Luglio 2012
Il cammino per Santiago - di Emilio Estevez con Emilio Estevez, Martin Sheen, Deborah Kara Unger , James Nesbitt **
Un toccante viaggio per rendere omaggio ad un figlio che si scopre di conoscere a malapena si trasforma in un percorso doloroso e catartico dentro se stessi, un'esperienza fisica e mentale, un'emozione che si amplifica nell'asciuttezza e nella solitudine, e un incontro con l'altro da sè, così apparentemente lontano e così misteriosamente vicino, compagno di dolore ma anche di speranza. Tutto questo lungo il sentiero che dalla Francia conduce a Santiago de Compostela in Spagna, 800 chilometri da percorrere a piedi in una natura aspra - si devono attraversare i Pirenei - e che si compie per le più svariate ragioni, animati da una fede tradizionale o da una fede personale, fino a raggiungere la Cattedrale di Santiago dove riposano i resti di San Giacomo. La motivazione che spinge Tom, affermato oftalmologo che vive in California giocando a golf, è quella di portare a termine la missione del figlio Daniel che era partito per un anno sabbatico in Europa e che è morto, scopre Tom con orrore, affrontando proprio il Cammino. Il perchè della scelta di Daniel rimane sconosciuto, ma Tom decide di affiancare in spirito quel ragazzo solitario che aveva scelto di abbandonare una promettente carriera per andare a scoprire se stesso in Europa e lo fa con un impegno e una forza di volontà che sono pari solo al suo dolore. Lungo il cammino incontrerà alcuni compagni di pellegrinaggio, ognuno con il proprio bagaglio fatto di fallimenti, di rimpianti, di amarezze, e instaurerà con loro un legame atipico, fatto di asperità e di dolcezze proprio come il territorio che attraversano. I confronti fra Tom e i tre compagni, un olandese chiacchierone che vuole perdere peso - e riconquistare la moglie scopriremo in seguito - uno scrittore in crisi che cerca nelle storie dei pellegrini ispirazione per un nuovo racconto e una giovane canadese tanto cinica quanto provata dalla vita, sono i momenti migliori del film, che però ha il merito di lasciare i suoi spazi al silenzio, alla solitudine, alla riflessione. E ci consegna dopo tanti anni un Martin Sheen decisamente in parte, diretto amorevolmente dal figlio Emilio che si ritaglia alcuni brevi flashback nella parte di Daniel e che affettuosamente prende in giro il padre con una scena divertente in cui viene arrestato mentre protesta e che sembra uscire pari pari dalla cronaca - Martin Sheen è noto per aver partecipato negli anni a moltissime marce di protesta e per essere stato regolarmente arrestato. Personaggi curati, magnifiche riprese naturalistiche e nessun intento moralistico o spirituale, solo la volontà di mostrare l'essenza fragile degli esseri umani quando sono a tu per tu con se stessi. Il viaggio di Tom non finirà a Santiago, perchè come gli aveva ricordato Daniel prima di partire, "la vita bisogna viverla" e un passo dopo l'altro, un incontro dopo l'altro e una scoperta dopo l'altra è il modo migliore per viverla fino in fondo.
La Memoria del Cuore - di Michael Sucsy con Rachel McAdams, Channing Tatum, Jessica Lane, Sam Neil **
Clamoroso successo di inizio anno in USA (superati i 100 milioni di dollari di incasso) la Memoria del Cuore è un film che accompagna una giovane coppia dentro il dramma e ritorno. Il dramma è un incidente di macchina in cui Paige per un trauma cranico perde la memoria recente e quindi il ricordo del suo amore con Leo, suo marito. Il ritorno è la lenta presa di coscienza di sè che significa ricostruire se stessi fra le pressioni di una famiglia soffocante e l'incertezza dovuta ad un percorso di crescita che Paige deve affrontare nuovamente. Leo inizialmente cerca di stare vicino a quella moglie che ricorda il suo primo fidanzato molto meglio di lui e che si riavvicina ai genitori che non vedeva da anni, poi si arrende , perchè non sarà forzandola a rivivere ricordi che non sono più suoi che lei tornerà ad amarlo. E' un film romantico, ma anche malinconico e dolente, perchè doversi reinventare una vita, e una personalità, come se si avesse ancora vent'anni è una fatica non da poco, e la frustrazione per non riuscire ad amare un marito che palesemente lei sa di aver amato moltissimo (i filmini del matrimonio e altri ricordi glielo confermano a livello razionale ma non emozionale) è un dolore che ognuno di noi può immaginare. Molto in parte Channing Tatum, tenero, paziente, sofferente e innamorato al punto di lasciar andare una donna che non lo guarda più come usava fare, giustamente spaesata Rachel McAdams che affronta un dramma personale circondata da fin troppe premure e attenzione, finchè farà l'unica cosa che possa aiutarla, isolarsi da tutto e da tutti e decidere della sua vita come se fosse la prima volta, come se non dovesse ripetere le stesse scelte o accontentare qualcuno. E da quella solitudine uscirà più forte, perchè si può anche perdere la memoria di sè, ma non si può perdere la coscienza che fa di noi ciò che siamo. Vincente la scelta di Sucsy di girare un film pieno di sentimenti senza scivolare nel sentimentalismo, lasciando che siano le emozioni più profonde a lasciare il segno. Tratto da una storia vera, alla fine del film conosciamo volentieri i volti dei protagonisti, circondati dai loro bei bambini a confermare che il grande amore può anche allontanarsi, ma mai perdersi.
Contraband - di Baltasar Kormákur con Mark Wahlberg, Kate Beckinsale, Ben Foster, Giovanni Ribisi, Lukas Haas **
Film d'azione e di tensione, con una trama ben congegnata, scene tese e ricche di suspance, cadute d'inganno e colpi di scena. La pellicola di Kormakur attinge al film di genere senza però mancare di una certa eleganza e di una indubbia capacità di arricchire la sceneggiatura di dettagli e svolte narrative che sorprendono piacevolmente. Chris Faraday, un Mark Wahlberg perfettamente in parte fra scene fisiche e scorci domestici, ha da tempo abbandonato l'attività di famiglia, il contrabbando, scottato dall'arresto del padre ed intenzionato a dare un futuro tranquillo alla moglie e ai due figli, ma quando il cognato si mette nei guai con un piccolo boss trafficante di droga, rientra nel giro e organizza un contrabbando in grande stile, fra New Orleans e Panama. I mille rivoli della trama sono sempre tenuti saldamente in mano dal regista che evita sfilacciamenti e lascia che i colpi di scena di susseguano, soprattutto nella parte centrale del film, dando un ritmo teso e concitato allo svolgersi dell'azione. Una rapina, un furto, un inganno o un omicidio, niente è come sembra e ogni sterzata narrativa è credibile e godibile. Quando un film dichiaratamente di genere come Contraband riesce a mettere in campo non solo riprese adrenaliniche, inseguimenti e rese dei conti, ma sa intrattenere con gusto e intelligenza si capisce la strada che dovrebbe prendere un film onesto che voglia offrire spettacolo, mestiere e buona recitazione.
Un Anno da Leoni - The Big Year - di David Frankel con Steve Martin, Jack Black, Owen Wilson, Brian Dennehy, Anjelica Huston *
Per gli appassionati di birdwatching negli Stati Uniti è stato indetto un particolare concorso "The North American Big Year" il cui vincitore sarà colui che nel corso di un anno avrà avvistato più specie di uccelli. I concorrenti si avventurano in luoghi impervi e si scontrano fra loro nel tentativo di avvistare una specie rara in più. Al centro del racconto tre personaggi molto diversi fra loro, ma ugualmente a caccia del record. Le loro vite, le loro famiglie e le loro visioni della vita saranno profondamente modificate da questo anno sabbatico in cui si abbandona tutto per inseguire il proprio sogno. Film a tratti malinconico - Steve Martin del resto sin dai tempi del delizioso "Un biglietto in due" con John Candy ci ha abituati a commedie venate di pessimismo e amarezza - ma fondamentalmente brillante con qualche scena grottesca e qualche romanticheria un po' sbilenca, è comunque una piacevole pellicola in cui si possono avvistare, oltre che magnifici esemplari di uccelli, anche vizi e virtù della specie umana, ampiamente rappresentata dai tre protagonisti che a modo loro inseguono una passione, un sogno, un volo di libertà.
Senza dimenticare la lealtà, visto che non è necessario fotografare ogni uccello avvistato, basta dichiarare di averlo visto, e quindi chi partecipa a questa competizione deve avere di fondo un altissimo grado di onestà e sincerità, merce rara di questi tempi.
The Amazing Spiderman - di Marc Webb con Andrew Garfield, Emma Stone, Rhys Ifans, Sally Field,Martin Sheen *
Quanti Spiderman si aggirano downtown? Dopo la trilogia di Raimi ecco un supereroe nuovo di zecca, alle prese con la scomparsa misteriosa dei genitori, con l'uccisione dell'amato zio e naturalmente del morso di un ragno geneticamente modificato. Peter Parker è sempre timido, miope e pieno di dubbi come tutti gli adolescenti, ma anche curioso di ricostruire la vita del padre, scienziato dileguatosi una notte ormai lontana ma che ha lasciato dietro di sè un quaderno di appunti. Nella sua ricerca si recherà a trovare il vecchio collega del padre, il dottor Connors, che dirige un laboratorio dove si fanno esperimenti arditi, incroci di razze, cellule animali destinate a far ricrescere arti umani e altre aberrazioni, e dove verrà morso dal ragno che gli cambierà la vita. Le prime avvisaglie dei nuovi poteri rendono euforico Peter, e alcune scene ricordano "Chronicle", con un adolescente che si trova a dover fronteggiare dei cambiamenti sconvolgenti, poi il registro cambia e si passa all'azione, al thriller, al romanticismo con la storia d'amore fra Peter e la sua compagna di scuola , una Emma Stone troppo donna per essere credibile come diciassettenne, e le prodezze si moltiplicano, gli scontri con il dottor Connors trasformatosi in lucertolone ricordano un po' i vari "Godzilla vs..." , mentre la consapevolezza del supereroe fa fatica a farsi strada nella sana incoscienza giovanile. Chiedersi cosa aggiunga questo nuovo tributo all'eroe Marvel a ciò che già si era visto sullo schermo in tante altre pellicole dedicate ai supereroi può essere una domanda retorica, perchè niente aggiunge, nè grandi interpretazioni, nè invenzioni sceniche, nè spessori psicologici accattivanti, e allora la domanda più logica potrebbe essere "ma allora perchè?" e la risposta sempre ed immancabilmente la stessa, a Hollywood nessuno ha più voglia di rischiare e così si continua a puntare su personaggi amati che garantiranno incassi stratosferici - cosa puntualmente avvenuta anche in questo caso - accontentandosi di una confezione impeccabile e di una trama piuttosto banale ma sostenuta da un gran ritmo. Ma siamo lontanissimi dai vertici di "Batmans Begins" di Nolan che inventava per il suo Bruce Wayne un anima dolente e un viaggio interiore che il povero Peter Parker nell'operina di Webb è ben lontano dal compiere.
Biancaneve e il cacciatore - di Rupert Sanders con Charlize Theron, Kristen Stewart, Chris Hemsworth, Ian McShane ***
Dimenticate la Biancaneve di disneyana memoria, che cantava "i sogni son desideri" e parlava con i passerotti. Dimenticate anche, per fortuna, l'ultima pessima Biancaneve cinematografica con Julia Robert strega cattiva e dimenticate anche per un attimo tutto ciò che sapete sulla favola più nota dei fratelli Grimm. Perchè il film di Sanders racconta un'altra Biancaneve, un eroina moderna e coraggiosa che non cucina per i dolci nanetti e non ha paura della propria ombra. Una Biancaneve in versione fantasy, gotica quanto basta e infarcita di effetti speciali di grandissimo effetto. Sicuramente in debito con i grandi successi televisivi di questi anni "Game of Thrones" e "Once upon a time" la favola dark interpretata dall'eroina di Twilight e da Charlize Theron nei due ruoli principali ha un merito innanzitutto, quello di far assurgere a ruolo di coprotagonista il cacciatore, altrove personaggio oscuro e destinato a scomparire ben presto. Qui invece sarà il mentore di Biancaneve, le insegnerà a combattere e a nascondersi, la aiuterà a riconquistare il regno e saprà starle vicino nel suo diventare adulta, con tutte le sofferenze e le responsabilità che comporta. Divertente, ben girato, un film che intrattiene e stupisce con le creature animate della foresta, dove le fate che cavalcano conigli sembrano uscite dal mondo di Avatar e dove i troll vengono ammansiti dallo sguardo malinconico di Biancaneve. I nani sono combattivi, irosi e coraggiosi come da copione di ogni fantasy e il bacio del principe non sveglia Biancaneve, perchè i tempi son cambiati, e l'ironia della scena è palpabile e di gran soddisfazione per chi ama abbattere i clichè. Un film che avrebbe potuto avere un altro titolo, perchè a parte lo specchio magico la mela e i nani poco resta della tradizione, ma che proprio per questo ha una sua originalità e una sua tipicità, e che nella versione originale si arricchisce della bellissima voce narrante di Chris Hemsworth che del dio Thor ha mantenuto la potenza e il coraggio. Charlize Theron è una strega quasi suo malgrado, vittima di un odio per gli uomini e di un bisogno di primeggiare fra le donne che la consuma e la umanizza pur nella sua crudeltà. Un'ottima pellicola fantasy dunque, in cui i principi sono meno necessari, i cacciatori hanno uno spirito nobile, le streghe sono bambine violate e le principesse cavalcano cavalli bianchi impugnando una spada. Una rivoluzione morbida, ma profonda, del concetto di favola. Tanto più che per sapere se "vissero tutti felici e contenti" si dovrà attende il sequel previsto per il 2014.
The Way Back - di Peter Weir con Ed Harris, Colin Farrell, Dejan Angelov, Dragos Bucur, Sally Edwards **
Per il ritorno sul grande schermo dopo quasi dieci anni di assenza Peter Weir sceglie una storia di fuga, di sopravvivenza e di solidarietà dove a dominare sono gli ambienti naturali che i protagonisti si trovano ad affrontare giorno dopo giorno per 6500 chilometri. Tanti sono infatti sono i metri strappati alla morte che un gruppo di detenuti, evasi da un carcere siberiano nel 1938, in pieno regime comunista, devono percorrere per tentare di raggiungere l'India, e con essa la libertà. Dalla Siberia al Tibet, dalll'Himalaya al deserto, dalle tempeste di neve a quelle di sabbia, dal lago Baikal a Lhasa niente verrà risparmiato a questo gruppo di uomini in fuga, ognuno con una storia alle spalle, ognuno con un vissuto doloroso che fa da sfondo alla disperazione crescente che accompagna ogni tribolazione fisica. C'è il giovane polacco Janusz, condannato ingiustamente per tradimento dopo che la moglie, torturata dai sovietici, lo ha denunciato, e che vuole tornare solo per dirle di averla perdonata e liberarla così dal senso di colpa, c'è il ladro comune, un Colin Farrell al solito survoltato e cinico, che difende il comunismo anche se lo ha rinchiuso in un gulag, c'è Mister Smith, un dolente e toccante Ed Harris, viso scavato e fisico provato, che ha visto morire suo figlio e non ha più ragione di vivere, se non punirsi per aver trascinato il ragazzo dagli Stati Uniti alla Russia dove è stato torturato ed ucciso, e c'è una giovane ragazza, che farà da cassa di risonanza per i dolori di questi uomini taciturni e solitari, poco avvezzi a confidare il proprio dolore. Naturalmente non tutti arriveranno in fondo, naturalmente le scene commoventi non mancano, e naturalmente il finale è di quelli epici. In più gli scenari naturali sono magnifici, fotografati splendidamente e protagonisti al pari degli uomini che li sfidano, lasciando il senso profondo dell'impotenza umana di fronte agli elementi. Ma nonostante ciò il film resta un ben girato film di genere, in cui per più di due ore si attende una svolta autoriale, un guizzo del maestro di capolavori come "Pic nic ad Hanging Rock" o "L'attimo fuggente" che non arriva mai, lasciandoci con la consapevolezza di aver assistito ad uno dei tanti, tantissimi, film di sopravvivenza, non ultimo "Grey" con Liam Neeson, con un gruppo di individui lontani fra loro che inizialmente si scontrano poi iniziano a conoscersi e rispettarsi, che scopriremo fragili a causa del loro passato e che si riscatteranno uscendo dall'avventura catartica migliori di prima. Possibile che in dieci anni Weir non abbia trovato un copione più intrigante, più originale, più seducente? Speriamo di non dover aspettare ancora a lungo per un'opera più personale e più ispirata, anche se, chiunque veda il film senza leggere la firma del regista, potrà giudicarlo un corposo film d'avventura e sentimenti.
Un amore di Gioventù - di Mia Hansen-Løve con Lola Creton, Sebastian Urzendowsky, Magne Brekke, Valérie Bonnetton, Serge Renko **
Nella vita di ognuno esistono degli incompiuti, siano essi un progetto abbandonato, un incontro fallito, un amore mai compiuto. E questi incompiuti restano sospesi sopra di noi, incombenti come nubi che impediscono a volte di vedere il più limpido dei cieli. Un primo amore vissuto male è sicuramente uno fra gli incompiuti più frequenti, e più dolenti che accompagnano i primi anni dell' adultità ed è proprio un amore adolescenziale, assoluto e devastante come tutti i primi amori, che la giovane regista Hansen-Love (Il padre dei miei figli) racconta attraverso immagini intense e lente, quasi a voler dilatare quei momenti che invece nella vita reale bruciano in un attimo. Camille ha quindici anni ed è innamorata di Sullivan, che contraccambia la passione ma che non vuole rinunciare a vivere la propria indipendenza, tanto da organizzare un lungo viaggio in Sudamerica con gli amici, escludendo Camille. Il senso di tradimento e di sofferenza della ragazza, una fragile e cupa Lola Creton, sono i perfetti bronci di ogni adolescente che crede che il proprio amore sia unico, e che il proprio dolore sia il più grande dell'universo. Quando Sullivan dal Sud America interrompe la loro storia Camille affonda nella disperazione fino a tentare il suicidio, ma poi col passare degli anni troverà una sua stabilità accanto ad un professore di architettura, che le darà fiducia in se stessa e coraggio per aprirsi alla vita. Ma l'incontro casuale con Sullivan sette anni dopo rimette tutto in gioco, l'amore riesplode, con sensi di colpa e paure, fino a perdersi di nuovo, forse solo temporaneamente, forse fin quando una vera maturità consentirà loro di capire quali sono i veri sentimenti che provano uno per l'altra. Se nella prima parte de film è Sullivan a dettare le regole quando i due si rincontrano Camille è palesemente più matura, ha un lavoro stabile e vive con il proprio compagno mentre il ragazzo è ancora alla ricerca di un sentiero da seguire eppure è sempre lui a sottrarsi, e sempre Camille a subire, quasi che i ruoli all'interno di una coppia siano destinati a ripetersi in eterno. Il finale in un magnifico paesaggio lungo il fiume Loira è un presagio di corrente da seguire, di destino cui affidarsi, cui Camille sembra finalmente arrendersi, senza più aggrapparsi ad un passato che è possibile che diventi futuro, ma che può anche rimanere solo e per sempre passato. C'è tanta nostalgia nelle immagini, anche in quelle più luminose dei primi momenti d'amore, quasi che quel velo nello sguardo di Camille sia la consapevolezza che crescere non sarà facile, anche se si è innamorati, anche se si è contraccambiati. E che certi attimi fuggenti non torneranno più, rimanendo per sempre rimpianti, bagagli mai svuotati nel viaggio lungo e faticoso che ci traghetta dall'adolescenza all'età adulta. I corpi e i volti dei due protagonisti non restano impressi a lungo, e a volte certe lentezze sono un po' insistite - Rohmer ha fatto scuola ma i suoi attimi dilatati erano un'altra cosa - ma nel complesso si percepisce la sincerità di un percorso emozionale che se pur scontato appartiene pur sempre ad ogni essere umano che abbia vissuto il primo amore come se fosse l'unico e il solo. Sullo stesso tema un film indipendente americano del 2011, "Like crazy" faceva un passo oltre, cogliendo i protagonisti nel momento in cui si raggiunge la maturità e la consapevolezza di essere cambiati, di essere diventati altro, di non poter tornare indietro. Confrontate i due film se potete, due stili completamente diversi, ma due finali ugualmente intensi e struggenti.
Quell'idiota di nostro fratello -
di Jesse Peretz con Paul Rudd, Elizabeth Banks,
Zooey Deschanel, Emily Mortimer - 2011 - Commedia - USA ***
Cominciamo col dire che il titolo può essere davvero fuorviante, perchè può far pensare a qualche commedia sbilenca, tanto più che l'uscita in sala a luglio non è mai un gran passaporto per un film. E invece la pellicola di Peretz, passata con successo al Sundance Festival, è un piccolo film con un gran cuore pulsante, puro e incontaminato come il suo protagonista, un Paul Rudd semplicemente incantevole nel rappresentare un ragazzo talmente candido da passare appunto per idiota. Avete presente la favola "I vestiti nuovi dell'imperatore" dove solo due bambini hanno il coraggio di gridare che l'imperatore è nudo mentre tutti i sudditi per vigliaccheria o per conformismo si ostinano a lodare gli inesistenti abiti del monarca? Ecco, Ned Rochlin incarna un po' lo spirito di quei due bambini, rivela verità che nella società ipocrita e perbenista tutti sono abituati a tacere, confessa candidamente le proprie colpe mettendosi regolarmente nei guai e spiazza chiunque con affermazioni che nessuno si sognerebbe di fare, ma è anche l'unico capace di capire i desideri di un bambino, di amare incondizionatamente e di gridare verità troppo scomode da affrontare. Il nucleo familiare in cui si svolge la storia - Ned ha una madre e tre sorelle dalle vite a dir poco complicate - è un impianto classico, perfetto per far deflagrare le tensioni sopite e le crisi inespresse, ma l'approccio soft con cui Ned tende a gestire la vita, la facilità con cui concede fiducia agli estranei è toccante oltre il contesto brillante in cui si svolge, e le scene più intense sono quelle in cui le persone con cui Ned interagisce trovano il coraggio di aprirsi alla vita, di mettersi in gioco e di dare una chance agli altri, scelta paradossale e coraggiosa in una società fatta di strategie e finzioni. Le scene divertenti sono molte, ma l'amarezza di fondo, sottolineata proprio dal candore con cui Ned si muove in un ambiente ostile come quello di ogni grande città, appartiene alla realtà più vera e più profonda di ognuno di noi. L'affetto per il suo cane, Willie Nelson, conteso con la sua ex fidanzata, è solo un simbolo della capacità di Ned di donare tutto se stesso, con i suoi limiti, con le sue ingenuità, con la difficoltà a conformarsi agli atteggiamenti e ai comportamenti codificati, ma ci dice molto su quanto nella società contemporanea tratti caratteriali amabili e sinceri siano considerati quanto di più inutile e da relegare ai margini. Una scena su tutte: la sera dei mimi a casa della madre di Ned, con le sue sorelle, il figlio di una di loro e tutte le frustrazioni in campo, fin quando la voce limpida di Ned si leva su tutti, con una verità tanto semplice quanto spiazzante. Bella prova corale di tutti gli attori, che lievemente accompagnano Rudd nelle sue candide avventure.
Chef - di Daniel Cohen con Jean Reno, Michaël Youn, Raphaëlle Agogué, Julien Boisselier. Salomé Stévenin **
La cucina francese, raffinata ed elaborata, fa da sfondo ad una commedia sicuramente esile, ma garbata e non pretestuosa, che gioca dichiaratamente la carta della simpatia dei suoi interpreti e ci accompagna sul sentiero più che rassicurante, e sicuro per i botteghini, del budy-buddy, incontro scontro fra due caratteri, fra due stili di vita, fra due realtà.
Jacky Bonnot è un giovane ed entusiasta chef, capace di preparare manicaretti ma incapace di capire che i locali alla mano dove viene assunto sono frequentati da persone semplici che vogliono solo una bistecca accompagnata da patatine fritte. E quindi perde regolarmente il posto. Alexandre Lagarde è invece lo chef degli chef, con un famosissimo locale, una trasmissione televisiva e tutti gli onori del caso. Si incontreranno per caso, e Lagarde, in crisi creativa e sul punto di perdere le mitiche tre stelle, proporrà a Jacky una collaborazione che li porterà a scontrarsi, ad arricchirsi e a migliorarsi, passando naturalmente per crisi familiari, improbabili travestimenti e una sana e divertente ironia dedicata alla ispanica cucina molecolare. Non c'è da aspettarsi grandi slanci narrativi, e neanche interpretazioni mirabolanti - Reno e Youn fanno il loro onesto lavoro e tanto basta - ma i tempi comici fra i due funzionano la maggior parte delle volte, i comprimari sono tutti simpatici e in parte e le regole della commedia sono rispettate in pieno, rendendo il menù estremamente gradevole. Senza ricorrere all'azoto liquido, sa va sans dire!
Cena tra amici - di Alexandre de La Patellière, Matthieu Delaporte con Patrick Bruel, Valérie Benguigui, Charles Berling, Guillaume De Tonquedec **
L'impianto dichiaratamente teatrale - un salotto borghese dove i personaggi interagiscono tra loro - rende la commedia francese di de La Patellière e Delaporte un film perfetto e limitato ad un tempo. Perfetto perchè i dialoghi sono limatissimi, le battute millimetriche e gli scambi fra i membri di questo piccolo clan familiare sembrano una coreografia tanto sono ben orchestrati, ma limitato perchè l'ambiente circoscritto impedisce uno sviluppo più arioso e costringe la recitazione in spazi, non solo fisicamente, angusti. Una coppia di insegnanti, Elizabeth e Pierre, intellettuale lui, più rassegnata alla banalità della vita lei, riceve per cena il fratello di lei Vincent, agente immobiliare di successo, la moglie di lui Anne e un amico di vecchia data Claude, suonatore di trombone in un'orchestra. I dialoghi iniziano in tono leggero, gli argomenti sono i più vari e l'affetto fra tutti loro palese. Ma basta un piccolo scherzo orchestrato da Vincent - far credere agli altri che il nome del bimbo che Anne aspetta sarà niente meno che Adolphe - pronunciato alla francese vabbè, ma pur sempre evocativo di orrori inaccettabili - per scatenare una discussione che scivola rapidamente su episodi personali, su antiche ripicche e gelosie fino ad allora taciute. Gli spunti sono quelli più classici, fra equivoci, permalosità e piccole vendette, ma la partitura ha tempi giusti per non oltrepassare mai il limite del gradevole, del divertente, dell'elegante. Gli interpreti sono completamente a proprio agio nei caratteri che mettono in scena e danno vita a gustosissimi battibecchi in cui i primi a divertirsi sono proprio loro. La scorrevolezza del film e i tanti sorrisi che strappa non devono però far passare in secondo piano la sottile analisi sociologica di un microcosmo familiare (o amicale che sia) perchè è ben curata e sa perfettamente sottolineare quelli che sono i punti deboli di ogni membro in relazione agli altri, creando uno spaccato sincero e veritiero di ogni famiglia. I toni possono sembrare a volte fin troppo esasperati per incentrarsi su argomenti apparentemente banali ma è proprio questa la preziosità del messaggio, dietro ogni dettaglio si nasconde un abisso, e nella nevrosi quotidiana basta un niente per far uscire frustrazioni, delusioni e insoddisfazioni. Salvo poi riabbracciarsi e ritrovarsi come è giusto che sia negli affetti veri, capaci di sbranarsi per un nonnulla e poi volersi più bene di prima. Come tutti i mariti e le mogli del mondo ben sanno. Una citazione merita il preambolo affidato alla voce fuori campo di Vincent, uno fra i più divertenti degli ultimi tempi.
Rock of Ages -
di Adam Shankman con Tom Cruise, Alec Baldwin, Catherine Zeta -Jones, Paul Giamatti, Mary J. Blige, Russell Brand, Malin Akerman ***
Adam Shankam torna al musical dopo Hairspray e conferma le sue doti con un film di grande effetto, con magnifica musica e ottimi interpreti. Tratto dallo spettacolo teatrale omonimo Rock of Ages è un potente omaggio al rock Anni Ottanta - la colonna sonora infatti è un susseguirsi di Hits di quegli anni - con protagonista assoluto l'American Dream, incarnato da due giovani provinciali che sognano di sfondare nel mondo della musica a Los Angeles. Il palcoscenico del loro sogno, e del loro amore - perchè come da tradizione i due protagonisti, giovani, ingenui e pieni di fiducia, si innamorano se non al primo al secondo sguardo - è il Bourbon, storico locale dove si sono esibiti i più grandi artisti del rock Anni Settanta, gestito da un Alec Baldwin impareggiabile nel tratteggiare un ex hippy in bilico fra rassegnazione e voglia di mantenere vivo lo spirito più puro del rock. Intorno ai due giovani ruotano i veri protagonisti del musical, infatti oltre a Baldwin troviamo una perfetta Catherine Zeta-Jones moglie del sindaco che capeggia un gruppo di moraliste signore convinte che il rock sia la maggior piaga della società, un Paul Giamatti cinico manager dallo sguardo piovresco e soprattutto un immenso Tom Cruise, idolo rock in caduta libera fra alcool e donne facili, capace di mangiare la scena ad ogni apparizione, riuscendo a creare un personaggio ambiguo, sopra le righe, ironico e malinconico, e tornando finalmente a recitare dopo tanti film sicuramente divertenti dove però la vera mission impossible era dare spessore al personaggio. Le scene sono scintillanti, il montaggio da videoclip è elettrico e le scenografie perfettamente eseguite, dando al film non solo un tocco vintage, ma un gran ritmo visivo e musicale. Riuscitissimo l'equilibrio fra le note brillanti e quelle più amare del film, lasciate in secondo piano come è giusto che sia in una pellicola decisamente brillante, ma che non nascondono i pericoli del fanatismo, della fama rincorsa a tutti i costi e dell'arrivismo più sfrenato. Due ore di grande spettacolo quindi in cui è impossibile non ritrovarsi a cantare una delle tante icone degli Anni Ottanta, qui perfettamente inserite nel contesto della trama, ma anche e ancora, dei grandissimi pezzi di rock.