Dicembre 2012
Vita di Pi - di Ang Lee con Gérard Depardieu, Irrfan Khan, Tabu, Suraj Sharma ***
Il poliedrico Ang Lee, capace di passare con elegante disinvoltura dai romanzi di Jane Austen ai romantici omosessuali di Brokeback Mountain al fumettistico Hulk, ci regala per questo Natale l'epica pura, infiocchettata di sentimenti, legata stretta con la magia del 3D e della computer graphic e scintillante di riflessioni filosofiche e religiose. La storia di Pi - Piscine Molitor in origine, ma abbreviato per evitare le prese in giro dei compagni di scuola - parte da lontano, da un'India quasi fiabesca, colorata e magica, in cui si cresce nel mito di uno zio campione di nuoto e la realtà dello zoo gestito dal padre. Pi è un'anima che sboccia, studia, impara, è curioso di tutto ciò che non conosce e la sua mente aperta gli permette di essere affascinato da ogni religione, da ogni scienza, da ogni filosofia. Ma anche dagli animali dello zoo, in particolare da una tigre, Richard Parker, nome astruso quanto il suo, frutto di uno scambio di documenti con chi l'ha venduta allo zoo, che Pi tenta di avvicinare scatenando l'ira del padre che gli ricorda con una scena brutale quale sia la reale natura degli animali. Ma la vera svolta nella vita di Pi, che nel frattempo si è innamorato, è il trasferimento in Canada, voluto dal padre per assicurare un futuro migliore alla famiglia. Malinconico per aver dovuto abbandonare la ragazza che ama e la sua terra Pi affronta la traversata in mare con il suo spirito indomito che lo porta ad entusiasmarsi per una tempesta e a volerla vedere dalla plancia della nave. Sarà la sua salvezza perchè di lì a poco tutti gli altri passeggeri saranno sommersi dalle acque, mentre lui riuscirà a salvarsi su una delle barche di salvataggio. Ma con lui riescono a scendere sulla barca anche alcuni degli animali dello zoo, una zebra, il suo amico orango, una iena e la feroce tigre Richard Parker. Di lì a poco Pi e la tigre resteranno gli unici vivi e da quel momento inizia un viaggio fisico nell'Oceano, un viaggio iniziatico dentro sè stessi per trovare la forza di sopravvivere e un viaggio di confronto con l'altro, in questo caso misterioso ed ostile, ma anche ricco di fascino per un ragazzo come Pi. La lunga avventura che i due condividono è naturalmente intessuta di qualche luogo comune e molta spettacolarità, di scene davvero degne del 3D e di riflessioni intimistiche d'autore, ma ciò che resta dopo che i due avranno finalmente raggiunto la terraferma è la scelta coraggiosa ed adulta di Lee di non antropomorfizzare l'animale selvaggio facendogli compiere quell'unico gesto che Pi si aspetta, un cenno, uno sguardo, qualcosa che li leghi per sempre. E' tutta in questa scelta la grandezza di "Vita di Pi", affresco sontuoso e monumentale, compendio di tutte le grandi storie d'avventura da Moby Dick a Titanic a Robinson Crusoe, divertimento spettacolare ed emozionante, con un protagonista che ricorda il Jamal Malik del Milionaire, mai domo, mai prono, mai appagato, e una meravigliosa tigre che ci si dimentica sia stata creata al computer per quanto è bella e palpitante. "Nel grande oceano ho trovato Gesù" racconta Pi al giornalista che lo intervista, e noi nel grande oceano, con Pi e Richard Parker abbiamo trovato lo spettacolo puro, che si permette svariati piani di lettura, metaforici e non, e che appaga la voglia di avventura di chiunque sappia ancora guardare al cinema come ad una scatola magica che ci trasporta, occhialini 3D inclusi, nell'altrove materico e metafisico.
Ralph Spaccatutto - di Rich Moore - Animazione ****
Scelta magica e vincente quella della Disney per questo Natale, rendere protagonisti i personaggi di un universo se non parallelo quanto meno obliquo a quello dell'animazione, e cioè quello dei videogiochi. Ma diciamolo subito, si dimentica ben presto l'origine di Ralph & Co, perchè hanno carattere e storie talmente forti da schizzare fuori dal loro angusto spazio e diventare eroi a tutto tondo. Il protagonista è il granitico Ralph, da sempre cattivo a tutto tondo del videogioco Felix Aggiustatutto, abituato a distruggere palazzi e ad essere catapultato dall'ultimo piano per finire nella spazzatura. Stanco di essere l'emarginato del gioco Ralph partecipa a sedute di gruppo insieme ad altri cattivi di videogiochi in cui cerca di accettare la propria natura di antieroe, ma nonostante il mantra "cattivo non è male" non riesce a smettere di desiderare di cambiare ruolo e diventare per una volta l'eroe positivo che conquista medaglie ed è amato da tutti. E così parte all'avventura uscendo dal proprio gioco e andando a cercar fortuna in altri videogiochi. Affiancherà Tamora di "Hero's Duty" a sconfiggere gli scarafoidi e si conquisterà l'ambita medaglia, ma non avrà fatto i conti con uno fra i personaggi disneyiani più riusciti degli ultimi anni, Vanellope von Schweetz, una bambina pestifera del gioco "Sugar Rush" che gli ruba la medaglia e lo coinvolge in una girandola di avventure e sfide con il malvagio Re Candito. Lieto fine assicurato ma originalissimo, con principesse che si tolgono il vestito regale per indossare la tuta da pilota da corsa (andatelo a dire a generazioni di bambine cresciute nel mito delle principesse Disney che saremmo arrivati ad una rivoluzione dolce come questa!) con glitch - errori digitali, quindi freaks, diversi - che diventano beniamini dei bambini e con un matrimonio "misto" fra personaggi di videogiochi diversi, a dimostrare che uscire dai propri confini, fisici e mentali, fa sempre bene. Chiunque abbia più di quarant'anni potrebbe essere perplesso di fronte ad un mondo di eroi che non conosce e che non appartiene alla tradizione fiabesca letteraria cui ha per decenni attinto la Walt Disney, ma è una perplessità che sparisce col divertimento, con l'emozione, con la presenza scenica di Ralph e dei suoi amici che appassionano e coinvolgono, fanno sorridere ed anche commuovere - vedere Vanellope che si avvolge nella cartina di caramella nella discarica in cui vive sola ed emarginata da tutti per credere - e che portano l'animazione ad un livello ancora superiore a quello che già gli ottimi prodotti delle ultime stagioni ci avevano proposto. Urge seguito!!!
Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato - di Peter Jackson con Martin Freeman, Ian Mc Kellen, Ian Holm, Cate Blanchette, christopher Lee, Elijah Wood ***
Peter Jackson torna nella Terra di Mezzo e ci trascina con lui in una girandola di avventura, azione ed emozione di cui sentivamo la mancanza sin dall'ultima scena del terzo film dedicato al "Signore degli Anelli" di Tolkien di cui "Lo Hobbit" è idealmente il prequel, anche se il tempo è un dettaglio trascurabile nel mondo fantasy. Sicuramente non ci possiamo aspettare lo stesso stupore estetico e la stessa meraviglia visiva provate al primo apparire di Frodo e compagni, ma un piacevole senso di "ritorno a casa" con le prime bucoliche scene nel paese degli Hobbit non si può non ammetterlo, e le successive due ore e mezzo abbondanti di film saranno un tripudio di effetti, scene spettacolari, personaggi buffi, confronti drammatici e battaglie finali che finali non sono, perchè il difetto dei film ad episodi è proprio questo, che lo scontro fra i protagonisti è demandato al capitolo successivo, lasciandoci un po' delusi e un po' felici perchè la vittoria dei buoni è solo rimandata. La storia prende il via in casa Beggins, come sempre, e vede Bilbo intento a scrivere il resoconto di una sua vecchia avventura, mentre Frodo, partecipazione speciale e piacevole di Elijah Wood, si aggira per casa con i suoi piedoni pelosi. Il viso di Bilbo si intenerisce al ricordo di ciò che successe 60 anni prima e di lì a poco sapremo perchè: nella sua linda casetta, ordinata e precisa, si presentano improvvisamente un gruppo di nani, disordinati, confusionari e caotici, raggiunti di lì a poco da Gandalf, che li dovrà guidare alla riconquista del regno perduto a causa del drago Smaug. Lo stupore e il leggero disgusto di Bilbo per le maniere dei nani si trasforma in puro orrore quando apprende da Gandalf che anche lui dovrà far parte de gruppo, salvo poi decidere di voler partecipare ad una grande avventura, almeno una volta nella vita e trovare quindi il coraggio di partire con loro. E dunque avventura sia, perchè Jackson non risparmia nulla, le battaglie con gli orchi e con i giganti di pietra, l'incontro con i troll simpatici e tonti che ricordano Polifemo, perfidi re che vengono appellati dai sudditi "Sua malevolenza", la presenza di Radagast, mago dei boschi circondato da ricci e coniglietti al pari di Biancaneve, una visita al regno degli Elfi dove con piacere Gandalf ritrova la Galadiel di Cate Blanchette e soprattutto Gollum comprimario che come sempre ruba la scena a tutti con le sue smorfie e i suoi indovinelli, schizofrenica, primordiale, psicanalitica creatura che fa salire il tono della pellicola al suo apparire. Tono che resta sempre un po' scherzoso tranne in alcuni momenti di intensa drammaticità, quasi che Jackson volesse una leggerezza di fondo ad accompagnare il percorso dei nani, rissosi, orgogliosi ma anche un po' infantili, che a tavola non vogliono "cibo verde" ma patatine fritte come tutti i bambini. Certe scene potrebbero risultare dilatate oltre misura, ma per godere appieno quest'avventura inaspettata ci si deve abbandonare completamente all'epica, alla mitologia, al lento fluire di storie e leggende, di incantesimi e magie, e sentirsi parte di un grande viaggio visivo e sonoro, con tanto, in sottofinale, di volo a cavallo di enormi uccelli, scena che ricorda "La storia infinita", altro grande fantasy del passato. Perchè, come dice Gandalf "... sono le piccole cose, le azioni quotidiane della gente comune che tengono a bada l'oscurità, semplici atti di gentilezza e amore...", e noi quei semplici atti, compiuti da Bilbo, dal re dei nani Thorin o da Gandalf, ce li godiamo con occhi avidi, appagati da effetti speciali, 3D, riproduzione a 48 fotogrammi, ma soprattutto dalla deliziosa personalità dei piccoli abitanti della Terra di Mezzo.
Sammy 2 - La grande fuga - di Ben Stassen - Animazione **
Seconda avventura marina per Sammy, giovane tartaruga nel primo film e maturo nonno di due scatenate tartarughine in questo seguito. Il film segue due storie parallele, quella di Sammy e Ray, amici da sempre, che vengono catturati per essere esibiti in un megagalattico acquario e quella dei loro nipoti, Ella e Rick, che dei nonni sono alla ricerca nel grande oceano. All'interno dell'acquario faremo la conoscenza con altri pesci catturati, capeggiati da un dispotico cavalluccio marino che ha due murene a fargli da guardaspalle. L'obiettivo di tutti è naturalmente quello della fuga, che avverrà dopo numerosi tentativi e dopo aver finalmente riunito le due generazioni di tartarughe. Prodotto destinato prevalentemente ai più piccoli Sammy 2 ha un cuore tenero che pulsa libertà, con alcuni personaggi decisamente intonati - l'aragosta bipolare e lo squalo martello che si ostina a sbattere contro il cristallo infrangibile pur sapendolo perchè "nella vita non si deve mai rinunciare" su tutti - e qualche lentezza nella trama prevedibile, ma il messaggio profondo arriva forte e chiaro, e cioè che lo sfruttamento della natura da parte degli uomini è cosa sbagliata e ingiusta, che condanna delle creature innocenti ad una schiavitù che fa perdere loro l'equilibrio mentale e la dignità. I personaggi dei due piccoli tartarughini, unitamente ad una paffuta polipetta, sono chiaramente introdotti per suscitare tenerezza e simpatia, e ci riescono perfettamente, aiutati anche da voci divertenti e occhi immensi. Un prodotto meno costruito e meno eclatante e adrenalinico dei cartoni cui ultimamente siamo abituati, qualcosa che ricorda un po' la vecchia animazione classica, rilassante e rilassta, ma non per questo meno godibile.
La parte degli angeli - di Ken Loach con Roger Allam, John Henshaw, Daniel Portman, William Ruane ***
Premio della Giuria a Cannes 2012 a Ken Loach per il suo novo film, che parte cupo come un cielo che minaccia pioggia gelida, rappresentando la realtà cruda e dura delle periferie e dei ghetti dove i giovani, spesso teppisti non per scelta ma per necessità, non hanno un futuro, ma si apre pian piano come un cielo scozzese, lasciando intravedere qualche sprazzo di azzurro e di futuro. Il film inizia in un'aula di tribunale dove giovani delinquenti vengono condannati ad un certo numero di ore di servizio civile invece del carcere. Fra loro Robbie, che sta per avere un figlio dalla sua compagna Leonie e vuole per questo cambiare vita, anche se l'avversione della famiglia di lei e i conti aperti con un teppista rivale lo rendono quasi impossibile. "Perchè fate a botte?" gli chiede Leonie e lui desolato risponde "Lo facevano i nostri genitori prima di noi e così ora lo facciamo noi" quasi che la faida e i pestaggi siano nel suo Dna e che per uscire dalle sabbie mobili dell'ambiente degradato in cui è cresciuto serva più di un miracolo. Il primo miracolo avverrà grazie ad Harry, il responsabile dei servizi sociali che metterà insieme una squadra di giovani - oltre a Robbie ci sono altri tre ragazzi ed una ragazza - li aiuterà a superare i momenti difficili del reinserimento e li guiderà nella conoscenza della lavorazione del whisky, di cui è un appassionato cultore. Robbie si rivelerà un "naso" particolarmente dotato e la notizia che una botte pregiatissima di whisky sarà messa all'asta regalerà ai quattro amici un'idea azzardata ma geniale per cambiare definitivamente vita. "Angel's share" titolo originale del film, la parte degli angeli appunto, è la percentuale di spirito - inteso come alcool - che evapora delle botti in cui viene distillato il whisky e che va perso per sempre. E gli angeli che ne beneficeranno possono anche avere le ali un po' sporche dal fango in cui hanno passato i primi anni della loro vita, ma hanno anche coraggio sufficiente per tornare a volare. I giovani di Loach non sono mai edulcorati e Harry non è una macchietta buonista che ignora le colpe dei condannati che assiste, le scene violente sono di impatto forte e l'imbarazzo di Robbie di fronte al giovane che ha massacrato di botte per un parcheggio è palpabile quanto il suo impegno a cambiare vita per garantire un futuro al figlio appena nato, ma l'empatia che proviamo per questi ragazzi sbandati che inventano una truffa vestiti con improbabili kilt per sembrare rispettabili e non "teppistelli in tuta" è fatta di una tenerezza autentica verso chi sta tentando un'impresa impossibile in una società cinica e incapace di perdono - "Guardano solo le mie cicatrici ai colloqui di lavoro" confessa Robbie - La capacità di Loach di guardare la realtà più abbietta e di vederne i semi di rinascita al suo interno può sembrare ingenua a prima vista, ma il clima autentico di quel gruppo di ragazzi sbandati che si aggrappano ad Harry e alla sua capacità di ascoltare ed aiutare è contagioso e si seguono le loro peripezie con partecipazione e simpatia, senza mai dimenticare che la realtà sociale non cambierà di certo se un ragazzo riuscirà a tirarsi fuori dalla violenza e dall'illegalità, ma è importante crederlo possibile, e renderlo credibile con scene esilaranti, buffe e tenere come solo Ken Loach sa fare. Se avete la possibilità godetevi il film in versione originale perchè gli accenti e le cadenze dei giovani attori rendono la messa in scena ancora più realistica e autentica.
Troppo amici - di Olivier Nakache, Eric Toledano con Vincent Elbaz, Isabelle Carré, François-Xavier Demaison, Audrey Dana, Omar Sy **
Dopo il successo di "Quasi amici" era quasi d'obbligo andare a ripescare l'opera precedente di Nakache e Toledano, e così ecco "Troppo amici" che anche titolo richiama palesemente il successo dell'altra pellicola. Decisamente meno intonato però questo ritratto di famiglia in più interni, quasi che ognuno suonasse una melodia diversa e che la sovrapposizione delle partiture desse vita ad una dissonante composizione a troppe voci, a troppe paradossali deviazioni, a troppi scarti narrativi. Al centro della trama tre fratelli con le rispettive famiglie: Nathalie, sposata con Alain da cui ha avuto due pestiferi bambini, Jean-Pierre, avvocato d'ufficio sposato con Catherine e padre di una bambina fin troppo perfetta, e Roxane, la nevrotica di famiglia, che frequenta un giovane medico di colore, Bruno. Le peripezie di questo eterogeneo gruppo di persone e personalità non fatica a creare un conflitto perenne perchè Alain rimpiange il lavoro di animatore turistico, flirta con la baby sitter e non riesce a trovare un lavoro fisso deludendo così Nathalie che lo vorrebbe responsabile e maturo - ma se ne accorge solo dopo due figli e tanti anni di matrimonio di aver sposato un bambinone? - Catherine iscrive la figlia ad una scuola ebraica perchè di prestigio e si lascia affascinare dalla cultura yiddish al punto da vestirsi come un'ebrea ortodossa e farsi chiamare Rebecca, Roxane martorizza il povero dottorino nella speranza di avere anche lei un figlio come i fratelli e Lucien, il figlio più grande di Alain e Nathalie, dà prova di sè scappando dalla gita scolastica. Naturalmente alla fine le nevrosi si appianeranno, le coppie in crisi si ricomporranno e con un salto nel futuro assisteremo al debutto di Lucien sul palcoscenico, con un finale talmente costruito ed emotivamente ricattatorio da risultare indigesto. Alcuni spunti narrativi vanno decisamente salvati, il confronto familiare e personale con le proprie aspettative, con i successi altrui ed i propri fallimenti è sincero e se meglio sviluppato avrebbe potuto dar vita a ben altri contenuti, ma prevale su tutto un tono survoltato, scene parossistiche e sbilenche che non danno modo ai personaggi di rivelare la propria natura più profonda e vera. Si intravede qua e là qualche malinconia e qualche sguardo inquieto, ma naviga in acque troppo turbolente per poter essere apprezzato. Il cast fà il suo onesto lavoro e gli attori sono attenti a caricare le sfumature estreme dei propri personaggi, ma come dicevamo all'inizio non sempre tante melodie fanno un concerto polifonico, a volte, come in questo caso, fanno più che altro chiasso. Un garbato, a volte anche divertente e simpatico chiasso, ma senza note di alta qualità.
Ruby Sparks - di Jonathan Dayton, Valerie Faris con Paul Dano, Zoe Kazan,
Antonio Banderas, Annette Bening, Elliott Gould, Steve Coogan ***
Dagli autori di "Little Miss Sunshine" un film sull'amore che non ha paura di avventurarsi nel territorio surreale della creazione immaginifica della donna ideale ed esplorare con metafore letterarie il bisogno di potere e di controllo all'interno della coppia. Calvin Weir-Fields ha pubblicato giovanissimo un romanzo di grande successo e poi come spesso accade si è trovato a corto di ispirazione e fa una vita molto ritirata, confessando al fratello e al suo psicanalista i suoi fallimenti sentimentali e portando a spasso il cane. Una notte fa un sogno in cui incontra una ragazza e ispirato da quella visione inizia a scrivere di lei, costruendole un passato, dei desideri, dei tratti caratteriali. Notte dopo notte il sogno continua e la vena creativa di Calvin si fa sempre più fluente, fin quando una mattina la ragazza, da lui chiamata Ruby Sparks, si materializza nella sua cucina, a preparare la colazione. La prima paura che assale Calvin è di essere impazzito, ma quando la gente si rivolge a Ruby capisce che qualcosa di magico e misterioso è avvenuto, la sua fantasia ha dato vita alla donna dei suoi sogni. A questo punto una scelta etica si impone, abbandonare il libro e dare a Ruby la possibilità di un pensiero autonomo, di una vita indipendente dalla sua fantasia e volontà. Ma le reazioni di lei si fanno sempre più fredde ed indipendenti, Ruby si iscrive ad un corso d'arte, torna a vivere a casa propria, insomma si allontana. E così Calvin rimette mano al libro, regalando a Ruby una tristezza che solo la vicinanza di lui può lenire. Ma nel far questo la trasforma in una bambola appiccicosa, e naturalmente anche questo non va bene, così Calvin tenta di ridarle il sorriso tramite un nuovo capitolo, e si ritrova come compagna una soave creatura che non fa altro che ridere. Come è facile intuire ben presto ci sarà un confronto fra i due in cui Ruby si renderà conto di essere frutto della fantasia di Calvin e si ribellerà a tutto ciò dopo una notte di violenza emotiva di indubbio impatto - Calvin scrive sulla pagina "Ruby parla francese" o "Ruby cammina e abbaia come un cane" e lei si trova costretta ad eseguire, fantoccio inanimato e incorporeo, con il terrore nello sguardo e la delusione nel cuore. La scomparsa di Ruby darà modo a Calvin di scrivere la loro storia e di tornare al successo letterario, ma sarà solo quando incontrerà una Ruby in carne ed ossa, immemore della loro incredibile avventura, che potrà tornare a vivere una vita vera, senza sogni e senza incubi, dove ognuno è ciò che è e dove si ama anche l'imperfetto. Potente metafora giocata sui toni del surreale ma anche analisi sincera del bisogno di manipolazione all'interno di un rapporto di coppia, la storia tra Ruby e Calvin ha i contorni della fantasia ma un cuore pulsante verità, e non ha paura di palesare come l'amore sia un sentimento egoista, in cui si desidera la perfezione nata dai nostri sogni e desideri, salvo poi accorgersi che un amore così non regala emozioni, solo sterile soddisfazione egotistica. Bell'esempio di cinema lieve ma non leggero, con scarti improvvisi nell'abisso del dolore e della sofferenza. I personaggi di contorno sono stravaganti quanto basta ad incorniciare un universo onirico, ed interpretati con evidente divertimento da Annette Bening, Antonio Banderas e Elliott Gould, ma è lo sguardo di Paul Dano, già notato in "Un perfetto gentiluomo" ad accompagnare questo giovane uomo alla consapevolezza che amare non vuol dire avere accanto la donna dei propri sogni, nonostante ciò che ci hanno sempre insegnato le frasi che si trovano nei cioccolatini.
The Grey - di Joe Carnahan con Liam Neeson, Dermot Mulroney, James Badge
Dale, Frank Grillo ***
Trionfatore degli incassi nel primo weekend di uscita negli Stati Uniti il nuovo film d'avventura interpretato da Liam Neeson si annunciava come uno dei tanti disaster movie, visto che narra le vicende di un gruppo di uomini sopravvissuti ad un incidente aereo in Alaska. E invece fin dalla prime scene si capisce che si tratta di ben altro, o almeno di molto di più. Perchè ci troviamo in una piattaforma petrolifera in Alaska e uno dei dipendenti esce nella bufera di neve, fucile in spalla per suicidarsi (e sapremo solo nel finale il motivo) salvo poi ripensarci e salire sull'aereo insieme ai compagni per tornare dopo mesi di isolamento alla civiltà. L'incidente e la conseguente difficile lotta per la sopravvivenza fra bufere di neve, lupi e rischio di assideramento per i pochi sopravvissuti è la parte adrenalinica del film, ricca di suspence e colpi di scena, ma la scelta vincente della pellicola di Carnahan sta nel ritagliare ampi spazi in cui i pochi sopravvissuti si confrontano con le loro paure, chi palesandole, chi nascondendole dietro una aggressività primitiva. La forza del racconto è tutta nelle confidenze sempre più disperate ed intime che solo chi è consapevole di essere sull'orlo del baratro ha il coraggio di affrontare. Chi sembrava un gran burlone pieno di allegria e di goliardia si scopre improvvisamente vuoto e senza prospettive, chi aveva già deciso di abbandonare la vita scopre in se stesso la voglia di lottare e di sopravvivere. Ecco cosa fa di The Grey un film capace di aggiungere emozioni al classico percorso di avventura e di lotta contro il tempo, che tra l'altro si svolge in scenari magnifici, ovattati dalla neve e resi suggestivi dai fuochi notturni e tempeste di vento.
Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore - di Wes Anderson con Bruce Willis, Edward Norton, Bill Murray, Tilda Swinton, Frances Mc Dormand ****
Chi conosce il cinema di Wes Anderson sa che la stravaganza dei personaggi e delle situazioni non deve essere fuorviante nella comprensione del messaggio e dell'analisi dolente e pungente di una società o di un carattere. Qui l'ambientazione è nei primi Anni Sessanta, una casa iper colorata in cui vive Suzy, dodicenne solitaria e infelice, con i genitori e tre fratelli più piccoli, un binocolo perennemente puntato fuori dalla finestra, a scrutare il mondo, il futuro forse, sicuramente gli incontri clandestini della madre con il poliziotto di paese. Poco lontano c'è un campo scout, un capo rigido ma comprensivo e un manipolo di ragazzini tra cui Sam, orfano ed emarginato dai compagni, che con cappello alla David Crocket, mappe e attrezzature varie, scappa dal campo. Per incontrare Suzy scopriremo poi, conosciuta un anno prima e di cui era diventato in seguito amico di penna. La fuga dei due bambini, innamorati impacciati ed esploratori di boschi e fiumi, è ovviamente ostacolata dai genitori di Suzy, dagli operatori del campo scout, dallo sceriffo e dai servizi sociali cui Sam dovrà essere affidato dopo che la famiglia affidataria lo ha rifiutato. I bambini verranno ritrovati, separati e riuniti dai compagni scout che hanno compreso il valore della fuga dei due, e una sorta di lieto fine armonizza una partitura incompiuta, come spesso è la vita, incompiuta per coloro per cui è troppo tardi e per coloro per cui è troppo presto, perchè il timing nella realtà, sia pure favolizzata di Anderson, è sempre un po' sfasato, sempre fuori sinc, perchè alcuni incontri, alcune empatie, che potrebbero essere salvifiche sono invece solo portatrici di dolore, per sè e per gli altri. Visivo e visionario il cinema del regista di "Fantastic Mr Fox", "Il treno per il Darjeeling" e "I Tanenbaum" ha un'espressione fisica, materica quasi, di grandissimo impatto, la macchina è spesso in close up sui volti degli attori e chiede loro di assecondare il suo gioco ipereale, che nell'iperbole nasconde, anzi annida, la verità. Il cast tutto, stellare e millimetricamente aderente alla recitazione e al travestimento surreale chiesta dal regista - da Bruce Willis poliziotto malinconico ad Edward Norton capo scout tutto d'un pezzo, a Bill Murray e Frances Mc Dormand, coniugi infelici incapaci di fuggire dalla prigione della loro soffrenza, a Tilda Swinton, algida assistente sociale - fa un lavoro magnifico nel cingere d'assedio la purezza dei due bambini, consci solo del proprio disagio, consapevoli di dover trovare una soluzione senza l'aiuto di quegli adulti inadeguati e inetti, e capaci di un coraggio e di una poesia che solo il poliziotto solitario e apparentemente stupido riesce a comprendere. Bisogna lasciarsi avvolgere dalle spire dei film di Anderson per riuscire ad intravedere oltre le scene prospettiche, i quadri registici e gli stacchi puramente estetici il cuore pulsante di un dolore primitivo, di una solitudine cercata e quasi rivendicata, di un'adolescenza sperduta perpetrata nei cuori degli adulti ma assente dai loro gesti - Bill Murray che prende un'ascia e va a tagliare un albero è metafora potente della frustrazione e dell'impotenza - ma su tutto c'è la vitalità di un sentimento incorrotto e incorruttibile, che solo un adolescente che conosce il dolore sa esprimere senza riserve e senza compromessi. In una fuga non dalla realtà ma verso una realtà diversa, che consenta la libertà di soffrire, e di sconfiggere quella sofferenza con la vicinanza di chi condivide un sogno. Speriamo solo il film che non venga presentato come una commedia grottesca in cui "si ride", passando nei trailer solo le scene più surreali e survoltate, cosa che spesso purtroppo accade per spingere il pubblico verso un prodotto bellissimo ma di difficile approccio.