Dicembre 2013
Piovono Polpette 2 - La Rivincita degli Avanzi - di Cody Cameron, Kris Pearn - Animazione ***
Altro giro, altro sequel! Hollywood ormai pavida e preoccupata dai bilanci tende a replicare se stessa, anche quando farebbe bene a non farlo, per non rischiare di sfruttare un filone fino a svuotarlo e a smitizzarlo. Il geniale protagonista di piovono Polpette Flint si ritrova in questo secondo episodio ad essere trasportato in un super efficiente fabbrica guidata da un inventore imprenditore, Chester, che si replica all'infinito in ologrammi autocelebrativi, che produce barrette commestibili di successo e che sfrutta il povero Flint a sua insaputa, spedendolo a recuperare il marchingegno da lui inventato che se nel primo film creava un diluvio di alimenti qui ha generato addirittura un mondo dove gli alimenti si sono trasformati in animali alcuni molto aggressivi, alcuni socievoli, alcuni infidi. Flint è ingenuo, gli amici il padre e la fidanzata metereologa Samantha tentato di metterlo in guardia ma lui va dritto per la sua strada, salvo doversi poi ricredere su Chester, idolo caduto nella polvere della sua stessa ambizione. L'ecumenico lieto fine ci riporta ad una animazione tradizionale, anche se tutto il film si regge invece su un ritmo indiavolato, su un atteggiamento schizofrenico e delirante, dove il buon senso cede il posto all'iperbole e alla moltiplicazione non tanto dei pani e dei pesci quando dei pani più strani e dei pesci più pazzi. Le battute non mancano, la foresta animata è divertente e originale, i siparietti con continui rimandi al mondo reale raggiungono più gli adulti che i più piccoli - la parodia della fabbrica e dei suoi impiegati su tutti - e si godono le invenzioni e le strampalate creazioni che gli autori si sono divertiti a creare, ma alla lunga il gioco diventa un po' ripetitivo e si arriva ad un finale ampiamente previsto. Tutto bene, purchè non sia previsto un ulteriore e terzo diluvio di polpette e cibi vari, diventerebbero indigesti...
Lo Hobbit - La desolazione di Smaug - di Peter Jackson con Martin Freeman, Ian Mc Kellan, Orlando Bloom, Richard Armitage, Aidan Turner, Robert Kazinsky, Evangeline Lilly ***
Eccoci alla seconda avventura del piccolo hobbit e dei rissosi nani, tradizionalmente la più debole delle trilogie, soprattutto da quando i registi non si sentono più in dovere di creare almeno una parvenza di finale all'episodio che lascia tutto in sospeso in attesa del gran finale. Non è esente da questo difetto anche "Lo Hobbit - la desolazione di Smaug" che pur nella magnificenza della messa in scena è pur sempre un bridge movie, che serve a preparare la scena per l'epica finale, lo scontro epocale, lo sciogliersi dei misteri e delle trame. Partendo da questa considerazione godiamoci però le magiche avventure, le strampalate peripezie, i personaggi cattivi cattivissimi i fool divertenti e teneri, i protagonisti che acquistano spessore e carattere e i nuovi arrivi, e i ritorni, e le battaglie, e l'antro dove dorme Smaug, il drago del titolo, protagonista che non regge neanche lontanamente il confronto con il Gollum Smigol, nonostante la voce da filosofo e le riflessioni che regala a Bilbo nel loro confronto sotterraneo, anche se la pancia trasparente gonfia di fuoco è suggestiva e la colata d'oro che lo ricopre ha una potenza visiva notevole. Gandalf è poco presente impegnato sulla montagna romita, e la nuova elfa - interpretata da Evangeline Lilly reduce da Lost e ben altre avventure - con una cotta per il piccolo nano è una figura femminile moderna al pari delle nuove principesse Disney. Forse ciò che davvero manca ormai alle avventure di Peter Jackson, che pure ci divertono e appassionano intendiamoci - è l'effetto sorpresa, lo stupore, la capacità di farci sgranare gli occhi, forse perchè ogni nuova mirabolante avventura potrà anche superare le precedenti in effetti speciali e magie, ma niente che non ci aspettassimo, che non sperassimo arrivasse dalla fucina di Mr. Jackson, quasi dessimo per scontata la gara a superare se stessi che da ben cinque episodi gli sceneggiatori hanno imbastito - divertendosi e divertendoci moltissimo - ma cosa altro potranno mai inventarsi per dilatare a dismisura il libercolo di Tolkien nella terza epica avventura?
Molière in Bicicletta - di Philippe Le Guay con Fabrice Luchini, Lambert Wilson, Maya Sansa, Camille Japy ***
Impietosa - e spassosa - messa in scena dell'Attore, dello stereotipo dell'attore forse, ma comunque di ciò che nell'immaginario collettivo, e forse anche nella realtà, l'attore rappresenta per sè e per chi lo circonda. Gauthier Valance è un attore di successo, spopola in tv interpretando un neurochirurgo e la gente impazzisce per lui, ma lui vuol recitare Molière, il Misantropo niente meno, perchè non ha mai fatto teatro e soldi e fama non gli bastano più, così va a cercare Serge Tanneur, un collega che si è ritirato dalle scene da anni, e vive ritirato nella ventosa Ile de Ré per convincerlo a recitare con lui. L'incontro scontro fra i due è il filo portante di tutta la narrazione, con momenti estremamente gustosi e altri meno riusciti, con un personaggio femminile, l'italiana Francesca, a creare un po' di scompiglio fra due caratteri decisamente opposti, fra due vite agli antipodi, fra un rancore e un disincanto, fra un dispetto e una vendetta. Il primo ostacolo da superare è sui ruoli: chi farà Alceste, chi il comprimario Filinte? nessuno cede e così nelle prove che si protraggono per una settimana i ruoli si alternano, le battute si scambiano, i ruoli si invertono. C'è violenza sotterranea talvolta nel gusto di sottolineare le mancanze dell'altro, c'è il gusto istrionico di voler primeggiare, c'è la solitudine dell'attore e il bisogno di rassicurazione, e c'è l'incapacità di guardare oltre se stessi nei due uomini ormai avviati alla mezza età, chiusi nel proprio regno dorato di autografi e adorazione del pubblico l'uno, nel rancore e nella depressione l'altro. Il finale lascia un po' perplessi forse fin troppo frettoloso, ma il respiro del film è tutto nel confronto fra Lucchini e Wilson, giganti del palcoscenico della vita, dove gli scontri sembrano finti ma sono veri, e le ferite sanguinano anche quando si sono rimarginate. Bell'esempio di cinema adulto, maturo, capace di coniugare amarezza con ironia, e gran coraggio dei due divi francesi a calarsi nei panni di attori vanesi, egocentrici e manipolatori riuscendo a renderli persino simpatici nei loro meschini difetti.
Hunger Games - La Ragazza di Fuoco - di Francis Lawrence con Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Stanley Tucci, Woody Harreleson, Donald Sutherland, Philip Seymour Hoffman ***
Se il primo film lasciava senza fiato per l'azzardo e il coraggio con cui - pur nel contesto del film d'azione e di sentimento - denunciava il degrado sociale e l'aberrazione dei mezzi di comunicazione che esaltano lo spettacolo a tutti i costi, anche quando si tratta di spettacolo di morte, nel secondo capitolo tratto dalla saga di Suzanne Collins lo stupore viene meno ovviamente, perchè sappiamo bene come la messa in scena sarà presentata, e conosciamo i personaggi, e i fantasmagorici costumi sono solo un po' più fantasmagorici, e di sicuro questo non è colpa degli sceneggiatori nè del regista ma del "prodotto sequel" che inevitabilmente azzera ogni novità. E però resta un senso di incompiutezza, di mancanza, pur consapevoli che nessuna magia si ripete in eterno come se Katniss avesse perso smalto, e Peeta sentimento, o forse il difetto è che la parte preparatoria del film, con un tour promozionale che si trasforma in gestazione lenta e dolorosa dello scontro - non finale, per quello ci sarà spazio nel prossimo episodio - è troppo dilatato e la pur bella tensione sociale dei distretti che sfidano pur sapendo le conseguenze il tirannico Snow restano sullo sfondo, e il magmatico show paradossale, agghiacciante e metaforico, è sempre uguale a se stesso il pur grande Stanley Tucci replica se stesso in infiniti sorrisi finti senza più mordere. Intendiamoci l'ambientazione resta sontuosa, i nuovi personaggi che partecipano ai games centrati e le alleanze/tradimenti fra partecipanti risultano godibili come pure lo sviluppo scenico e sentimentale, con emozioni adolescenziali che pian piano si trasformano in un contesto disumano come quello dei giochi di morte, e Jennifer Lawrence è sempre bellissima e imbronciatissima, però l'attesa era per qualcosa di più, di meglio, di ultra. Ma forse i fuochi d'artificio arriveranno col terzo capitolo, in questo accontentiamoci della metamorfosi di Katniss da ragazza di fuoco a sposa malinconica a ghiandaia imitatrice, a bearci delle brevi ma perfette apparizioni di Donald Sutherland, a rallegrarci dell'ingresso nel cast di Philip Seymour Hoffaman, concentrato di servilismo e pietas trattenuta, fino a goderci i sorrisi muti della più anziana partecipante agli Hunger Games di tutti i tempi, disincanto e malinconia pura sul volto di Lynn Cohen, valori aggiunti che non tutti i blockbuster possono vantare, a conferma che gli Hunger Games hanno comunque qualcosa in più rispetto ai tanti film per adolescenti, con adolescenti, tratti da libri per adolescenti.
Frozen - Il Regno di Ghiaccio - di Chris Buck, Jennifer Lee - Animazione ***
Grandissimo musical - si respira aria di Broadway in alcuni momenti - questa nuova produzione Disney che mette al centro della storia due giovani donne moderne, indipendenti ma tormentate,decise a conquistare la propria libertà ma anche a vivere i sentimenti, capaci di sacrifici e di scatti ribelli. La piccola Elsa ha il potere magico di trasformare in ghiaccio tutto ciò che tocca, ma quando il gioco rischia di uccidere l'amata sorellina Anna, Elsa ne rimane così turbata che si chiuderà nella sua stanza e nel suo regno di solitudine. Ma il giorno dell'incoronazione di Elsa tutto cambia, il segreto viene svelato e in crescendo di emozioni Elsa ed Anna dovranno combattere con tutte le loro forze per ridare al loro regno la felicità e il calore del sole. Magnificamente sceneggiato, con una cura dei personaggi che niente ha da invidiare a filmografie "da adulti", con risvolti emozionanti, commoventi e naturalmente comici affidati al magnifico pupazzo di neve Olaf, comprimario perfetto per allentare la tensione. I personaggi maschili, il concreto e solido Kristoff, solitario venditore di ghiaccio con renna simpaticissima al seguito, e il principe Hans, subdolo e fascinoso, sono come spesso nelle favole Disney, figure in secondo piano, e nessun bacio è più necessario per svegliare le principesse, perchè sono perfettamente in grado di far da sè. Parlare di meraviglie tecnologiche nelle scenografie, negli effetti speciali e nell'allestimento di costumi è quasi superfluo perchè dal magico mondo Disney ci si aspetta sempre la perfezione, ma qui si va decisamente oltre, guardare solo la scena della trasformazione di Elsa per avere la conferma di quanto possa volare alta l'animazione matura e consapevole della nuova Disney. Un vero trionfo per gli occhi e per il cuore, il classico film di Natale, con un cuore di ghiaccio che quando si scioglie e diventa emozione e amore conquista completamente.
Il Segreto di Babbo Natale - di Leon Joosen - Animazione ***
Il piccolo elfo Bernard è addetto a pulire le stalle dove vivono le renne di Babbo Natale, lavoro ingrato e ripetitivo, ma lui ha un animo da inventore e sogna di lavorare alla Santech, dove gli elfi creatori mettono in cantiere ogni anno novità tecnologiche all'avanguardia per soddisfare i bambini di oggi. E così ogni anno propone qualche sua invenzione, regolarmente bocciata dal consiglio degli elfi. Ma il destino nei panni del villain Neville Baddington che vuole scoprire il segreto della slitta di Babbo Natale in grado di viaggiare velocissima nell'arco di una sola notte in tutto il mondo - con madre degna discendente di Crudelia Demon nelle fattezze e nei modi - darà modo a Bernard di salvare il regno di Babbo Natale e di conquistarsi un posto a cassetta sulla magica slitta. Tenero, divertente, ben diretto e ben "recitato" da personaggi molto espressivi su cui naturalmente svetta Bernard è un prodotto onesto, non estremamente originale nei contenuti ma gradevole e capace di far sorridere senza mai risultare troppo zuccheroso. Il traduttore per renne, il cilindro in grado di far tornare a galla i ricordi più belli di Natale e tutte le altre invenzioni sono divertenti e la piccola elfa che fa battere il cuore a Bernard deliziosa. E Babbo Natale? C'è, un po' defilato, ma saggio e generoso, come è giusto che sia, e se le mirabolanti avventure di Bernard sono l'ennesima metafora del "credi in te e ce la farai" di classica impronta statunitense, è pur vero che le si seguono con gran piacere tifando per il suo musetto dolce e sognatore.
Dietro i Candelabri- di Steven Soderbergh con Michael Douglas, Matt Damon, Dan Aykroyd, Debbie Reynolds, Rob Lowe ***
Presentato al Festival di Cannes 2013 e non distribuito nel circuito cinematografico americano per paura che il pubblico non gradisse vedere due attori popolari - ed etero - come Michael Douglas e Matt Damon interpretare due omosessuali - ma davvero si può avere un'opinione così bassa dei propri concittadini da parte dei distributori statunitensi o il pubblico usa è così "prud"? - il film di Soderbergh, camaleontico e talentuosissimo regista, ci racconta una storia, una storia d'amore, una storia d'amore omosessuale. Ma per chi ha occhi per guardare e cuore per sentire il fatto che siano due uomini ad innamorarsi resta sullo sfondo, perchè sono le dinamiche sentimentali ad emergere, i rapporti di forza e di fragilità all'interno di una coppia, le gelosie, le ripicche, le promesse infrante e l'attrazione fisica irresistibile, tutto ciò che fa una storia d'amore quindi, nel bene e nel male. La scelta di mettere al centro del palcoscenico - metaforico e fisico - una star della musica di intrattenimento anni 70 come Valentino Liberace la dice lunga anche sulla voglia di Soderbergh, come sempre bulimico di temi, spunti e sottotrame, vedi l'ultimo "Effetti Collaterali", di raccontare le incertezze di un uomo di successo, la difficoltà di invecchiare nello starsytem, la paura di restare solo che coglie qualunque uomo una volta tolti gli abiti di scena, il parrucchino e tutti gli orpelli dietro cui il pianista showman Liberace nascondeva la sua omosessualità che all'epoca poteva essere esibita in vestiti stravaganti, gioielli femminili e trucco pesante ma non poteva e non doveva essere rivelata. L'incontro con il giovane Scott, cresciuto in case famiglia e affamato di affetto e attenzioni sarà per Liberace un fulmine impossibile da schivare, un amore totalizzante che lo porterà a fare scelte estreme, quale quella di avviare le pratiche per adottarlo e costringerlo a delle plastiche facciali che lo facciano assomigliare a se stesso da giovane. Un rapporto così patologico, così esclusivo, così morboso non può che esplodere nel peggiore del modi, e le ultime scene con un Damon dai lineamenti alterati, sconvolto dalle droghe e dalla gelosia ci precipitano nella realtà oscura e deviata di un rapporto che si logora per troppo volere, troppo dare, troppo sentire. Sono bellissime - perchè sobrie, trattenute e mai caricaturali - le scene di seduzione fra di due, è naturalissimo credere alla loro storia d'amore, al quotidiano fatto di corpi sfatti, lifting estremi e sfoghi verbali durissimi, ed è davvero secondario che il tutto avvenga in un ambiente omosessuale, perchè dopo le prime scene si dimentica di essere in un contesto dove i soli etero sono la vecchia madre di Liberace e - forse - il manager che sfrutta il talento di intrattenere il pubblico dell'eccentrico pianista. Magistrale Michael Douglas nell'indossare panni scomodissim,i parrucche inverosimili e sguardi e gesti misuratissimi pur nel loro essere palesemente gay, perchè il rischio di fare di Liberace una macchietta era altissimo, e Douglas ne esce concentrandosi sulla sua ossessione amorosa erotica per il giovane Adone amante degli animali e talmente grezzo da poter essere plasmato a sua immagina e somiglianza - in fondo con il cambiargli i lineamenti Liberace realizza il desiderio di clonare se stesso - e bravissimo Damon ad interpretare un giovane affascinato da un mondo di ricchezza e generosità che non ha mai conosciuto, forte inizialmente del potere che ha sull'anziano pianista, ma che rivela tutta la sua fragilità nel momento in cui il rapporto si incrina. Dopo aver visto il film si commisera ancora di più chi ha scelto di far passare il film solo in televisione, sulla HBO naturalmente , canale coraggioso e progressista da sempre, e ci si dispiace profondamente per l'arretratezza culturale che ancora abita il nostro pianeta, sia pure mascherata da abili campagne anti omofobia o da proclami scenografici. Fortunatamente il film, libero, coraggioso e senza false pruderie, resta un magnifico racconto di una tenera triste, appassionata, vorace e struggente storia d'amore.