Recensioni Febbraio 2012
Come è bello far l'Amore - di Fausto Brizzi con Fabio De Luigi, Claudia Gerini, Filippo Timi *
Un Brizzi meno ispirato del solito, diciamolo subito - Ex era decisamente superiore - continua ad esplorare le dinamiche di coppia con un occhio complice e uno canzonatorio. Le vicende di Andrea e Giulia, coppia di quarantenni un po' felici e un po' no si complicano quando arriva ospite in casa un amico del liceo di lei, nel frattempo diventato un pornodivo. Sarà lui con i suoi consigli espliciti a tentare di ravvivare lo spento menage sessuale della coppia. Qualche battuta efficace, una trama esile che più esile non si può - l'armonia familiare riconquistata grazie ad un pizzico di trasgressione è un'idea proprio abusata - ma niente di più, la Gerini fa la Gerini, un po' sexy un po' buffa, De Luigi è il solito giuggiolone tendente al tonto e Filippo Timi si diverte a gigioneggiare con il suo vocione cavernos e glielo perdoniamo per le tante altre meravigliose prove d'attore vero che ci ha regalato in questi anni. La commedia italiana si conferma incapace di superare gli steccati del prodotto medio, buono per strappare un sorriso ma senza spessore, senza analisi, senza satira. Possibile che anche Brizzi, che pure ha mano felice nello scrivere sceneggiature e dialoghi, non abbia voglia di osare un po' di più e non limitarsi, come gesto rivoluzionario, ad usare l'ormai abusato 3D?
E Ora dove Andiamo? - di Nadine Labaki con Claude Msawbaa, Layla Hakim, Nadine Labaki, Yvonne Maalouf ***
Il sottotitolo del bellissimo film di Nadine Labaki, già regista di Caramel, potrebbe essere "quello che le donne non dicono". Quello che non dicono ai propri uomini per evitare che si scateni una guerra, quello che non dicono per salvarli da un destino segnato ma inutile, quello che non dicono per proteggere quel poco che ancora resta loro. Ambientato in un piccolo paesino del Libano, dove la convivenza fra cristiani e musulmani è estremamente tesa e pronta a sfociare in risse, ripicche e aggressioni, ha il coraggio di dire a voce alta, ma con toni soffici, quanto sia assurdo e sbagliato fare della religione un vessillo di guerra. Sono le donne le protagoniste assolute della pellicola, sono loro che aprono il film con una magnifica danza che sembra coreografata da Pina Bauch, una danza dolente che le accompagna al cimitero dove ognuna di loro ha qualcuno da piangere, ma al contempo una danza sensuale e morbida, pronta al perdono e all'amore. E saranno le donne del villaggio a combattere la loro privatissima e accanita guerra contro l'integralismo dei loro uomini, a sabotare l'antenna della televisione per non far loro sapere di conflitti religiosi in altre zone del paese, ad inscenare crisi mistiche in cui la Madonna impartisce suggerimenti che allentino la tensione, ad ingaggiare cinque ballerine ucraine per turbare l'universo maschile al punto da far loro dimenticare chi è cristiano e chi musulmano. I toni lievi della commedia non nascondono mai la drammatica realtà che si cela dietro l'ostinata volontà delle donne di porre fine ai lutti e alla sofferenza, ma il film non ha paura di sospendere i toni giocosi per piegarsi al dramma reale, la perdita di un figlio, un ragazzo ucciso per sbaglio lontano dal villaggio. Ma anche questo lutto verrà taciuto, e la madre si priverà anche del diritto al dolore pur di salvaguardare la precaria pace che stanno tentando di costruire. Il finale quasi surreale è l'ennesimo sberleffo a chi crede ancora che schierarsi da una parte o dall'altra significhi qualcosa, a chi ancora non ha capito che l'unica fede per cui vale la pena vivere, e morire, è l'amore. Una prova magistrale di tutto il cast, quasi che la danza in apertura di pellicola, si propaghi alle scene successive, dove la poesia si fa respiro arioso e i gesti si fanno simboli. Una metafora potente e originale che non si può e non si deve dimenticare.
Hysteria - di Tanya Wexler con Maggie Gyllenhaal, Hugh Dancy, Rupert Everett,
Jonathan Pryce **
Un'idea brillante e divertente, raccontare l'invenzione, casuale e quasi inconsapevole, di quello che è diventato il giocattolo erotico più venduto della storia, il vibratore. Siamo nella Londra di fine Ottocento, il rigore vittoriano impera e la medicina arranca fra vecchi conservatori strenui sostenitori di salassi e sanguisughe e ignoranti scettici sull'esistenza dei germi. La vita per il giovane Mortimer, dottore di buona volontà e di vedute innovative, è davvero dura e in un anno si vede licenziare da quasi tutti gli ospedali di Londra. Finchè non incontra il dottor Dalrymple, un sempre impeccabile Jonathan Pryce dall'ironia contenuta e ficcante, che sembra aver trovato il modo per curare la malattia dilagante fra le signore della Londra bene, l'isteria appunto, intesa come malfunzionamento uterino che provocherebbe crisi di nervi e quant'altro. La soluzione? Un massaggio esperto e molto intimo che faccia sciogliere le tensioni e rilassare le donne. La sottile eleganza con cui il massaggio viene spiegato al dottorino è molto british e fortunatamente tutto il film si mantiene sull'equilibrio della commedia brillante e sarcastica senza mai scivolare su cadute di stile. Ci sarà posto per una figura all'avanguardia come Charlotte, la figlia maggiore del dottore che lavora come maestra in una scuola per poveri e si batte per l'egualianza femminle, ci sarà spazio per una storia d'amore che nasce nell'antipatia e si trasforma pian piano, ci sarà tempo per Emily, la timida e sottomessa figlia più giovane di Dalrymple, di aprire gli occhi sul nuovo mondo. Ma ci sarà posto soprattutto per un gigionesco Rupert Everett, appassionato di elettricità e tecnologia che aiuterà il suo amico dottore ad inventare e sperimentare l'apparecchio rivoluzionario - nato solo per curare beninteso, e non per dare piacere alle donne, idea che nell'Ottocento Vittoriano faceva gridare all'orrore - che in sottofinale arriverà anche negli appartamenti reali. Si sorride molto in questo fim anche se la trama, al di là dell'idea originale, è fatta di luoghi comuni e svolgimenti classici, i battibecchi fra Charlotte e Mortimer, il processo a lei per aver osato dare un pugno al poliziotto che aveva malmenato una sua amica, la fila di donne insoddisfate che si forma fuori dallo studio del dottor Dalrymple al'arrivo del giovane e aitante dottorino, ma tutto sommato poco importa quando si riesce a trattare una materia tanto spinosa con gusto e ironia. Ironia con cui, dai titoli finali, apprendiamo che nel 1952 i medici stabilirono che l'isteria femminile non esiste. Meglio tardi che mai!
Quasi Amici - di Olivier Nakache, Eric Toledano con François Cluzet, Omar Sy ***
In equilibrio perfetto fra film brillante con dialoghi e battute lontanissimi dal politically correct e dramma sentimentale di alto profilo, il film di Nakache riesce a coniugare perfettamente, senza mai sbandare, le esigenze del racconto leggero in un contesto palesemente drammatico. L'incontro fra il ricchissimo, colto e sofisticato Philippe, tetraplegico in seguito ad un incidente col parapendio, e Driss, giovane sbandato delle banlieu con numerosissima famiglia alle spalle e un passato di carcere non può che essere deflagratorio e l'alchimia che man mano si sprigiona fra i due è liberatoria per loro quanto per noi che assistiamo al lento ma inarrestabile mutamento nella vita di entrambi. Inizialmente badante, poi confidente e suggeritore di strategie sentimentali il giovane Driss con la sua energia e il suo entusiasmo porterà un benefico sconquasso in una casa e in una vita regolate dall'ordine e dalle regole. Saprà conquistare il cuore di Philippe con la sua spontaneità, con l'innocenza del cuore che farà ritrovare ad un uomo provato dal dolore la voglia di vivere nonostante la sua condizione disperata. E d'altra pate Driss non sarà più lo stesso dopo aver vissuto con Philipe, e citerà Dalì e i filosofi greci al colloquio per il sussidio di disoccupazione. I due interpreti, François Cluzet e Omar Sy sono semplicemente perfetti, e il sorriso del giovane africano resta impresso a lungo per la sua capacità di abbatere barriere cuturali, economiche e sociali con la dirompente forza vitale di chi ha conosciuto il lato peggiore della vita ma non si è arreso. Delicato, intenso, un film francese al cento per cento, capace di esaltare i sentimenti senza mai indulgere nel sentimentalismo e di farci sorridere teneramente senza mai dimenticare che la vita è dolce perchè amara e viceversa. Tratto da una storia vera il film ha fatto incasi record in Francia il che vuol dire che c'è ancora spazio per pellicole intelligenti e profonde, eppure capaci di volare leggere come fa il corpo paralizzato di Philippe nel volo in parapendio che segna per un breve istante il ritorno alla normalità.
Jack e Jill - di Dennis Dugan con Adam Sandler, Al Pacino *
Commedia modellata sulla corde di Adam Sandler, venata di tenerezza ma anche di stoccate sarcastiche ben affilate. Jack è un pubblicitario con famiglia regolare e un lavoro solido (gira spot pubblicitari) a cui giunge in casa per la Festa del Ringraziamento la sorella gemella Jill (sempre Sandler) svampita e un po' fuori dalla realtà che sconvolgerà la vita a tutti. Niente di nuovo sotto il sole, battute, trovate e sceneggiatura non inventano niente, la perfidia del fratello verso la sorella e la ostinata dolcezza di lei sono da manuale, ma la vera chicca del film è la partecipazione più che speciale di al Pacino nelle vesti di se stesso che si invaghisce Dio solo sa come e perchè della zitellona pelosa Jill e interrompe addirittura una recita del Riccardo III per parlare con lei al telefono. L'autoironia del grande Scarface e un ritmo sostenuto, oltre alla partecipazione di altre star come Johnny Depp, John Mc Enroe a Shaquille O Neil, ne fanno un film leggero e godibile, al di là di qualche discutibile caduta di stile scatologica.
...E Ora Parliamo di Kevin - di Linne Ramsay con Tilda Swinton , John C. Reily***
Il rapporto conflittuale madre figlio è stato analizzato e raccontato in ogni sua sfumatura. Ma il film di Lynne Ramsay interpretato da una misuratissima e dolente Tilda Swinton va oltre la sfera del banale ed abusato concetto di adolescente (o preadolescente) ribelle e ci consegna un rapporto fatto di odio viscerale, di incomprensioni e cattiverie, di un abisso incolmabile dall'affetto in cui solo le domande trovano spazio. La maternità gioiosa e spensierata della Swinton, affiancata da un marito affettuoso ma incapace di vedere oltre la "normalità" interpretato da John C. Reily, si trasforma presto in un baratro quando il picolo Kevin manifesta le prime diversità. Visite mediche e psichiatriche non chiariranno mai il buco nero che lo divora, la repulsione verso la madre e la sfacciata sfida che lancia al mondo, fingendo però affetto ed empatia verso il padre che lo difenderà sempre anche di fronte alla più cruda verità. Tutto questo lo scopriamo attraverso dei flashback perchè nel presente la Swinton è una donna sola, macerata da sensi di colpa e additata da tutti per strada. Perchè quel bambino così in guerra con la vita è cresciuto e qualcosa di orribile ha commesso, e lei ora è la sola a potersene fare carico, fisico, lavandogli la biancheria e consegnandogliela in carcere (gli incontri fatti solo di silenzio e rancore fra i due sono fra le cose più belle del film) e psicologico, sopportando l'odio di chi ha tutte le ragioni per odiare. Un film in salita, che si affronta quasi con disagio per le tante domande che pone anche a noi, perchè se non basta l'affetto, l'attenzione, la cura a dare serenità ad un figlio, se non c'è possibilità di scappare da un dolore primordiale che si trasforma in rabbia senza una ragione, allora, davvero, che senso ha essere genitori, o medici, o giudici? Cala il gelo nell'animo quando, alla considerazione della Swinton "Non sembri felice" li figlio risponde con "Lo sono mai stato?". Ed è impossibile non esprimere ammirazione per il coraggio della regista di portare sullo schermo, con mano ferma ed elegante, un tema tanto difficile.
In Time - di Andrew Niccol, con Justin Timberlake **
Originale e di gran ritmo il film di fantascienza di Andrew Niccol. In un futuro molto simile al presente si è raggiunta l'invidiabile certezza genetica di non invecchiare mai oltre i 25 anni, ma da quel momento in poi si ha a disposizione un solo anno, il resto del tempo bisogna guadagnarselo, o morire. Ed è davvero una corsa contro il tempo quella che Justin Timberlake attraversa lungo tutto il film, passando dall'avere sul suo orologio biologico soli pochi minuti di vita all'avere, poco dopo, dono di un ultracentenario ormai stanco di vivere, più di un secolo, che potrebbe sembrare tanto, ma in confronto a chi ha un milione di anni in cassaforte sembra davvero niente. Non manca la critica sociale nel dividere la popolazione in quartieri con persone che non hanno mai più di quache ora da vivere e corrono frenticamente tutto il giorno a quartieri residenziali dove una notte in albergo costa due mesi e tutti sono così calmi e rilassati da finire con l'annoiarsi (come la giovane figlia del magnate di turno che ovviamente si innamorerà di Timberlake) ma è soprattutto un gran film d'azione con al centro un'idea innovativa e vincente, quella che ci ricorda ancora una volta che l'unico vero valore che dà significato alla vita, è il tempo che abbiamo a disposizione per viverla.
Paradiso Amaro - di Alexander Payne con George Clooney ***
Solida e matura interpretazione di George Clonney nel film di Alexander Payne che scava tra le pieghe del dolore senza mai scendere nel sentimentalismo. L'incipit del film in cui Clooney dice che "chiunque pensi che le Hawaii sono il paradiso in terra è un pazzo" sono presto spiegate dalla sua condizione: la moglie Elizabeth ha avuto in incidente facendo sci nauticoe giace in coma in attesa che lui trovi il coraggio di staccare la spina, le figlie sono praticamente estranee e neanche i ricordi possono essere di consolazione quando scopre che la moglie lo tradiva. A questo punto Payne aveva due strade, una percorrere il sentiero del dramma con scene madri e lacrime a profusione e l'altra, quella che fortunatamente ha preso con mano felice, di accompagnare Matt King nell'abisso della disperazione vera, fatta di silenzi e di dubbi. Il confronto con le figlie sarà via via più profondo e sincero e l'incontro in Ospedale con la moglie dell'amante di Elizabeth è di quelli che toccano nel profondo. Candidature all'Oscar per il film e per Clooney, che tratteggia una figura d'uomo in perfetto equilibrio fra rabbia e dolore, fra rimpianti e incertezze, capace proprio grazie a queste fragilità, di scoprirsi forte di fronte alla tragedia, perchè niente come l'abisso ci consente di volare oltre.
War Horse - di Steven Spielberg **
Ennesima pagina epica del cinema di Steven Spielberg. Dai tempi dell'Impero del Sole, passando per Shindler's List fino appunto a War Horse il grande regista americano ci ha raccontato la grande Storia attraverso le storie private di uomini e donne. Questa volta fa un passo in più e ci racconta la Prima Guerra Mondiale attraverso le gesta di un bellissimo cavallo baio, Joey. Comprato da un contadino in difficoltà economiche, cresciuto con immenso amore dal figlio Albert sarà venduto ai soldati quando scoppierà la Guerra. Lo seguiremo come cavallo di cavalleria in campo di battaglia, salvato da due giovani tedeschi, compagno di giochi di una ragazzina francese e salvato dal filo spinato da due soldati, tedesco uno ed inglese l'altro, alleati per qualche minuto nell'azione di salvataggio e subito dopo di nuovo nemici - la scena più bella del fim senza dubbio, sincera e toccante nella sua semplicità - Parallelamente seguiamo le vicende di Albert che rincorrerà il suo amato cavallo dopo essersi arruolato per riscattare l'onore della famiglia. Un film che tocca tutte le corde, da quella emotiva a quella patriottica, ma forse accumula fin troppi spunti per commuovere realmente al di là di alcuni singoli episodi. Restano le 6 candidature agli Oscar che testimoniano il gusto americano per i grandi film classici. Resta un film ben orchestrato, ben diretto, di gran respiro e con grandissime scene di battaglie, ma da un genio innovativo come Spielberg ci aspettiamo qualche rischio in più.
La Verità Nascosta - di Andrew Niccol con Quim Gutiérrez, Clara Lago**
Bella sorpresa questo thriller spagnolo di Andrés Baiz ambientato in Colombia. Un giovane direttore d' orchestra si trasferisce dalla Spagna a Bogotà con la sua fidanzata. Quando la ragazza scompare lasciandogli solo un messaggio registrato lui si dispera, la polizia indaga e una giovane barista, nuova fidanzata di Adrian, inizia a pensare che nella grande villa dove Adrian vive succeda qualcosa di strano. Nei primi dieci quindici minuti di film tutto sembra un po' scontato, un percorso lineare di film di genere, in cui elementi di suspence piuttosto convenzionali si alternano a dialoghi prevedibili. Ma poi tutto cambia, e inizia un altro fim, tra flashback e ritorni al presente si dipana una trama avvicente fatta di vera tensione e svolte narrative coraggiose. Non manca una vena ironica che nei momenti di massima suspance strappa un sorriso liberatorio e un dialogo (o un monologo?) tutto al femminile di cui non si può dire nulla per non sciupare il colpo di scena principale è degno di un'Eva contro Eva targato 2012.
3 Uomini e una Pecora - di Stephan Elliott con Xavier Samuel, Rebel Wilson, Olivia Newton-John *
Commedia australiana sul filone Matrimonio & Co. Un giovane londinese si innamora di una ragazza australiana e trascina i suoi migliori amici per fargli da testimone in una cerimonia che si preannuncia sfarzosa visto che il padre della sposa è un famoso politico. Succederà di tutto naturalmente, i ragazzi riusciranno a sconvolgere la funzione e non solo, e la percora del titolo, in realtà un montone, sarà protagonista di un rapimento e di un travestimento così umilante che neanche E.T. dovette subire... Qualche risata il film la strappa, diciamolo, ma sinceramente vorremmo qualche idea nuova nell'ambito dei film matrimoniali, soprattutto se si hanno a disposizione come in questo caso due realtà sociali e culturali così diverse (la brittanica compassata e l'australiana rilassata) da sfruttare.
40 Carati - di Asger Leth con Sam Worthington, Jamie Bell, Ed Harris **
Un uomo prende una camera in un albergo che ha sede in uno dei tanti grattacieli di New York. Pochi minuti dopo sarà sul cornicione e tenterà apparentemente il suicidio catturando l'attenizione di tutti coloro che sono a Downtown in quel momento. Apparentemente però. Perchè in questo scatenato film d'azione di Asger Leth niente è come sembra. Perchè Nick Kassidy, ex poliziotto, che è stato condannato a 25 anni per aver rubato un famoso diamante, dopo essere evaso sceglie di salire su un cornicione invece di fuggire? perchè il magnate a cui avrebbe rubato il diamante proprio quel giorno deve firmare un importante accordo? perchè il fratello di Nick lo ha picchiato al funerale del proprio padre e adesso è in collegamento audio con lui? perchè la giovane poliziotta che ha fallito la sua ultima mssione perdendo l'aspirante suicida viene selta per gestire la faccenda? Le risposte arriverannno tutte, con la riflessione che per ottenere giustizia bisogna ingegnarsi in proprio (Tower Heist l'aveva già ampiamente dimostrato) e se nel farlo si diverte anche lo spettatore tanto meglio!
Albert Nobbs - di Rodrigo García con Glenn Close, Mia Wasikowska **
Una grande attrice ha sempre spalle sufficientemente larghe per sostenere un intero film e dar vita a personaggi che restano nel tempo. E' questo il caso di Albert Nobbs, ambientato nella Dublino dell'Ottocento, dove una donna si finge uomo da tanti anni e fa un mestiere prettamente maschile, il cameriere in un albergo. Un passato doloroso di orfana alle spalle, una violenza che le ha segnato l'adolescenza Albert (non sapremo mai i suo nome femminile e forse neanche lei lo ricorda più) ha attraversato la sua intera esistenza mascherando la propria femminilità e i propri sentimenti. Sarà l'incontro con un'atra donna nascosta in panni maschili (ma quanti ce ne erano a Dublino a quei tempi?) a darle il coraggio di manifestare i prorpi sentimenti alla giovane cameriera di cui è innamorata, e a confidarle i propri sogni di vita domestica. Tutto questo nel corpo e nel viso affilato di Glenn Close, magnificamente contenuta e capace di dar vita ad un personaggio di cui si dimentica il sesso dopo poche scene per concentrarsi sulla sua sofferenza umana. Il film però rimane sempre sullo sfondo, non esplode, non prende in mano il timone della navigazione ma lascia alla Close tutto il peso di emozionarci. Cosa che lei fa con grande maestria, guadagnandosi l'ennesima candidatura agli Oscar.
Polisse - di M. Le Besco con Maïwenn Le Besco, Riccardo Scamarcio, Karin Viard, Marina Foïs ***
Un gran numero di candidature ai Cesar e qualche polemica in Francia. Con queste credenziali il film di M. Le Besco (che si ritaglia anche il ruolo della fotografa) si presenta come un bell'esempio di film documetario. Seguiamo così le vicende dell' Unità Protezione dell'Infanzia, una squadra di polizia di Parigi dedita a scovare crimini odiosi come quelli perpretati ai danni di bambini. Sono storie che spezzano qualcunque certezza, che trascinano i protagonisti in abissi difficili da dimenticare quando si torna a casa, e infatti molti di loro hanno famigle a dir poco a pezzi. Le vicende umane dei poliziotti sono raccontate con empatia, i litigi fra i colleghi sono la deflagrazione inevitabile quando si ha a che fare con realtà tanto disturbanti da sconvolgere qualunque equilibrio e il piatto della bilancia fra vittorie e sconfitte resta dolorosamente in equilibrio. Tesa, asciutta, la pellicola della giovane regista ha un ritmo narrativo sostenuto senza mai perdere di vista l'approfondimento psicologico nè dimenticare le beghe amministrative che purtroppo riducono a casi da schedario anche le storie più laceranti.