venate di ironia e goffaggine. A dar il via a questo nuovo capitolo è il piccolo Scrat, come sempre innamorato della sua ghianda, che nel cercare di afferrarla provocherà niente meno che la frammentazione della Terra e la creazione dei continenti. Nella baraonda che seguirà faremo la conoscenza di nuovi personaggi, spassosi come i precedenti, tra cui una scimmia pirata, una tigre che conquisterà il cuore di Diego e un leone marino timido e pasticcione. I comprimari sono come sempre ben orchestrati e le citazioni - dai visi tatuati alla Bravehart degli scoiattoli ai voli spettacolari in stile Avatar - sono godibili soprattutto per gli spettatori adulti. L'apparizione delle sirene che ammaliano i marinai è sicuramente l'invenzione migliore del film, ma sono tanti i momenti capaci di farci sorridere, molti dei quali affidati alla nonna di Sid, un'aggiunta al cast di sicuro successo, mentre l'immancabile nota tenera è affidata al riccio Louis. Grafica eccellente e scenari di grande fascino sono il corollario tecnico a questo probabilmente non ultimo capitolo dedicato alle peripezie preistoriche di amici ormai consolidati.
Magic Mike -
di Steven Soderbergh con Matthew McConaughey, Channing Tatum,
Olivia Munn, Alex Pettyfer **
Tu quoque Sodebergh? Dopo le delusioni stagionali di Peter Weir e Ridley Scott anche Sodebergh ci lascia un po' d'amaro in bocca. Perchè l'impianto narrativo di Magic Mike - dietro l'apparente trasgressione di nudi maschili e ambienti "facili" in cui circola droga e si fa sesso occasionale - è di quelli classici che più classici non si può: ragazzo dalla vita dissoluta incontra una brava ragazza che gli fa capire il vuoto di una vita notturna e superficiale e lascia tutto per lei. Tutto qua? Quasi, perchè nel raccontare la storia di Mike - un Channing Tatum molto disinvolto in un ruolo sulla carta ostico - che lavora in cantiere di giorno e fa lo spogliarellista di notte per mettere da parte i soldi necessari a finanziare il suo sogno imprenditoriale di creatore di mobili Sodebergh ci mette sicuramente la sua perizia registica, con scene molto ben coreografate, ma non inventa nulla, non provoca, non graffia e non fa neanche analisi o satira sociale, perchè la favola morale, a lieto fine ovviamente, segue le tappe del film di genere senza scartare mai. Le note positive sono le performance dei protagonisti, Mc Conaughey su tutti, che esibiscono muscoli e fragilità caratteriali con uguale bravura, e la figura di Kid, ragazzo timido all'inizio e sempre più oscuro man mano che prende consapevolezza delle possibilità che si aprono a chi è disposto ad infrangere le regole, paradigma di una società sempre più sbilenca ed incapace di offrire modelli positivi ai giovani. La figura di Brooke, sorella di Kid che aprirà gli occhi a Mike è talmente abbozzata da risultare inconsistente, ed è un peccato, perchè i confronti fra Mike e Brooke avrebbero potuto avere uno spessore ben maggiore, una tensione sessuale ed un'urgenza che avrebbero giustificato la scelta finale di Mike, ma forse Sodebergh ha avuto paura di aggiungere una nota troppo romantica ad un film dove la sessualità è esplicita in ogni scena ma la sensualità latita. Con una sceneggiatura più accurata e più coraggiosa si sarebbe potuto mettere in scena una realtà complessa e sfaccettata - perchè non analizzare cosa spinge valanghe di donne ad entusiasmarsi per un corpo maschile palesemente lontano ed asettico per esempio?- mentre Sodebergh si limita a declinare una trama da manuale della cinematografia hollywoodiana in un contesto antitetico ma edulcorato per l'occasione.
The Bourne Legacy - di Tony Gilroy con Jeremy Renner, Edward Norton, Rachel Weisz, Albert Finney, Stacy Keach ***
Abbandonare Bourne e la sua frenetica e disperata fuga da chi lo aveva "creato" non deve essere stato facile per Tony Gilroy - qui alla prima regia della saga ma sceneggiatore degli altri capitoli - ma nel mettere in scena la vicenda di Aaron Cross non dimentica la lezione della trilogia da cui "The Bourne Legacy" prende il via. L'agente interpretato da Jeremy Renner è anche lui il risultato di un esperimento estremo in cui, veicolati da semplici virus, sono stati iniettati negli agenti selezionati, dei farmaci in grado di modificare la loro mappatura genetica rendendoli più forti fisicamente e mentalmente. Ma qualcosa è andato storto - la rivelazione dei programma Treadstone e Blackbriar alla stampa in primis - il film si svolge infatti temporalmente in simultanea con "The Bourne Ultimatum" e quindi anche gli agenti del programma di cui Cross fa parte, Outcome, devono esere eliminati, e con loro gli scienziati e i medici che hanno sviluppato i farmaci necessari a creare questi super agenti. Ed è a questo punto che si incontrano le vite in fuga, braccati da killer e polizia di mezzo mondo, di Aaron e della dottoressa Marta Shearing - una Rachel Weisz sempre più matura - che tenterà di aiutarlo a completare il programma di potenziamento così che lui possa aiutare lei a scappare da chi ha già sterminato tutti i suoi colleghi. Da New York a Manila, tra adrenalinici inseguimenti in moto, a piedi e in macchina come ormai marchio di fabbrica dei Bourne i due affronteranno una solitudine diversa da quella di Bourne, ma simile nel sentirsi abbandonati da chi li ha addestrati, usati, e sta ora tentando di eliminarli perchè scomodi. A manovrare la caccia ai due, al chiuso degli uffici governativi, c'è questa volta Edward Norton, scelta felice per un ruolo solitamente affidato a facce da ex marine, che regala al suo Eric Byer uno spessore umano e psicologico che lo eleva dal clichè del cattivo di turno, mostrandoci le delusioni e le frustrazioni di chi è al comando, la durezza che nasconde la malinconia e la tristezza che si è costretti a provare quando la memoria gli ricorda chi sia stato prima di essere risucchiato dal sistema. Il mondo dello spionaggio si spinge ancora più verso il limite in questo Bourne, la scienza usata senza scrupoli e l'addestramento crudele sono solo le punte di un iceberg e la trama, sia pure spettacolare e girata con mano professionale che sa come si confeziona un perfetto film d'azione, non dimentica mai di sottolineare le aberrazioni umane, le decisioni estreme e folli prese da chi ha in mano i bottoni del comando. Jeremy Renner aveva il compito ingrato di sostituire un beniamino del pubblico come Matt Damon e fa il suo onesto lavoro, aderisce al ruolo e interpreta il superagente con sufficiente amarezza, l'uomo moderno solo di fronte al proprio destino. E non illudiamoci che Outcome sia stato l'ultimo programma delirante della Cia, a dar la caccia ai due fuggitivi viene chiamato un agente da Singapore, reduce da un ennesimo programma che garantisce addirittura degli agenti privi del "rumore emozionale", termine preso a prestito dal mondo fotografico che fa rabbrividire e che fa prevedere ancora più foschi sviluppi nella ricerca del'agente perfetto.
I bambini di Cold Rock - The Tall Man - di Pascal Laugier con Jessica Biel, Stephen McHattie, Jodelle Ferland, Samantha Ferris, William B Davis **
Una cittadina come tante Cold Rock, in difficoltà economica dopo la chiusura della miniera che dava lavoro a molti cittadini, con i giovani sfiduciati e gli anziani rassegnati, con famiglie disfunzionali dove una madre assiste senza intervenire alla gravidanza della figlia adolescente messa incinta dal proprio compagno, microcosmi dove parlare per esprimere il proprio dolore e il disagio di vivere è talmente inutile che la voce narrante dal film è una ragazza che al tempo dei fatti era muta per scelta, per rinuncia, per disperazione. In un contesto simile la scomparsa di diciotto bambini in pochi anni è chiaro che diventa motivo di inquietudine e di paranoia, dando vita ad un misterioso e mitico personaggio, il "tall man" del titolo originale, l'uomo alto che nel cuore della notte rapisce i bambini e li porta chissà dove. Quando però ad essere rapito è il figlio dell'infermiera del paese, una Jessica Biel sempre bellissima nonostante le tumefazioni al volto con cui appare in apertura di film, lei non si rassegna, insegue il furgone che si allontana da casa sua, lotta con il cane del rapitore, cerca di ritrovare il bambino a tutti i costi... quella che segue sarà una lunghissima notte, che cambierà le vite di tutti gli abitanti di Cold Rock, di chi resta e di chi andrà via... non si può e non si deve svelare di più della trama del nuovo film di Pascal Laugier perchè i colpi di scena e i ribaltamenti di fronte sono tanti, e tutti di ottima fattura, e bisogna scoprirli man mano, scendendo i grandini della follia e della disperazione, accompagnati dalle figure stanche delle madri che hanno perduto i loro figli, e dagli occhi supplici di chi ha ancora un futuro davanti a sè. Teso, asciutto, diretto con mano sicura e girato in locations perfette per un thriller - antiche dimore vittoriane che nascondono tunnel sotterranei che portano alle vecchie miniere, foreste illuminate dalla luna, tavole calde in cui gli abitanti si scambiano sguardi inquieti e complici - "I bambini di Cold Rock" non tradisce le attese della suspance, concedendosi anche il lusso di introdurre degli interrogativi morali sulle scelte che gli adulti compiono nei confronti dei figli, e lasciando che siano le immagini, i silenzi e i dubbi a non-dare risposte scontate, a sussurrare piuttosto che gridare, a suggerire piuttosto che giudicare. Temi inquietanti e scottanti come l'abuso sui minori e l'adozione illegale sono inseriti in un impianto tradizionale con tanto di poliziotto solitario e disilluso, ma restano impresse a lungo le immagini di un bambino che confuso sulla propria origine si aggira sperduto fuggendo da ogni adulto, perchè ha ormai perso la fiducia in coloro che dovrebbero invece proteggerlo e guidarlo. L'amarezza di fondo che lascia il film ci fa capire che non ci troviamo di fronte al solito thriller in cui si arriva alla conclusione liberatoria con la morte o l'arresto del colpevole ma siamo perfettamente calati nel territorio di un film di analisi e di riflessione sociale, sia pure perfettamente orchestrato con le cadenze d'inganno e le scatole cinesi di ogni giallo che si rispetti.
Che cosa aspettarsi quando si aspetta -
di Kirk Jones con Cameron Diaz,
Jennifer Lopez, Elisabeth Banks, Anna Kendrick, Chris Rock, Dannis Quaid **
La gravidanza non è più il momento magico, unico ed irripetibile, che il cinema del passato celebrava con commedie edulcorate e smielate ma è diventata spunto per pellicole che mettono in risalto più i disagi che le gioie dei fatidici nove mesi. Qualche mese fa è stata la volta del francese "Travolti dalla cicogna" che metteva sotto la lente d'ingrandimento una giovane coppia in attesa del primo figlio mentre arriva ora dagli Stati Uniti una commedia corale - sul genere di "Capodanno a New York" e "Appuntamento con l'amore" - con tantissime stars al servizio di uno script in cui le varie storie si incrociano solo di sfuggita, creando quindi una sorta di film ad episodi in cui ogni diva ha modo di primeggiare senza confrontarsi con altre primedonne e avendo come contraltare dei prototipi maschili estremamente esili, quasi delle spalle comiche che servono a lanciare la battuta alla Diaz o alla Lopez salvo poi ritirasi nel proprio angolino di padre in attesa, confuso, incerto e come al solito incapace di ragionare quando si tratta di trovare le chiavi della macchina al momento delle prime contrazioni. Le storie principali riguardano una famosa presentatrice televisiva - la Diaz survoltata, palestrata e abbondantemente botulinata - che cerca di conciliare lavoro e gravidanza, una fotografa in attesa di adottare un bimbo africano che deve affrontare tra le altre difficoltà anche le incertezze del marito - una sempre bellissima Jennifer Lopez, una esperta di allattamento e puericultura che affronta la gravidanza con tanti disagi quanto la sua giovane neosuocera la porta avanti con disinvoltura pur se in attesa di due gemelli - la sempre brillante e naturalmente buffa Elisabeth Banks, e una giovane imprenditrice nel ramo del catering che dopo essersi scoperta incinta senza averlo programmato deve poi affrontare il dolore di un aborto - Anna Kendrick più orientata sulle note malinconiche che su quelle brillanti - il tutto inserito in una atmosfera dolce amara, fra momenti esplicitamente brillanti - sostenuti principalmente da un Chris Rock padre di tre scatenati ragazzini e da un Dannis Quaid vecchio dongiovanni dallo sguardo assassino in aperta competizione con il figlio imbranato e grassoccio - e momenti più riflessivi in cui fa capolino l'incertezza che accompagna un momento tanto importante nella vita di qualunque donna. Commedia a tratti anche gradevole ma tutto sommato un po' inutile perchè troppo adagiata nel solco di battute e trame fin troppo scontate. Irresistibile però la figlia maggiore di Chris Rock, impossibile non ridere ogni volta che entra in scena, scoprirete voi perchè...
Prometheus - di Ridley Scott con Michael Fassbender, Noomi Rapace, Charlize Theron , Idris Elba **
Bloockbuster dell'estate statunitense il ritorno alla fantascienza di Ridley Scott, sostenuto da un cast stellare, e sospinto dal battage pubblicitario che lo ha lanciato come prequel di Alien, lascia un po' di amaro in bocca. E non tanto perchè i richiami ad Alien sono esili a dir poco, e non solo perchè il metatesto filosofico nei film di fantascienza (da dove veniamo, qual'è l'origine della vita?) è stato sviluppato altrove in modo ben più convincente e affascinante, ma soprattutto perchè Prometheus niente di nuovo aggiunge ad un film dichiaratamente di genere. Certo gli effetti speciali sono negli anni divenuti specialissimi, certo il 3D permette certi azzardi registici di grandi suggestione, e certo non si può negare la capacità di Scott di creare suspance e di dirigere gli attori, ma sinceramente, quante navi spaziali in difficoltà abbiamo già visto, quanti equipaggi dilaniati dagli aggressori alieni e da lotte intestine abbiamo conosciuto, quante eroine dure e pure abbiamo visto lottare contro il Male incarnato non sempre e non solo dai mostri spaziali? Possibile che la sceneggiatura non potesse essere più accurata, e più originale, capace di andare oltre i soliti stilemi delle pellicole di fantascienza? Sicuramente il personaggio della Rapace, una biologa dilaniata fra la fede e la scienza, ha il suo spessore, e sicuramente il robot di Fassbender ricorda le malinconie e gli struggimenti dei replicanti di Blade Runner, ma manca quel quid che trasforma un buon prodotto in un capolavoro, e questo da Ridley Scott dobbiamo aspettarcelo, perchè un autore, quando prende in mano un soggetto deve poi metabolizzarlo fino a stravolgerlo, facendone qualcosa di unico, e di inconfondibile. Altrimenti si rischia di creare un bel film, molto scenografico, molto ridondante e molto elaborato, ma che si dimentica facilmente proprio perchè assomiglia a tanti altri prodotti visti in precedenza. Mentre Alien, come pure Blade Runner, erano e restano, capolavori unici.
Babycall -
di Pal Sletaune con Noomi Rapace, Kristoffer Joner, Vetle Qvenild Werring,
Stig R. Amdam *
Presentato in anteprima al Festival Internazionale del Film di Roma 2011 il thriller scandinavo con Noomi Rapace risulta un bozzetto incompiuto, capace di fascinazione in alcune scene e però mancante in fase risolutiva, quando si tratta di dare corpo al soggetto. Anna è una madre in fuga, il figlio Anders è sopravvissuto alla violenza del padre che ha tentato di ucciderlo e lei lo difende da ogni contatto esterno, arrivando perfino a comprare un babycall per controllarlo durante la notte, anche se ha ormai quasi dieci anni. Le paranoie di Anna sono evidenti, i traumi del passato le hanno lasciato incubi e allucinazioni che lei non si arrischia a curare andando da un medico per paura che i servizi sociali le sottraggano il bambino, e così si trascina fra il cortile della scuola dove non si fida a lasciare solo Anders e il bosco vicino casa dove segue una giovane mamma col figlioletto, salvo scoprire poi che quel bosco non esiste e che la sua mente sta sempre più tradendola. Solo l'amicizia con il commesso del negozio di elettrodomestici dove ha comprato il babycall sembra poterla tenere ancorata al mondo reale, ma il rapporto con il figlio diventa sempre più ossessivo e la presenza di un inquietante compagno di giochi di Anders non può che peggiorare la situazione. Lo svelamento finale lo lasciamo naturalmente allo spettatore ma non è questo il nodo della pellicola di Sletaune, non è tanto la soluzione dell'enigma a interessare il regista scandinavo quanto la creazione di un'atmosfera tesa e inquietante in cui lo sguardo angosciato di Noomi Rapace - premio per la miglior interpretazione femminile al Festival di Roma - vaga in cerca di risposte che una mente devastata non può più dare. E la dolorosa consapevolezza della propria follia è la nota più interessante del film, la dolente coscienza di star perdendo il contatto con la realtà che chiude le pareti sempre più intorno ad una vita ormai devastata che dà uno spessore ad un thriller altrimenti piuttosto ondivago, incerto su che direzione prendere, senza colpi di scena realmente interessanti e senza uno sviluppo omogeneo. Un prodotto non mediocre ma medio, senza guizzi autoriali nè intuizioni brillanti, che "condanna" ancora una volta la Rapace ad un ruolo disturbato - e di qui a poco anche la scienziata Elizabeth Shaw che interpreta in "Prometheus" avrà di che esprimere angoscia e sofferenza - anche se decisamente meno affascinante di quello di Lisbeth Salander nella trilogia di Millennium.
Ribelle - The Brave - di Mark Andrews - Animazione **
Arriva sugli schermi la Principessa versione Pixar, e perciò anticonformista, appassionata di freeclimbing, allergica alle regole e ben decisa a non sposare un pretendente scelto dalla famiglia. Merida vive in Scozia con i genitori, un carnale e passionale padre re di tutti i clan, e una madre tutta disciplina e volontà, che non capisce il bisogno di libertà ed indipendenza della figlia. Il desiderio di imbrigliare la vitalità di Merida passa anche attraverso abiti stretti ed umilianti cuffie che mortificano i magnifici capelli rossi della principessina, che resta però incapace di accettare il cerimoniale arcaico e le sue conseguenze - un matrimonio con principi davvero imbarazzanti per pochezza - i vecchi principi di Cenerentola e Biancaneve non erano certo modelli di appeal e intelligenza, ma qui siamo davvero alla parodia della parodia! E così Merida decide di infrangere ogni regola dei clan combattendo per la propria mano come un qualunque primogenito. L'incontro con una strega pasticciona le fornirà una pozione per far cambiare idea alla madre riguardo alle nozze ma provocherà danni che la coraggiosa ragazzina dovrà affrontare e risolvere con il suo proverbiale coraggio. Fino ad un conciliante lieto fine che apre la mente ai genitori e fa fare un ulteriore passo avanti nell'emancipazione delle principesse delle favole. La scelta della Pixar riguardo la sceneggiatura questa volta è di sottrarre invece di accumulare piani di lettura, citazioni e metafore, perchè la trama è classica e lineare, e le varie prove che Merida deve affrontare per smussare la propria ribellione e renderla più consapevole ed adulta sono le tipiche fasi di crescita di ogni favola. Ciò che è magnifico come sempre sono i caratteri - le smorfie di Merida sono più espressive di quelle di alcune botulinate star di Hollywood - e i suoi riccioli rossi sono una tra le più riuscite creazioni della computer grafica di tutti i tempi. I personaggi di contorno sono curati e spassosi, la segreteria telefonica della strega un' esilarante parodia dei call center e le sfumature caratteriali della principessa e della madre (Reese Witherspoon ed Emma Thompson le voci nell'originale) sono credibili e sincere, e ben esprimono i contrasti e l'affetto dei rapporti madre figlia. Un prodotto forse meno roboante delle tante animazioni al fulmicotone cui ci hanno abituato le produzioni statunitensi degli ultimi anni, ma sicuramente piacevole e scorrevole, anche se qualche scena più smaccatamente spassosa avrebbe dato un pizzico di ironia ed energia in più a quei riccioli ribelli e indomabili.
Monsieur Lazhar - di Philippe Falardeau con Fellag, Sophie Nélisse, Émilien Néron, Brigitte Poupart ***
Nomination agli Oscar 2012 come miglior Film Straniero la pellicola di Falardeau colpisce al cuore con scene lievi e delicate, pur affrontando il tema più ostico, la morte. E l'elaborazione del lutto che chi rimane deve affrontare, attraversando quel territorio oscuro e terrificante che è il dolore. Percorso tanto più complesso se a doverlo compiere sono dei bambini, in questo caso un'intera scolaresca la cui maestra si è impiccata in aula. In una scuola canadese, all'avanguardia e attenta ai bisogni emozionali dei bambini e delle loro famiglie, l'incarico è naturalmente affidato agli psicologi, ma sarà un docile e solitario maestro, Bashir Lazhar, esule algerino con alle spalle una vicenda atroce, ad aiutarli a compiere quel percorso, e a compierlo insieme a loro, per ridare un senso alla propria esistenza, spezzata da un incendio doloso in cui hanno perso la vita la moglie e i figli. Bashir, che maestro non è, e non è mai stato, riesce però ad insegnare a quei bambini sconvolti da un gesto incomprensibile, il senso profondo della vita, leggendo loro Honoré de Balzac - scelta che lascia più che perplesso il corpo insegnante, osando abbracciarli e toccarli in una società talmente ossessionata dal rischio stalking che non si arrischia più neanche ad aiutare i piccoli a saltare un'ostacolo nell'ora di ginnastica e che per paradosso fa bruciare la schiena ad uno dei bambini in gita al mare perchè per protocollo agli operatori è vietato toccare gli alunni, anche solo per spalmar loro la crema solare. In un mondo così sbilenco, dove le famiglie sono colpevolmente e pateticamente assenti o giudicanti, solo un uomo all'antica, che non non ha intenti didattici ma solo pedagogici, nel senso più umanista del termine, riesce a raggiungere quelle anime fragili e sperdute, e ad interpretare gli stati d'animo attraverso i temi che i bambini scrivono per lui. Perchè Bashir capisce che Alice, la alunna più sensibile e attenta ha bisogno di elaborare la perdita comunicando e condividendo il proprio dolore con gli altri, e glielo lascia fare anche se fortemente sconsigliato dai colleghi che vorrebbero dimenticare al più presto l'accaduto, e capisce che la rabbia di Simon nasconde il senso di colpa per aver accusato ingiustamente l'insegnate suicida di un bacio che non c'è mai stato, e capisce che la propria insonnia fatta di incubi e ricordi può essere lenita solo tornando ad aprirsi agli altri, ad una collega forse un po' invaghita di lui, ad un simpatico bidello, e a quei bambini in fiore, a cui Bashir in sottofinale legge una favola scritta da lui, in cui una crisalide non si trasforma in farfalla perchè un incendio distrugge l'albero su cui si era posata, ma che diventerà favola nel racconto dell'albero, e di Bashir stesso, sopravvivendo quindi alla realtà, alla brutalità della realtà, nel ricordo di chi l'ha amata. Metafora potente, commovente, come tutte le scene, girate con misura ed eleganza, perchè per affondare nelle radici del dolore e della crudezza della vita non serve urlare, nè stracciarsi le vesti, e perchè dietro un sorriso umile si può nascondere una persona speciale, capace di ascoltare e restituire, di insegnare anche se non si conoscono le regole della grammatica, e di emozionare chi ha la fortuna di vedere questo gioiello cinematografico dove ogni emozione è sincera e profonda, evento raro in un mondo cinematografico sempre più spesso enfatico e ruffiano.
La Faida - di Joshua Marston con Tristan Halilaj, Sindi Laçej, Refet Abazi, Çun Lajçi ***
Quando si sente la parola faida si pensa subito a una catena di delitti risalenti alla notte dei tempi, famiglie imprigionate in rancori di cui non si ricordano neanche più le origini, vendette reciproche ed eterne. E si immaginano uomini anziani chiusi nell'odio, incapaci di perdono, ancorati ad un passato inutile e dannoso. Nel bel film di Marston invece i protagonisti sono due adolescenti che vivono in un piccolo paese dell'Albania, sognano di andare all'Università o di aprire un internet point e si innamorano della ragazza più carina della classe. Ma si troveranno intrappolati in un incubo culturale e sociale che li schiaccia al suolo senza possibilità di riscatto. Nick e Rudina, fratello e sorella, appartengono ad una famiglia da sempre in aperto conflitto con dei confinanti per una questione di diritti di passaggio sui terreni altrui. Una notte una di queste liti degenera, un ragazzo appartenente alla famiglia rivale muore, e il padre dei due ragazzi deve fuggire. Le leggi del codice antico, ancestrale per meglio dire, parlano chiaro: Nick può essere ucciso dalla famiglia a lutto per vendetta, e così deve barricarsi in casa, lasciando che sia Rudina a portare il carro con il pane ai vari negozi che prima serviva il padre. Ma anche la ragazza subirà minacce, e così l'intera famiglia, composta anche dalla madre dei ragazzi e da due figli piccoli, dovrà asserragliarsi in casa, subire attentati, chiedere l'aiuto di un mediatore, figura che conosce tutte le regole della faida e può obbligare i contendenti a farle rispettare. Nick tenta di ribellarsi a queste assurde regole preistoriche, tenta anche un dialogo diretto con i nemici, quasi costringe il padre a consegnarsi alla giustizia, ma non c'è dialogo, non c'è buon senso, non c'è civiltà in queste terre senza tempo, c'è solo un codice impossibile da comprendere, e da accettare. E allora solo l'esilio può salvare Nick, esilio che diventa anche liberazione da un mondo arcaico e inutile, in cui si è lontani anni luce della civiltà e si è ancora più lontani dal desiderio di farvi parte. Asciutto, teso, rigoroso al limite dell'algido, il film di Marston, premio per la sceneggiatura al Festival di Berlino 2011 ci consegna uno spaccato di società in cui l'atto di violenza resta sempre inespresso, eppure in agguato, una minaccia costante al bisogno di vita e di libertà dei due ragazzi. L'immagine di Rudina che resta, al contrario di Nick che si allontana verso il proprio futuro, è il simbolo del fallimento di un mondo che non riesce a sradicarsi dai propri fallimenti e dai propri rancori, di una società che non rispetta niente, neanche il diritto dei giovani ad avere un futuro. Agghiacciante nella sua denuncia, poetico in alcune inquadrature, struggente nelle rinunce e sincero nel mettere in campo tutti i sentimenti dei protagonisti, anche i meno nobili, la pellicola del regista di "Maria full of Grace" ha il merito anche di soffermarsi sui volti dei due giovani protagonisti catturandone lo sconcerto, la rabbia, la vergogna che è la stessa di chiunque abbia dentro di sè quella "legge morale" di cui parlava Kant e che inorridisce di fronte a piccoli grandi stermini di anime come questo.
Lol - Pazza del mio miglior amico - di Lisa Azuelos con Miley Cyrus, Demi Moore, Douglas Booth, Ashley Greene, Adam G. Sevani *
La voce narrante, fin dalla prima scena, è quella di un'adolescente, il che ci fa capire chiaramente che il punto di vista principale del film sarà il suo, ma il film di Liza Azuelos, remake dello stesso titolo francese con Sophie Marceau, mette in campo anche personaggi più adulti, anche se non per questo più maturi. Lola e Anne, madre e figlia, vivono parallelamente traversie sentimentali e il loro rapporto, burrascoso e affettuoso allo stesso tempo, fa da cassa di risonanza per le sofferenze di Lola che si scopre innamorata del suo miglior amico ma che per una serie di malintesi non riesce a far funzionare la storia come vorrebbe lei, e per i dubbi di Anne, che si vede ancora con il suo ex marito ad un anno dal divorzio ma scopre ulteriori tradimenti di lui e si lascerà corteggiare da un poliziotto conosciuto per caso. Con una premessa simile, madri ancora giovanili - tendenti al fenomeno cougar - in crisi sentimentale e figlie adolescenti in evidente affanno emotivo, si può scommettere che ci saranno lacrime, scenate, fraintendimenti e rappacificazioni, condite da amori veri e flirt sbagliati, da stereotipi caratteriali degni di una soap opera e da un finale assolutamente prevedibile. Un film decisamente deludente quindi? Non del tutto, perchè alcune scene sono spontanee e divertenti - soprattutto quelle in cui le differenze generazionali sono messe facilmente in ridicolo - i genitori che spinellano in salotto parlando male dei giovani e gli adolescenti che fumano di nascosto in camera criticando il perbenismo dei genitori - e la freschezza di Miley Cyrus e dei suoi compagni in trasferta a Parigi fanno dimenticare i pur evidenti limiti di sceneggiatura. La Moore nasconde dietro i capelli in stile Morticia la vecchia carica sexy ed è un po' ingessata - o resa tale dal botulino? - in un ruolo in cui avrebbe potuto calcare la mano sull'autoironia visto che dopo vari tira e molla con il suo ex marito sceglie alla fine un fidanzato ben più giovane di lei ( ma non le è bastato Ashton Kutcher?) e la Cyrus la accompagna come può, con smorfie e sorrisi in parti uguali. Tutto sommato la pellicola si lascia seguire, è diretta con evidente attenzione all'equilibrio estetico - ralenty, musiche ben distribuite e siparietti francesida manuale - e le due protagoniste non si rubano perfidamente la scena, dettaglio non da poco nel dorato showbiz hollywoodiano!
Madagascar 3: Ricercati in Europa - di Tom McGrath, Conrad Vernon - Animazione ***
Dall'America all'Africa e ora all'Europa, non ha fine il giro del mondo degli animali dello zoo di New York, capitanati da Alex il leone con la criniera cotonata, che all'inizio del film troviamo immalinconito nella savana e desideroso di tornare nella Grande Mela. Come fare però visto che l' aereo è a Montecarlo con i pinguini? Facile, si raggiunge il principato, si entra al casinò con un'azione degna di Mission Impossible - anche se con esiti decisamente diversi e ben più divertenti - e si tenta la fuga, ma... ma i nostri eroi non hanno fatto i conti con la villain di turno, l'accanita poliziotta francese DuBois che anela a mettere il testone di Alex sul muro. E così i malcapitati sono costretti a nascondersi su un treno che trasporta gli animali di un circo, e fingersi abili trapezisti e giocolieri per tornare a casa. Una trama semplice, forse anche un po' scontata, ma un'esecuzione impeccabile, fatta di duetti amabilissimi - su tutti quello del lemure Julien e dell'orsa Sonia, muta ma decisamente capace di esprimere ogni emozione con i suoi feroci versi - di scene funamboliche e perfino romantiche, di un ritmo indiavolato e di musiche - come sempre - scatenate. I nuovi personaggi del circo - Vitaly la tigre russa triste e depressa, il leone marino Stefano, ottimista e fiducioso e la sensuale femmina di ghepardo Gia portano un bagaglio di emozioni e di storie vissute che regala al film uno spessore in più, qualche momento di malinconia e uno spirito di gruppo sincero e mai ruffiano. Si ride, si seguono con perfida soddisfazione i fallimenti della poliziotta francese - impagabile nell'esecuzione di "Non, je ne regrette rien" di Edith Piaf - e si assiste con manifesto piacere al susseguirsi di scene spettacolari - il 3D ormai lo si dà quasi per scontato, ma non dimentichiamoci quanto impreziosisca l'animazione - sapendo già che le avventure del leone Alex, della zebra Marty, della giraffa Melman e dell'ippopotamo Gloria non solo finiranno bene, ma ci regaleranno una sana dose di intrattenimento semplice e lineare, forse meno citazionista di altre serie cult - Shrek su tutte - ma decisamente appagante e divertente.
Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno - di Christopher Nolan con Christian Bale, Gary Oldman, Morgan Freeman, Michael Caine, Anne Hathaway, Joseph Gordon-Levitt, Matthew Modine, Marion Cotillard, Liam Neeson ***
Quanto è lontano, sempre più lontano ad ogni nuovo capitolo, dallo stereotipo del supereroe il Batman di Christoper Nolan cui dà corpo, anima e tormenti un Christian Bale sempre più a proprio agio nei panni del miliardario Bruce Wayne. L'inizio del film lo trova isolato nella propria casa fortezza, sempre più cupo e ripiegato su se stesso, privo di uno scopo e di un ideale. Gotham è apparentemente salva dal male, Batman è solo un ricordo sfocato e le poche persone che lo circondano - il fido Alfred di Michael Caine, il carismatico Lucius Fox di Morgan Freeman, il sofferto James Gordon di Gary Oldman e il giovane poliziotto idealista John Blake di Joseph Gordon-Levitt non riescono a scuoterlo dall'apatia. Ci vorranno gli atti terroristici messi in atto da Bane, mercenario ambiguo di cui capiremo le motivazioni man mano che ci viene rivelata la sua vera storia durante le due ore e quaranta del film, a riportare Batman in campo, dove tra gli altri giocatori troverà una affascinante ladra, una ironica Catwoman interpretata con piglio da Anne Hathaway. La bancarotta della sua società, il tradimento di chi avrebbe dovuto essergli fedele e la solitudine che da sempre accompagnano Wayne ne fanno un personaggio umano nonostante la maschera, del resto Batman è l'unico supereroe a non avere poteri speciali, a parte la propria volontà. E il nemico da sconfiggere va oltre il villain di turno, si annida nei dubbi, nella rabbia, nella disperazione di ognuno di noi, in quel vuoto esistenziale che impedisce di lottare, e vincere. Questo Batman fragile, anche fisicamente provato e bisognoso di cure rivela quanto sia proprio la fragilità il punto da cui partire per migliorare noi stessi. Epico senza mai essere ridondante o auto celebrativo, ricco d'azione ma capace di emozionare in alcune rivelazioni e in alcune sequenze l'ultimo capitolo della Trilogia di Nolan non delude nel ridisegnare i contorni di un personaggio talmente popolare da rischiare di essere mito di se stesso, riuscendo a confezionare una trama avvincente, un sottotesto intriso di metafore e di sincero mal di vivere e, last but not least, una galleria di personaggi - e di attori - straordinariamente curati nel tratteggio dei caratteri e dei trascorsi, il che rende la narrazione mai stereotipata. Le scene finali, con la partenza di John - Robin - Blake per la caverna piena di pipistrelli dove tanti anni prima lo stesso Wayne trovò il coraggio di vivere, ci regala un'ideale passaggio di testimone di cui l'umanità avrà sempre bisogno per credere ancora agli eroi che danno la vita per salvarci, mentre la luce calda - al contrario delle tante scene buie e notturne - della chiusa finale a Firenze è lì a dirci che solo attraversando l'inferno della sofferenza si può sperare di rinascere, magari in compagnia di una bellissima gatta.